Ieri mattina si è consumato il rito della pre-apertura della caccia in Italia. Sedici le regioni su venti hanno scelto di aderire alla pre apertura della caccia; ogni regione con modalità proprie.
In Italia la pre-apertura verso alcune specie selvatiche è possibile grazie a una legge del 1992, che concede un anticipo di due-tre settimane all’apertura generale della caccia in Italia. Ecco alcune delle diversità delle regioni che hanno aderito alla pre-apertura della caccia. La Basilicata, per esempio, consente di sparare da subito alle gazze, alle cornacchie grigie e alle tortore al fine di permettere la caccia al cinghiale più avanti e chiudere così, con sedute tre volte a settimana, il 10 febbraio.
La regione Sicilia invece sta offrendo ai cacciatori undici giorni in più prima dell’apertura ufficiale. Le regioni Marche e Piemonte consentono uscite con sette giornate di caccia aggiuntive. Non si spara, per ora, solo in Abruzzo, Liguria, Trentino-Alto Adige e Valle d’Aosta.
La polemica è già alta. Quest’anno non c’è il surplus ambientale negativo del 2017, quando incendi e siccità avevano spogliato e inaridito i boschi della Penisola e nelle regioni in cui governa la Lega l’attività dei seicentomila cacciatori registrati è sostenuta. Tuttavia, le voci contro la caccia si sono mosse con tempestività.
Il Wwf ha presentato ben nove ricorsi ai tribunali regionali contro le pre-aperture della stagione di caccia: “Erano diversi anni che non si assisteva, da parte delle Regioni, a una così generalizzata violazione delle norme che tutelano la fauna e che regolano l’attività venatoria. Deliberano di anticipare l’avvio della stagione di caccia ai primi giorni di settembre, rispetto a quanto stabilito dalla legge, ovvero la terza domenica di settembre, e prolungando così la già lunga stagione venatoria autorizzano molti giorni di caccia in più, con migliaia e migliaia di animali uccisi”.
Non sono stati certo a guardare i Verdi che parlano apertamente di “atti di crudeltà legalizzata”. Così scrive Luana Zanella, coordinatrice dell’esecutivo dei Verdi: “E’ arrivato il momento di rivedere una legislazione che appare evidentemente inadeguata a tutelare le specie selvatiche, rilanciamo la proposta di legge per l’abolizione della caccia”.
Più moderata Lega italiana protezione uccelli (Lipu, appunto) che cita verso la pre-apertura: “danneggerà la tortora selvatica, specie globalmente minacciata, per cui l’Unione europea sta chiedendo una salvaguardia totale”. E metterà a rischio “anche le ultime fasi della nidificazione per altre specie”. La Lipu attacca le regioni “piegate alle pulsioni venatorie” anche contro i pareri del ministero dell’Ambiente. Non è sfuggito9 neppure che la regione Puglia, “del tutto fuorilegge”, non si è ancora data un calendario venatorio, obbligatorio dal 15 giugno, né un piano faunistico.
Ci sono altre sei specie da oggi cacciabili considerate “globalmente minacciate”. Sono la pavoncella, il moriglione, la coturnice, il tordo sassello, l’allodola e, dove presente, la pernice bianca.
L’Ente nazionale protezione animali, spingendo sul dualismo di governo, si appella ai Cinque Stelle: “Fatevi portavoce dei diritti degli animali e del ripristino della legalità”. Dice Enpa: “Gli abusi e le forzature delle Regioni, che concedono sempre di più ai cacciatori calpestando scienza, sentenze del Consiglio di Stato, della Corte costituzionale, dei Tar, sono particolarmente evidenti”.
La pre-apertura può essere concessa solo a rigide condizioni: il parere dell’Ispra, l’istituto scientifico di riferimento, e la presenza di un piano faunistico venatorio regionale adeguato. Il piano del Lazio, che è partito oggi e posticipa al 10 febbraio, risale al 1998.