Caccia & Cacciatori: La vicenda dei cinghiali radioattivi scoperti in Valsesia ha riacceso i riflettori su una delle problematiche più temute e imprevedibili del mondo venatorio: il rischio di abbattere, mangiare e far consumare selvaggina radioattiva, cioè contaminata da radiazioni e in un livello superiore a quello consentito.
C’è da dire che il rischio radioattività riguarda non solo la selvaggina, ma tutto l’ecosistema coinvolto dal rischio di contaminazione e dunque funghi, frutti di bosco e altri prodotti presenti sulle superfici boschive, le più a rischio in fatto di assorbimento di radioattività. I cinghiali della Valsesia esaminati lo scorso marzo sembravano contenere una quantità di cesio 137 superiore ai livelli consentiti e quindi “potenzialmente” rischiosa per la salute umana. La causa di questa contaminazione viene fatta risalire da molti alla radioattività proveniente dalla centrale nucleare di Chernobyl, dove il 26 aprile del 1986 si verificò l’incidente atomico più grave del XX secolo.
Dopo le rassicurazioni degli esperti, l’ansia e l’allarme sull’episodio dei cinghiali piemontesi contaminati sembrano essere scemati, anche se rimane il dubbio sulla qualità della selvaggina che insiste in altri territori dell’Italia, dell’Est Europeo e non solo. Quando si verifica un incidente nucleare, infatti, la contaminazione radioattiva è un evento certo e altamente probabile, perché favorito dal cosiddetto fall-out, cioè dalla ricaduta di radiazioni in un territorio diverso da quello in cui si sono originate. La nube radioattiva è una mistura tossica in continuo movimento, poiché sospinta dalle correnti e dai venti. Ne consegue che la presenza di radioattività è un fenomeno a macchia di leopardo, con una presenza maggiormente localizzata in alcune zone e meno in altre. Questa differente concentrazione di radiazioni dipende dal fatto che le stesse sono soggette alla dispersione a causa delle piogge e del dilavamento. I territori montani e boschivi, per la loro particolare conformazione, si prestano proprio all’accumulo di radioattività a “ tratti”, con aree più contaminate perché sottoposte a maggiori precipitazioni e dilavamento.
La pioggia “radioattiva”, ricadendo sul suolo boschivo, ne contamina l’ecosistema fatto di particolari specie vegetali, frutti di bosco, funghi commestibili e selvaggina che se ne nutre.
I cinghiali, ad esempio, ma anche altri ungulati come il capriolo o il cervo, per abitudine, si nutrono dei resti del bosco. Il rischio di contaminazione è maggiore nel cinghiale perché si tratta di un animale onnivoro che grufolando ingoia di tutto. Questo però non vuol dire che il livello di contaminazione radioattiva sull’animale possa avere conseguenze dannose per la salute umana.
Il cesio 137 è, infatti, un isotopo radioattivo che all’interno di un organismo vivente viene metabolizzato come il potassio, cioè nei muscoli e nel cuore, ed eliminato dopo 70 giorni attraverso gli escrementi. Naturalmente, dosi elevate di cesio 137 rappresentano sempre un rischio per la salute umana, ma per sviluppare danni o mutazioni genetiche bisognerebbe consumare tutti i giorni una quantità di carne contaminata pari a centinaia di chili e non certo a qualche etto all’anno. Semmai, il rischio per la salute è legato a un consumo sistematico di altri prodotti contaminati. Come sostengono anche autorevoli esperti ed oncologi, affinché si sviluppi un cancro occorre un’esposizione elevata e prolungata nel tempo a sostanze cancerogene. E’ certo che chi vive e lavora in aree dove si è avuta la fuoriuscita di radioattività può avere un rischio quasi immediato di sviluppare dei danni, ma l’assunzione di piccole quantità di un alimento contaminato non espone allo stesso rischio.
Ma cosa accade invece, se l’esposizione è prolungata o se, senza saperlo, si consumano costantemente prodotti contaminati? In questo caso il discorso cambia e pone subito una questione non più rinviabile: il controllo sistematico e preventivo di tutti i prodotti commestibili che potrebbero contenere livelli di radioattività superiori a quelli massimi consentiti. La vicenda dei cinghiali piemontesi appare molto curiosa perché emersa a seguito di un controllo effettuato allo scopo di scoprire la presenza di un parassita tipico dei suini: la trichinella. L’esame su un campione di 27 cinghiali è poi proseguito con il test per la ricerca del cesio 137, così come indicato dalle raccomandazioni della Commissione Europea, raccomandazioni in vigore dall’aprile 2003 e destinate a impegnare i Paesi Membri dell’Ue in un’attività di monitoraggio della radioattività generata dall’incidente di Chernobyl. Le analisi della Commissione contengono dati che fanno riflettere. Nelle stesse, l’autorità europea afferma che “la ricaduta di cesio radioattivo derivante dall’incidente della centrale nucleare di Chernobyl ha colpito un gran numero di paesi terzi”. “Le bacche selvatiche- si legge ancora nel testo – quali mirtilli neri, bacche di rovo, mirtilli rossi, lamponi, more di rovo e fragole selvatiche, varie specie di funghi selvatici commestibili (ad esempio galletti, boleto baio, steccherino dorato), la carne di selvaggina (capriolo e cervo) e i pesci carnivori d’acqua dolce (ad esempio luccio e pesce persico) in talune regioni dell’Unione europea continuano a registrare livelli di cesio radioattivo che superano i 600 Bq/kg. I funghi della specie micorrizae (ad esempio Boletus edulis) e la carne di cinghiale sono stati colpiti molto più tardi dalle ricadute e presentano oggi livelli molto elevati di contaminazione da cesio radioattivo nelle zone con i livelli di deposizione più elevati”.
La problematica della radioattività di Chernobyl sulla selvaggina ha riguardato e riguarda anche altri territori, come la Germania, dove dal 2007 al 2009 sono stati erogati 425 mila euro di indennizzi ai cacciatori per cinghiali con livelli di cesio superiori alla norma e quindi con carne non consumabile o vendibile. Recentemente, altri dieci cinghiali radioattivi sono stati trovati in Val d’Ossola, mentre sono risultati negativi i test su 53 capi abbattuti nell’astigiano. Nella regione della Cumbria, in Gran Bretagna, invece, molte aree da pascolo per gli ovini sono state sottoposte a restrizioni. Allarme radioattività anche per alcuni cinghiali del Friuli Venezia Giulia, trovati morti lo scorso marzo e per i quali sono stati disposti accertamenti su eventuali contaminazioni radioattive.
La notizia, divulgata dai media, avanzava alcune ipotesi sulla morte degli animali, come l’uso di esche avvelenate ( ipotesi esclusa dai cacciatori) o il guasto alla centrale nucleare di Krsko in Slovenia, distante un centinaio di chilometri dal luogo dove erano stati ritrovati i cinghiali senza vita. Nel 2007, dalla stessa centrale, come riportato sempre dalla stampa, si verificò la fuoriuscita di acqua di raffreddamento dal reattore nucleare. Tornando al disastro di Chernobyl, un rapporto, stilato all’epoca dell’incidente dalla Cee, non evidenziava livelli preoccupanti di radioattività in Italia, ma, per la contaminazione, metteva il nostro Paese al terzo posto dopo la Grecia e la Germania.
Dopo Chernobyl, un altro tragico evento ha scosso le coscienze di tutto il mondo: il terremoto in Giappone, dove il sisma ha causato anche il guasto della centrale nucleare di Fukushima, generando il peggior incidente nucleare dopo quello ucraino del 1986. Le sostanze radioattive che si sprigionano dopo un incidente hanno un tempo di dimezzamento di molti anni, cioè occorre un certo tempo affinché la radioattività si riduca o si dimezzi fino ad azzerarsi. Il cesio 137 si dimezza dopo 30 anni, l’incidente di Chernobyl, invece, è avvenuto “solo” 27 anni fa. Se non è possibile conoscere i danni di un incidente pregresso, ancora più difficile sarà quantificare quelli di un danno recente. Naturalmente, gli allarmismi sono inutili, ma conoscere cosa mangiare e cosa no potrebbe già essere un buon risultato.