A Caccia nel Chianti: chi non ha mai visitato gli monti alti del Chianti si dovrà fidare del sottoscritto, chi invece ci va tutte le volte che a tempo starà già correndo, con la mente, a quel giorno di caccia sorprendente e a quel tiro storico che ha raccontato cento e una volta al bar.
E’ da poco che conosco la zona, mi ci ha trascinato un mio amico che ne raccontava meraviglie. Io credevo esagerasse e soprattutto ero certo che il gran fascino della zona Alessandro lo vedesse in tavola, davanti ad un buon bicchiere di vino, invece le sorprese non sono mancate. “Una caccia al cinghiale proprio alle sorgenti della Greve”, mi ha proposto Ale, e io alla fine mi sono lasciato convincere. L’agriturismo – azienda venatoria come immaginavo mi è sembrato fin da subito super: belle stanze, ottima tavola, cortesia e un briciolo di tradizione che non basta mai. Ma il meglio doveva ancora arrivare.
La mattina di caccia come al solito ci è toccata una levataccia. Il freddo era pungente e la risalita è stata faticosa, niente a che vedere con le morbide colline e i vigneti profumati che mi immaginavo; eravamo in tanti, una lunga fila indiana che ammirava gli alti castagneti e la vegetazione selvaggia, tenendo acceso il passo per non perdere il capo caccia che, si vedeva da lontano, conosceva bene il luogo.
Di squadre quel giorno ce ne erano parecchie: il motivo è semplice. Il bosco oggi è una vera e propria selva oscura, abbandonato da anni ha avuto tutto il tempo e la tranquillità per rinfoltirsi, diventando un nascondiglio a cinque stelle per i cinghiali. Solo un numero interessante di squadre che cacciano in simbiosi ha la reale possibilità di chiudere in bellezza la battuta di caccia. La nebbia era leggera, ma la giornata prometteva tanto di buono: in più c’era quella brezzolina leggera che normalmente spazza via tutta l’incertezza e innesta nel cuore dei cacciatori un certo, vago, buon umore. Io e Alessandro decidiamo, con il benestare del capo caccia, di rimanere vicini anche durane la posta e seguendo il sentiero che si attorciglia in tornanti piuttosto ripidi, Ale continua a raccontarmi delle sue precedenti esperienze in quel luogo fantastico.
Non vedevo l’ora d’essere su, di vedere con i miei occhi. Intanto il sentiero continuava a stringersi e il mio fiato a farsi più affaticato. “Ma si arriva per davvero o stiamo facendo una passeggiata di salute?” gli chiedo ad un tratto, con un tono mezzo preoccupato, mezzo scherzoso. Si fa sul serio quando il sentiero scompare e noi siamo costretti a seguire le piste degli animali: si inizia a giocare. Il capo caccia, un signore tutto d’un pezzo, dai capelli bianchi e gli occhialini lucidi inizia a posizionarci con attenzione. Dopo pochi minuti ci ritroviamo tutti al bordo di un canalone roccioso piuttosto suggestivo: peccato che io non ami le altezze e la situazione inizia a darmi un poco di fastidio. Ale intuisce e facciamo a cambio di posto: mi sento più riparato e riprendo a godermela. Davanti noto il favoloso bosco di castagno: abbandonato dall’uomo sì e forse per questo tanto pulito e bello. I tiri che verranno, se verranno, potranno essere puliti e sicuri. Io e Ale siamo distanti circa cinquanta metri. Tutto intorno è silenzio. Quel luogo inizia ad entrarmi nel cuore. Indosso il gilè arancione, cerco un sedile provvisorio e inizio a controllare al zona.
In quei momenti ho sempre la sensazione che le mie percezioni si migliorino: improvvisamente sento l’odore della terra e profumo di funghi. Questo vuol dire solamente una cosa; o i cinghiali hanno di recente frugato la terra o qualche componente del gruppo sta cercando un modo nuovo per ingannare l’attesa. Più probabile si tratti di cinghiali in fuga notturna: tutti i passaggi sono smossi, la terra rivoltata e nera e l’attesa si fa assassina. Ad un certo punto la radio mi conferma l’inizio della cacciata. Sono tranquillo: non è sempre cosi quando si comincia, ma questa volta la mia posizione è ottimale e sono protetto anche da eventuali colpi vaganti che ogni buon cacciatore deve sempre tenere in considerazione e tentar di prevedere.
In lontananza sento colpi di fucile e commenti e come spesso accade, a me e un po’ a tutti, le padelle altrui un poco mi rallegrano. Aspetto, aspetto e aspetto: divoro un panino tanto per ingannare il tempo quando un canaio ci avverte “Cani a fermo. Attenti”. Il cuore inizia ad andare più forte. Certo, non ci credo, ma la speranza non ti abbandona mai: siamo in tanti, perché il cinghiale dovrebbe venire proprio da me? Inoltre il bosco che mi sta davanti è troppo pulito, non offre ripari. E invece no! Sono seduto ma balzo in piedi. E’ lontana, è nera, ma si avvicina rapidamente. La bestia dista da me un centinaio di metri, la sua andatura è veloce e oscilla di qua e di là. Sorprendente quanto sia in grado di tenere lontani i cani. Mi decido: questo tiro è almeno da tentare. Mi siedo di nuovo, miro, sparo e niente. Il contatto visivo si interrompe davvero per poco. Il cinghiale salta fuori dopo qualche secondo fra trochi e bassa vegetazione. Sparo ancora. Alessandro poco più su di me è probabilmente in eccitazione. Niente. I cani arrivano baldanzosi ma invece che andare oltre, seguendo la passata, si fermando dietro i castagni e abbaiano. No, non ci credo. L’ho preso!
A quel punto mi capita quello che capita a molti: iniziano a tremarmi le gambe dall’emozione. Tutti per radio chiedono cosa sia successo. Il canaio mi chiede di scacciare i cani per farli proseguire. Parto alla volta dei cani non prima di aver avvisato i vicini che mi sto muovendo. Muoio dalla curiosità. Lo trovo praticamente subito. E’ grosso, è maestoso. Con una frasca cerco di cacciare i cani, mi ringhiano ma dopo poco si allontanano. Guardo dove l’animale è stato colpito e mi sorprendo di me e della mia fortuna. Ma la caccia prosegue. Indico ai compagni il luogo nel quale si trova il cinghiale e ritorno al mio posto. Passano quelli che a me sembrano minuti, e sento che anche le poste alte si danno da fare. Sorrido quando arriva il segnale del fine caccia. Insieme con gli altri andiamo a ritirare il premio: con me, come al solito ho una fune. Leghiamo il cinghiale e non senza fatica lo portiamo via. La sera ospiti del delizioso agriturismo, davanti a molti bicchieri di vino racconto una infinità di volte della giornata eccezionalmente fortunata. Tutti erano certi che i colpi fossero di Alessandro, meglio posizionato, ma no, la gloria è tutta mia. Una volta nella vita ti deve capitare il tiro fortunato. A me è successo qualche mese fa, sui monti alti del Chianti.