La sera prima lo guardavo preparare tutto l’occorrente per il giorno successivo. Era metodico, scrupoloso e ordinato. I suoi vestiti erano sempre puliti e ben stirati da mia madre. Io gli chiedevo sempre : “Ma perché tanta cura, se poi torni sempre tutto sporco?”. Lui mi rispondeva: “Non importa. Nella vita, la cosa importante è presentarsi sempre bene agli appuntamenti”. Desideravo andare con lui, ma non potevo. Ogni volta che chiedevo di poterlo accompagnare, mi diceva che non era arrivato ancora il momento e che dovevo avere pazienza. Allora dicevo : “Vengo disarmato, non voglio sparare, voglio solo guardarti”. Lui mi rispondeva : “Sarebbe come farsi una doccia con l’impermeabile”. Mi chiamo Edoardo ed ho 52 anni. Questo è un ricordo di mio padre.
Al diciottesimo anno mi regalò due cose, che mi avrebbero consentito di andare con lui a caccia. La prima era l’iscrizione alla scuola guida, per sostituirlo durante i lunghi tragitti. La seconda un fucile. Quando vidi il pacco, capì subito di cosa si trattava, ma l’emozione era comunque tanta. Scartai il regalo: dentro c’era un fucile calibro 12. Aveva deciso di far incidere le mie iniziali. Finalmente ero pronto, pensai. Chiesi : “Adesso posso venire con te?”. E lui :” Certo!”. Lo abbracciai forte, stringendolo come non avevo mai fatto prima.
Era fine gennaio e decidemmo di andare a caccia al cinghiale.
Insieme a noi c’erano i nostri segugi italiani, Balbo ed Ingrid. Era evidente al loro contentezza, nel momento in cui li caricammo in auto. Avevano capito che si partiva per una battuta di caccia, erano pronti.
Arrivammo in prossimità del bosco di latifoglie e conifere, l’habitat ideale del cinghiale. Scendemmo dall’auto ed iniziammo a controllare tutta la nostra attrezzatura. I cani fremevano ed iniziarono il loro lavoro. Seguivano le tracce lasciate dal cinghiale nel sottobosco. Rimanevano sempre accanto a noi. Mio padre mi guardava, voleva vedere come mi muovevo. Dopo un po’ smise di osservarmi ed io ero contento, perché avevo capito che non aveva bisogno di altro per capire che ero pronto per la caccia. Continuavamo la nostra camminata, quasi in silenzio, sperando che i cani riuscissero a scovare una traccia.
La trovarono finalmente ed iniziarono a seguirla. Dopo un tempo indefinito scovammo il cinghiale. Era un magnifico esemplare di oltre 80 Kg e 1 metro di altezza. Mio padre mi fece cenno di puntare e sparare, mentre lui continuava a tenere d’occhio il cinghiale nel caso avesse deciso di caricare. Il cuore batteva forte, quasi rompeva la gabbia toracica. Trattenni il respiro, mirai al cuore e feci fuoco. Un solo colpo ed il cinghiale andò giù.
Durante il rientro mio padre era felicissimo, forse più di me. La mi prima battuta di caccia ed ero riuscito a prendere un cinghiale, di quelle dimensioni poi. In quel momento capì che l’attesa di tanti anni mi aveva ripagato. Mio padre mi diede una pacca sulla spalla e mi disse : ”Tra qualche tempo saprai tutto quello che c’è da sapere sulla caccia, il resto lo imparerai sul campo, ogni volta che uscirai. Guarda come si muovono gli altri ed impara da chi ha più esperienza di te”. Arrivammo a casa, dove ci accolse nostra madre, felice anche lei per la preda conquistata. Durante la cena ripercorremmo tutta la giornata, passo dopo passo. Ce ne furono altre dopo di quella, ma non abbastanza per saziare la mia voglia di trascorrere giornate insieme a mio padre. Oggi ho 52 anni e mio padre non c’è più da qualche tempo. Quando penso al lui, il mio pensiero spesso va a quella giornata. Poi guardo mio figlio.
E’ mattina presto, siamo pronti per andare a caccia.
Fonte :
D.M.