“Piove!!! Che bello! Finalmente!”. Due facce sollevano lo sguardo cisposo dalle cartelle cliniche e mi guardano con aria perplessa, quasi allarmata. Le mie colleghe non possono capire cosa significhi, e il perché del mio puerile entusiasmo. In questa rovente estate 2015 una giornata di pioggia rischia di trasformare l’aria già intollerabilmente calda in un bagno turco. “Uffa!” sbuffa la mia collega, “questa pioggia non ci voleva!”. E invece si!
Son quasi due mesi che è aperta la caccia di selezione al cinghiale in provincia di Novara. La mia nuova zona fin ora mi ha regalato un panorama gradevole, due nuovi amici, un numero imprecisato di punture di zanzare e…nemmeno una setola!
Perlustrando i campi seminati a mais e soia, con i miei soci Teresio e Renato cerchiamo qualche flebile indizio della presenza di cinghiali. Son settimane che usciamo ogni sera e, prima di appostarci, andiamo a perlustrare qualche campo, bosco, ruscello, in cerca della sospirata unghiata. Ma niente, solo caprioli.
Negli orti limitrofi alla nostra zona che, per quanto bella, è abbastanza antropizzata (troppo per i miei gusti!) la presenza dei cinghiali è stata più spesso appurata, e qualcuno li ha finanche colti in flagranza di reato mentre onoravano il sudato lavoro dei contadini. Eppure, nella zona di caccia non si vedono né direttamente né indirettamente.
“Ora che ha piovuto bene per quarantott’ore non potranno sfuggirci i loro passaggi! Dobbiamo solo esser furbi quanto loro, ricostruire i movimenti del branco e possibilmente sparare bene!” mi fa l’occhiolino Renato, con l’intento di burlarsi di Teresio per una padella d’inizio stagione su un porcastro. Un venerdì pomeriggio inforchiamo gli stivali e partiamo in perlustrazione. È facile dimenticare di essere in Piemonte e trasportarsi con la fantasia nella giungla: fango, caldo e zanzare rendono l’ambiente ostile e la passeggiata sgradevole, ma la nostra missione è chiara. “Basta farsi prendere per il naso da questi cinghiali! Mica possono essere volanti! Da qualche parte dovranno pur passare!” cerco di spronare i miei amici.
“Questo qui è un signor solengo!” sussurra Teresio affiancando il suo piedone taglia 46 alla poderosa impronta che sprofonda nel fango per almeno tre centimetri. “Se è sulle tracce del branco presto troveremo anche quelle” aggiungo, incrociando le dita nelle tasche.
Con qualche ponfo di zanzare in più torniamo alle macchine, dandoci appuntamento per l’indomani mattina.
Siamo ormai ad agosto, manca un mese alla chiusura della selezione al cinghiale, e noi tre non siamo riusciti a prenderne nemmeno uno! Le piccole e divertenti competizioni che s’instaurano tra i cacciatori di selezione delle zone limitrofe non ci tangono minimamente: il carniere è stato scarso per tutti, ma per noi è ormai una questione di principio! Così concordiamo che per questo ultimo mese usciremo anche all’alba, per aumentare la possibilità d’incontro con l’agognato ungulato.
Parto da Novara alle 3.30 del mattino, è sabato e molti ragazzi smaltiscono i bagordi del venerdì sera chiacchierando sommessamente sotto i portoni e mangiando brioches calde. Passo loro davanti con la carabina in spalla e gli scarponi, “Chissà che penseranno?” mi chiedo. Ma il mio pensiero è fisso su quella grossa impronta accanto allo scarpone di Teresio.
Alle 4.00 in punto imbuco la cartolina. Teresio e Renato sono già arrivati, loro abitano qui vicino e poi alla loro età dormire è meno piacevole che alla mia!
Ci dividiamo secondo le postazioni concordate la sera prima: Teresio sull’altana sul campo di mais, solcato dallo stradello su cui era impressa l’unghiata. Renato all’uscita del bosco, sul confine della zona, dove gli ultimi campi seminati si confondono con le propaggini del parco che inizia a meno di un chilometro. Io sull’altana che guarda il “campo dei caprioli” (da noi così denominato perché la sua soia attrae numerosi folletti). Dalla mia postazione si vede molto bene la porzione di bosco che fa da “tangenziale” per accedere ai campi, tappa obbligata, secondo i nostri calcoli, per il rientro del branco dopo la pastura notturna. È ancora buio, non fa caldo e non si sentono zanzare. Questi minuti di pace in attesa del mattino (e non solo!) mi ripagano del sacrificio della sveglia.
Quando il cielo diventa blu cobalto inizio a decifrare le sagome: le betulle laggiù, una volpe sotto la mia altana, in lontananza un trenino di punti neri… cinghiali! Col binocolo vedo quasi nulla, inquadro con l’ottica, la cui luminosità mi permette di decifrare la scena: un branco di cinghiali, verosimilmente una grossa scrofa con porcastri intorno ai trenta chili, sta rientrando nel bosco, senza passare da quello che secondo me era un passaggio obbligato.
La distanza stimata con il binotelemetro è di circa 300 metri. Non mi sfiora minimamente l’idea di sparare, in primis per la distanza ma soprattutto per la scarsa visibilità. È ancora troppo buio. In oltre se sparassi ora, rischierei di cambiare la direzione del branco che, ad occhio e croce, sembra dirigersi proprio in direzione di Renato.
Il boato della carabina di Renato conferma che le mie previsioni erano giuste. Pochi minuti dopo che il branco era uscito dal mio campo visivo, la palla del 308 del mio socio ha colpito uno dei porcastri. Niente di fatto, per me e Teresio, e uno a zero anche per il grosso verro che probabilmente ancora si aggira per le colline. “E’ un animalotto piccolo” commentiamo insieme, e nel comporre le spoglie con lo sguardo ci soffermiamo a controllare le scapole. Vuoi mai che, visto che per mesi e mesi non hanno lasciato tracce… fossero davvero cinghiali volanti!