Caccia e Fauna: Sicilia, “serve più selvaggina per equilibrio ambientale ecosistema, non solo per i cacciatori”; chiarezza sulla ripartizione faunistico venatoria della normativa regionale.
Oggi l’allevatore belpassese si trova ad intervenire nuovamente non solo per difendere la sua proprietà ma tutta la categoria oggi in ginocchio. “Negli Anni ‘80-‘90 fatturavamo circa 400 milioni l’anno. L’anno scorso ho fatto solo 8.500 euro e con questi soldi non posso pagare nemmeno l’Inps. Di circa 90 centri di produzione selvaggina in Sicilia ora ne sono rimasti tre-quattro. Così come c’erano tante aziende agro faunistico venatorie, tante armerie, sta chiudendo tutto. Nel 1998 c’era un volume d’affari di circa 19milioni di euro”.
Adesso cos’è cambiato? “Non si lavora più perché la Regione ha bloccato tutto. Io riconsegnerò a giorni il decreto di autorizzazione regionale del centro di produzione selvaggina perchè la Regione non ha più intenzione di fare il regolamento faunistico venatorio. Quindi non ha senso che io mantenga un’azienda per il ripopolamento faunistico venatorio con tutto quello che comporta”.
Perché ha fatto un esposto alla Procura? “Oltre al discorso del ripopolamento, importante dal punto di vista ambientale perché alla sopravvivenza dei conigli sono legati altri animali, come ad esempio le poiane o le volpi, in questo momento è importante affrontare il problema anche dal punto di vista dell’occupazione”.
In che senso? “Faccio riferimento anche a quanto emerso nel corso di un incontro con le associazioni venatorie più rappresentative della provincia, che parlano dell’esigenza di provvedere al ripopolamento del coniglio selvatico, nonché all’istituzione di un corpo di vigilanza venatoria tramite la creazione di una società mista con la Provincia, seguendo l’esempio di Enna, Caltanissetta e Messina. Ma non solo per Catania si è disatteso quanto previsto dalla legge, ma la politica messa in atto dal presidente Crocetta, vista la dismissione del servizio di vigilanza venatoria nelle provincie dove era attiva (utile anche come deterrente per i furti nelle campagne) ha reso disoccupate 350 persone”.
Ma il ripopolamento serve solo a chi imbraccia un fucile? “No, non si tratta solo di un’iniziativa a favore dei cacciatori. Il ripopolamento è alla base di un discorso faunistico ambientale. La legge prevede anche la creazione degli ambiti territoriali di caccia a livello provinciale e i fondi sarebbero dovuti essere gestiti da comitati a livello provinciale. Cosa che non è accaduta”.
Quali sono le entrate che la Regione deve mettere a disposizione per il ripopolamento? “Si introitavano circa 27 mln di euro l’anno dalle tasse che pagano i cacciatori per il porto d’armi. Solo nell’ultimo anno i porto d’armi sono diminuiti del 30% perché non c’è più niente. Quindi le cifre sono minori. In più ci potrebbero essere dei finanziamenti europei per il settore. Ma noi qui siamo all’oscuro di tutto”.
( 22 aprile 2014 )
Fonte: LaSicilia