Il nero del cielo notturno vira al blu, poi al cobalto. Sono le 5.10 e il mondo intorno a noi si arricchisce di particolari. Distinguo l’aratro abbandonato sotto la quercia che poco fa era solo una grande ombra; vedo la vigna lassù sulla destra. La fossetta magica tra il campo e il poggio dove solitamente ai folletti piace apparire…. ”C’è un capriolo?!” la frase bisbigliata di Vincenzo è a metà tra l’affermazione e la domanda. Col binocolo si può indovinare la sua presenza. Dall’ottica il mio occhio conferma. Ed è pure lui! La calma contemplativa di qualche minuto prima è già un lontano ricordo. Quel capriolo laggiù mi fa sobbalzare il cuore!
Passa qualche minuto con l’occhio nell’ottica, ho ingrandito a 16 per studiarne il palco. Non ho dubbi che si tratti del mio capo. Il suo passo è maestoso, il torace ampio, strappa l’erba con voracità, uno dopo l’altro, bocconi convulsi. Sembra abbia fame. O fretta. “E’ il tuo capo, che fai? Spari?” mi chiede Vincenzo, dopo un tempo non breve in cui son stata a guardare il capriolo nell’ottica. Certo che sparo! Il problema è fermare il respiro, il cuore e le gambe, trema tutto! Il puntino rosso dell’ottica, acceso al minimo, traccia delle scie di luce rossa mentre miro al capriolo. Vincenzo mi osserva con la coda dell’occhio mentre sono in posizione di tiro, il binocolo fisso sul capriolo pronto a interpretare la reazione allo sparo. Sento il suo sguardo a tratti preoccupato sulla mia nuca. Son più di 2 minuti che sono in posizione, ma non riesco a trovare la giusta calma. Per un attimo vorrei che fosse tutto finito, che il colpo fosse partito e come va, va! Ma dura un attimo, torno in me. Via le mani dalla carabina, un sospiro, fuori tutta l’aria. Mi giro per un secondo a cercare lo sguardo di Vincenzo, che mi conosce e sa perfettamente cosa provo. Mi sorride, io ho una sorta di paresi facciale e non riesco a ricambiare.
Eccolo lì. Nuovamente a tiro. Il corpo snello e forte del mio bel maschio è a cartolina e ha un flebile puntino rosso poco sopra e poco dietro la zampa anteriore. Ha ridotto il ritmo dei bocconi, mastica più a lungo adesso, ma non resterà lì in posizione ancora per molto. Armo la Blaser. Rimetto il mirino sul punto giusto. Il dito indice accarezza il grilletto, lo sfioro con l’articolazione tra le prime due falangi. Il mio respiro vorrebbe tornare ansimante, ma lo domino con uno sforzo di volontà. “Perché ti uccido?” una voce dentro la testa mi fa strizzare lo stomaco. “Tu non sei mio, eppure mi prendo la tua vita”. Quando gli “anticaccia” si arrogano il diritto di definire i cacciatori truci assassini non hanno la minima idea di quel che si prova in questo momento. Una vita è lì davanti a te e tu, sfiorando il grilletto, te ne appropri. Un senso d’inadeguatezza e smarrimento ti assale. “Chi sono io per fare questo?” Ma poi la ragione per fortuna riparte, dopo l’emozione iniziale. L’amore e la passione per la natura e per i suoi equilibri passa (anche) attraverso il prelievo e la gestione delle specie. Per amare una specie talvolta è necessario abbatterne alcuni esemplari. Tra il mio dito e la vita del capriolo c’è una piccola palla di piombo che vola via, alla velocità della luce, sputata dal fragoroso boato della R8. La palla per fortuna non segue il corso dei miei pensieri, ma la giusta traiettoria che l’appoggio, la carabina e l’abilità le imprimono.
“E’ sparito come risucchiato dalla terra!” il primo commento di Vincenzo. Nemmeno riarmo. “L’hai colpito benissimo, brava! Ma come mai non ti decidevi a sparare? Era messo bene in posizione. Non sapevo dove guardare, ero pronto a tapparmi le orecchie da diversi minuti!”.
Non rispondo. Mi siedo accanto a lui, una lacrima mi scende su una guancia. Non devo spiegargli nulla. In fondo quello che provo è ciò che sentono tutti i (veri) cacciatori: un dito sul grilletto può togliere una vita, e questa è una grande responsabilità. Il senso della vita passa anche attraverso la morte, e anche in questo fondamentale insegnamento la Natura è la nostra grande maestra!
@Foto di Vincenzo Frascino