A partire dagli anni Cinquanta dello scorso secolo, ci sono state delle reintroduzioni controllate di ungulati da parte del Corpo Forestale dello Stato, ma nei decenni successivi sono stati numerose le reintroduzioni clandestine di cinghiali dall’Est Europa da parte di gruppi di cacciatori. E nel tempo, nonostante in Toscana ci sia una lunga stagione venatoria e tanti cacciatori, la crescita di queste specie è sfuggita di mano. Il dibattito verte anche sui cacciatori: sono una risorsa o sono parte integrante del problema?
Anche Giuseppe Liberatore, direttore del Consorzio Chianti Classico, ha detto la sua: “Ormai è da 6-7 anni che stiamo conducendo questa battaglia, ma oggi la situazione degli ungulati, è del tutto fuori controllo tanto che ormai, non solo ci sono problemi per la produzione – incide per il 5/10% – ma anche per la sicurezza. Bisogna ragionare in modo diverso su tutto il territorio, aree vocate e aree protette comprese, e soprattutto passare dalle parole ai fatti”.
I provvedimenti possibili e gli obiettivi. Al momento la legge regionale di riferimento è la n.3/1994, ma è evidente che non ha funzionato. Uno spiraglio potrebbe venire dalla Legge obiettivo specifica per la gestione degli ungulati proposta dall’Assessore all’agricoltura della Regione, Marco Remaschi, con il supporto del Ministero dell’Ambiente. Tra le innovazioni previste, il passaggio delle competenze sulla caccia dalle province alla Regione e l’uniformità normativa in tutto il territorio regionale.
Inoltre le aree non vocate potranno essere gestite con forme di caccia selettive per tutte le specie interessate e per un periodo ampio del calendario venatorio. E ancora sarà data la possibilità agli agricoltori di poter gestire le catture sul proprio fondo e di avviare una filiera della carne. L’obiettivo è di limitare la presenza degli ungulati nell’arco di tre anni. Ma prima bisogna arrivare alla sua approvazione, che potrebbe arrivare in primavera, anche se troppi aspetti sono ancora sotto il fuoco incrociato delle lobby dei cacciatori, degli animalisti e degli agricoltori. Insomma le cose da discutere sono ancora molte, ma almeno è un passo avanti.
Banca dati ungulati: analisi di un fenomeno. In una pubblicazione del 2009 dell’Ispra (Istituto Superiore per la Protezione e la ricerca ambientale) intitolata “Banca Dati Ungulati. Status, distribuzione, consistenza, gestione e prelievo venatorio delle popolazioni di ungulati in Italia”, riferita al periodo 2001-2005, già la situazione era ben delineata. “La Toscana” si legge nel documento “si conferma la regione con il maggior numero di prelievi con 42.223 capi abbattuti durante il 2004-2005 (sebbene manchino i dati di Pisa e Massa Carrara), seguita dalla Liguria (15.275), l’Emilia-Romagna (12.827) e il Piemonte (12.662), tutte con più di 10.000 capi prelevati annualmente.
Analizzando i dati dei prelievi a livello provinciale emerge chiaramente la concentrazione degli stessi nell’area centrale e nord-occidentale del Paese. Più di 5.000 capi sono abbattuti annualmente in provincia di Firenze (5.021), Genova (6.525), Siena (9.733), Arezzo (10.361) e Grosseto (10.980). Tra i 3.000 e i 5.000 capi vengono invece prelevati in provincia di Cuneo, Savona, Parma, Bologna e Perugia. Considerando il dato dei carnieri in termini di densità di prelievo, spiccano i valori superiori ai 25 capi per km2 registrati in due province liguri (Genova e Savona) e in due toscane (Siena e Arezzo). Valori compresi tra 15 e 25 capi per km2 si registrano nelle altre due province liguri e a Grosseto e Livorno”.
Le cinque bestie nere per la viticoltura. La Germania è il regno dei procioni. Non si tratta di animali nativi, ma introdotti dal capo aviazione nazista Hermann Goering nel 1934, dopo aver deciso la Germania non aveva abbastanza fauna selvatica. Senza predatori naturali e condizioni geografiche ideali, i procioni, allevati come conigli, distruggono l’agricoltura di tutto il Paese. Il massimo storico è stato raggiunto nel 2005, quando hanno distrutto un intero raccolto di uve nella regione di Brandeburgo. Adesso in Germania ve ne sono più di un milione e il Governo risponde all’emergenza con abbattimenti regolari.
In Sudafrica, i predatori dell’uva rispondono al nome di babbuini. La cosa singolare è che hanno sviluppato un gusto raffinato e divorano solo le migliori uve. In particolare sono ghiotti di Pinot Nero e Chardonnay nella versione più dolce, ma se il grappolo è aspro lo gettano per terra. Inoltre questa specie sgranocchia i giovani germogli della vite, senza lasciare nulla. Cosa fare? In Sudafrica è illegale sparare e uccidere babbuini, così i proprietari di vigneti non possono fare altro che costruire recinzioni intorno alle loro vigne.
In California – in particolare a Sonoma – il pericolo viene dall’alto: qui gli uccelli sono il vero incubo dei produttori. Tra i possibili rimedi adottati, la copertura delle vigne con delle reti. Ma c’è anche chi ha messo in circolazione dei falchi per spaventare gli stormi di uccelli.
Spostandoci in Nord America, ci si imbatte, invece, neicervi, golosi di frutta dolce, foglie e uva. I produttori, per correre ai ripari, hanno messo in campo diversi sistemi, dai più tradizionali ai più ingegnosi: recinzioni elettriche, repellenti per animali, rimedi naturali come succo di aglio o spruzzo di uova.
La bestia nera italiana è, invece, il cinghiale. La regione più colpita è la Toscana dove se ne aggirano circa 200 mila, ma non mancano neppure in altre parti del Paese: a Genova i cinghiali urbani spulciano tra i rifiuti, come fanno le volpi a Londra. La soluzione migliore? A parte le proposte al vaglio, una delle strade seguite – col solito savoir faire italiano – è stata l’introduzione di una cucina locale incentrata sul cinghiale (complici anche i cacciatori: causa o soluzione del problema?). I danni continuano ad essere ingenti, ma per lo meno si piange con la pancia piena.
( 25 novembre 2015 )
Fonte: GamberoRosso