Caccia in Italia: Oltre le sterili critiche, un quadro sulla caccia in Italia, arte antica praticata da sempre meno cacciatori professionisti.
La caccia in Italia è regolata dalla legge dell’11 febbraio 1992, n. 157, la caccia è arte antica, ricca di fascino e tradizione, capace di legare l’uomo all’ambiente in maniera indissolubile. La fauna selvatica è definita patrimonio indisponibile dello Stato e ogni cacciatore ha l’obbligo di seguire le norme e i calendari venatori che sperano di regolamentarne il prelievo, non sempre, c’è da dirlo, cogliendo nel segno.
La legge 157/92 nel suo secondo articolo stabilisce quale sia la fauna selvatica che abbia necessità di tutela e quali siano le specie protette facendo differenza tra mammiferi, fra i quali gli esemplari protetti sono lupo, sciacallo dorato, orso, martora, puzzola, lontra, gatto selvatico, lince, foca monaca, tutte le specie di cetacei, il cervo sardo ed il camoscio d’Abruzzo e tra uccelli. Quelli protetti sono davvero tanti partendo dal marangone minore fino al cigno selvatico, al fenicottero e alla cicogna.
Detto questo per dedicarsi alla caccia in Italia è indispensabile essere in possesso della licenza di porto di fucile ad uso caccia. I documenti per ottenere tale licenza sono diversi:
• certificato di idoneità al maneggio di armi che deve essere rilasciato da una sezione del Tiro a Segno Nazionale;
• certificato anamnestico che comprovi l’idoneità psico fisica che dovrà essere rilasciato o dal medico di famiglia o dalla Asl competente;
• infine superamento dell’esame che abilità all’esercizio venatorio. Si svolge in forma scritta e orale e verte su cinque materie: zoologia, normativa, armi, balistica, agricoltura e naturalmente primo soccorso.
Il cacciatore che ha ottenuto la licenza di porto di fucile per uso venatorio potrà svolgere diversi tipologie di caccia: quella vagante in zona Alpi (con relativa autorizzazione), caccia da appostamento fisso, e tutte le forme consentite dalla legge 157/92 fra cui la caccia vagante all’avifauna migratoria e stanziale, la caccia da appostamento temporaneo, la caccia alla lepre e alla volpe.
Se invece si desidera praticare la caccia al cinghiale (in alcune Regioni) o la caccia di selezione è necessario aver sostenuto un esame specifico. Esercitata su territori agro silvo pastorali, modalità e criteri di caccia vengono sempre pianificati dalle Regioni che devono destinare il 20 – 30% del territorio in questione alla protezione faunistica.
Ogni regione inoltre determina il calendario stagionale, nel quale sono indicate tutte le date nelle quali è prevista l’apertura e la chiusura della caccia.
Caccia in Italia: Se a livello teorico tutto funziona alla perfezione a livello pratico le normative in vigore, obsolete e da rivedere, stanno minando nel fondo l’essenza stessa dell’arte venatoria in Italia.
Diversamente da come si legge non è la progressiva diminuzione dei giovani interessati alla caccia il motivo che sta spingendo sempre più praticanti ad abbandonarla, quanto piuttosto costi e regolamenti.
Tanto per cominciare l’avanzamento dell’antropizzazione del territorio, con la relativa cementificazione riduce, anno dopo anno, il territorio agro silvo pastorale dedicato alla caccia, ma sono soprattutto i costi annuali relativi alla licenza di caccia che fanno diminuire ogni anno il numero di cacciatori: si stima che ogni cacciatore (con variazioni da regione a regione), debba sborsare da un minimo di 300 ad un massimo di 500 euro all’anno per la sua licenza.
Questa condizione di cose ha causato una diminuzione dei praticanti davvero spaventosa: si è passati dal 1.701.853 praticanti del 1980 ai 751.876 del 2007, e i dati degli ultimi 4 anni non fanno che convalidare il fenomeno.
Un vero peccato, specie se si conta che la caccia è un’attività pressoché necessaria per la tenuta sotto controllo di numerose specie erbivore che, vista la propria consistenza numerica, mettono a repentaglio la sopravvivenza dell’attività agricola in diverse località italiane. Le specie incriminate sono sicuramente il cinghiale, daino, muflone, capriolo, cervo, camoscio, e stambecco, per le quali l’abbattimento selettivo, previsto e pianificato da zoologi, è fondamentale.
Tutti gli aspetti negativi della caccia, che nessun cacciatore degno di questo nome dimentica, potrebbero invece essere facilmente limitati con un rinnovo della legge 157/92, che necessiterebbe oramai di una rivisitazione.
Con le giuste normative si potrebbe risolvere il problema relativo alla caccia degli uccelli migratori, la cui protezione risulta difficoltosa, ma anche l’impatto negativo che si stima abbia la dispersione di piombo sul terreno e l’introduzione di specie aliene dannose per quelle autoctone in fase di ripopolamento.
Insomma è arrivato il momento che per la regolamentazione della caccia le Regioni e lo Stato ci mettano non solo il cuore, ma anche la testa.