Nell’attuale momento storico che la caccia sta attraversando, tutti noi siamo testimoni di un fatto inequivocabile: gli ungulati ci sono, eccome! Le densità di cinghiali, ma anche di cervidi e bovidi, stanno aumentando in maniera più o meno omogenea, in tutta la Penisola, frutto, forse, anche della migliore gestione del territorio e dell’applicazione di criteri biologici più “moderni”. La caccia agli ungulati, cinghiale compreso, viene praticata in selezione, anche se per l’ambito suide le modalità di caccia sono più numerose e spesso complementari tra loro (braccata, girata, etc) e meriterebbero un discorso a se. Ma focalizziamoci sulla caccia di selezione. Nella caccia di selezione nulla è lasciato al caso: la conoscenza del territorio, l’osservazione degli animali e l’identificazione del capo assegnato, i sistemi d’osservazione e di puntamento, le palle, le carabine…tutto è studiato nei minimi dettagli, provato, validato, ottimizzato, con un unico fine: far si che il colpo vada a segno. E, soprattutto che gli effetti del colpo siano quelli sperati, cioè un abbattimento pulito dell’animale con la sua morte immediata, con la minima sofferenza per la preda e possibilmente anche per il cacciatore.
Nella caccia reale purtroppo sappiamo che non sempre è così: quasi tutti abbiamo sperimentato gli effetti di un colpo che non va dove è stato pensato, di una palla che non ha lavorato come si sperava, di un animale che non ha reagito come previsto. In sintesi: un anschuss desolatamente, disperatamente vuoto. Talvolta muto, senza alcun segno di ferimento (sangue, pelo, tracce sul terreno etc). Una situazione come questa, tutt’altro che rara, può dar vita a due scenari, opposti e mutuamente esclusivi: il cacciatore che dopo aver “guardato” camminando su e giù fa spallucce imprecando contro la malasorte e quello scatto che non ha fatto alleggerire oppure il cacciatore che, senza muoversi più di tanto mette mano al cellulare e compone il numero del “recuperatore”. Se quello che avviene è l’opzione B, allora il gioco non finisce con una presunta padella ma si fa veramente interessante. Durante la caccia al cervo al bramito nell’appenino bolognese ci siamo trovati in compagnia dell’amico Paolo Gotta ad accorrere su una verifica di tiro abbastanza rocambolesca. “Non c’è sangue? ….Ah ok. L’hai visto incassare il colpo? Era giorno?….Va bene,vado a prendere Hermann”. Una rapida telefonata in codice aveva messo precocemente fine alla sfortunata uscita da accompagnatore per vestire rapidamente i panni del recuperatore.
Scena: cacciatore di esperienza spara a un cervo adulto alle prime luci dell’alba, il cervo si trovava in un avvallamento del vasto campo di medica circondato da bosco. “Il primo colpo l’ho sparato sulla spalla destra”, riferisce il cacciatore, “non credo di averlo preso, dalla reazione che ha avuto. Si è girato nella direzione opposta, offrendomi l’altra spalla, ove ho mirato prima di esplodere il secondo colpo. Mi è sembrato aver contratto le zampe posteriori ma poi è partito a razzo verso il fondo della valletta. Per la conformazione del terreno è sparito alla nostra vista”, conclude il cacciatore con occhi bassi e il fuoco della rabbia nelle mani. L’accompagnatore conferma la precisa descrizione e si offre di guidare Paolo e Hermann, il suo splendido bavarese, sul presunto anschuss. Come spesso accade diventa difficile a posteriori indicare la posizione precisa dell’animale al momento dello sparo. Niente. Nessuna traccia umanamente visibile. Il cane fa un paio di giri intorno al punto indicato, poi naso basso s’incammina deciso. Un primo tratto sembra segnare il percorso del cervo quando è uscito sul campo. Cane e conduttore s’inabissano nella cortina di rovi fitti e taglienti che chiudono il bosco, seguiti dall’accompagnatore. Escono dopo qualche minuto, gli uomini graffiati anche sul volto, il cane raggiante, col naso basso. Tornano sull’anschuss e da lì, spediti, verso il bordo bosco nella direzione opposta a quella indicata. “In quella direzione non avevamo guardato. A noi sembrava che il cervo avesse preso in giù”, commenta l’accompagnatore. Hermann si arresta di colpo, seguito da Paolo un po’ ansimante per la salita. Lunghi fili d’erba insanguinata fanno da scenografia al suo abbaio ritmico e vivace. Non vediamo a cosa sta abbaiando ma intuiamo che la direzione del suo sguardo fiero è una freccia che indica il bottino sulla mappa. Venti passi verso l’alto e le punte bianche, immobili, robuste del maestoso palco si stagliano contro il cielo in un angolo di rovi. Il nobile cervo giace composto contro un grosso tronco, sembra che una mano pietosa l’abbia disposto così per offrire ai nostri sguardi ammirati tutta la sua regale mole. Hermann abbaia al suo tesoro e rivolge a Paolo i suoi sguardi di complice intesa canina. Paolo è fiero del lavoro del suo ausiliare e del felice esito di una ricerca che poteva restare vana. Un animale così bello, prezioso, imponente, sarebbe forse rimasto lì, a marcire nel fitto di un impenetrabile groviglio di roghi finchè il cercatore di funghi di passaggio non ne avesse avvertito l’odore o raccolto le stanghe, magari sbucate da sotto la neve. L’abilità, l’acume e l’esperienza umana non potranno mai e poi mai sostituirsi alle doti che la Natura ha elargito a talune razze e a taluni soggetti di cani.
La verifica del tiro è a parer mio un dovere per noi cacciatori. Essa ha un valore morale ed etico, soprattutto quando esita in ferimenti che infliggono all’animale penose e lunghe sofferenze. In oltre verificare il tiro è occasione di grande approfondimento, acquisizione sul campo di nozioni di balistica, terminale e non, che nessun manuale potrà mai spiegarci altrettanto bene. È inoltre un gesto di rispetto verso la selvaggina, gesto che, riabilita la figura dei cacciatori nei confronti dei sempre più numerosi movimenti animalisti che muovono alla caccia accuse di “crudeltà e maltrattamento” degli animali. Il valore del recupero non si può descrivere in così poche parole, e non può prescindere dai suoi protagonisti, che racchiudono in se le doti d’intelligenza, dedizione, fedeltà e amore incondizionato: i nostri amati cani!