Caccia agli ungulati. La raccolta dell’uva fa gola anche a caprioli, cinghiali, daini e cervi: un vecchio problema alla ricerca di nuove soluzioni.
La Toscana è la regione più colpita e Liberatore (Chianti Classico) parla di “una situazione fuori controllo”. Riuscirà la nuova proposta di legge a risolvere il problema?
Gli ungulati in numero. A Castello di Brolio le uve divorate dagli ungulati sono state quantificate in 1000 quintali, Castello di Meleto lamenta la perdita di 500 quintali, mentre a Rocca di Castagnoli sono stati 700 pari a 490 ettolitri di vino. È andata meglio – si fa per dire – a Badia a Coltibuono dove i quintali persi sono stati tra i 250 e i 300. Complessivamente le quattro aziende dispongono di 540 ettari di vigneto, hanno un fatturato di oltre 30 milioni di euro e, compreso l’indotto, danno lavoro a centinaia di persone.
Insomma sono una “fonte” piuttosto attendibile e, tutti insieme, hanno mandato un grido di allarme alle istituzioni. In Toscana, la stima degli ungulati “in attività” parla di 200.000 caprioli, 200.000 cinghiali, 8.000 daini e 4.000 cervi. Tutti affamati, specialmente in tempo di vendemmia quando i grappoli, dolci e sugosi, sono un richiamo irresistibile. D’altra parte la presenza di boschi e di foreste che occupano il 60% del territorio regionale è un ottimo habitat per lo sviluppo e la prolificazione della fauna selvatica che in qualche caso viene addirittura pasturata da degli irresponsabili che riforniscono di pane e di mais gli animali.
Recinzioni e incidenti stradali. Un problema che Massimiliano Biagi, agronomo del Castello di Brolio, conosce bene: “Difendersi da quello che è un vero e proprio assalto non è affatto facile, di sicuro è dispendioso e non sempre risolutivo. Le reti elettrificate richiedono una manutenzione continua e non risolvono il problema, anche perché il capriolo salta anche 2 metri in altezza. Ora siamo costretti a recintare con reti alte e fisse che hanno un forte impatto ambientale e un costo elevato, circa 25 euro al metro lineare, ma richiedono anch’esse una manutenzione assidua”.
È paradossale che da una parte si faccia di tutto per incrementare gli itinerari naturalistici e i percorso a piedi del Chianti Classico, da sempre un’area libera, quando poi si è costretti a fare delle lunghe deviazioni a causa delle reti anti-ungulati. E in macchina guidare per le strade chiantigiane non è affatto rilassante. La principale causa degli incidenti stradali nel senese (tra il 70% e l’80% secondo la Provincia) si deve proprio all’impatto con qualcuno di questi animali.
L’assessore all’agricoltura della Regione Toscana, Marco Remaschi, ha recentemente ricordato che gli incidenti stradali che vedono coinvolti ungulati sono in forte aumento. “Erano circa 250 nel 2013” ha detto “sono stati oltre 700 nel 2014 e le stime per l’anno 2015, con dati a settembre, sono di 900/1000 incidenti. E fra questi ci sono anche incidenti mortali”.
L’impatto economico. Problema di vecchia data. Da un sondaggio del Consorzio del Vino Chianti Classico Gallo Nero di qualche anno fa, effettuato tra le aziende associate – circa 600 aziende che rappresentano il 95% della denominazione – emergeva che il 90% delle stesse avevano ripetutamente subito danni di varia entità. In molti casi i danneggiamenti non vengono nemmeno denunciati presso gli Ambiti Territoriali di Caccia (ATC) perché il rimborso – quando ci sono i fondi – viene effettuato sul costo delle uve a prezzi mercuriali, cioè facendo riferimento al listino del prezzo medio, emanato dalla Camera di commercio, molto poco remunerativo per il danneggiato.
Basti pensare che quell’uva trasformata in vino, potrebbe essere di un vigneto destinato alla produzione di Chianti Classico Gran Selezione. Quindi con una perdita secca di introiti, nemmeno lontanamente paragonabile a quella dell’uva. Il danno poi non è solo il mancato raccolto e la perdita di produzione, ma danneggiamenti alla pianta anche negli anni successivi, soprattutto perché i caprioli brucano tutti i nuovi germogli della vite.
I danni ai boschi. Andrea Cecchi dell’omonima casa vinicola di Castellina in Chianti spiega che “il problema degli ungulati è sempre più serio, anche perché spesso ad essere colpiti sono i vigneti più belli e nelle migliori esposizioni, da cui si ottengono i vini più pregiati. Quest’anno abbiamo perso la produzione di 2,5 ettari di vigneto equivalente a 130 quintali di uva, più per l’azione dei caprioli che dei cinghiali. In Maremma danni molto forti li abbiamo registrati nelle annate più siccitose come nel 2011 e nel 2012 mentre nel 2015 le piogge al momento giusto ci hanno in parte salvato dall’assalto”.
Caprioli, cinghiali, daini e cervi non sono solo un problema per la viticoltura ma anche per i boschi. Ad essere colpiti, anche in questo caso, sono i nuovi germogli che brucati, influiscono sulle crescita degli alberi. In preoccupante crescita anche le diagnosi della malattia di Lyme, causata da un batterio che infesta le zecche, veicolate da cervi e caprioli, che possono infettare gli umani.
Piccola e grande fauna, ripopolamento e caccia. Ma non ce n’èper nessuno, nemmeno per la piccola fauna: nei boschi e nei prati quasi del tutto scomparse le lepri e anche i fagiani non se la passano molto bene. Infatti una poco accorta politica di ripopolamento, una gestione scarsamente oculata delle aree protette e una certa accondiscendenza verso i cacciatori, ha permesso di importare specie animali estranee al territorio. Per risalire all’origine di questa pratica, bisogna andare indietro nel tempo.