Caccia e Fauna: secondo uno studio dell’IZS, Istituto Zooprofilattico della Sardegna, i cinghiali sono da considerarsi vittime di malattie come la peste suina invece che responsabili.
I cinghiali sono vittime o responsabili della diffusione di alcune malattie animali? Questa la domanda alla quale ha cercato di rispondere un’indagine dell’Istituto Zooprofilattico della Sardegna (Izs), che ha incrociato i dati epidemiologici, sanitari e ambientali di alcune zone colpite da peste suina africana e tubercolosi bovina negli ultimi cinque anni. In tutto oltre 35mila capi analizzati dai laboratori dell’Izs dal 2007 ad oggi e prelevati dai cacciatori e dai Servizi veterinari delle Asl sul territorio regionale, dal Goceano all’Ogliastra, dalla Gallura alla Nurra fino all’Iglesiente. I risultati sono stati presentati i giorni scorsi a Nuoro durante il convegno sulla “Gestione e la conservazione degli ambienti naturali e della fauna selvatica” organizzato dalla Asl 3 e dal Circolo veterinario sardo.
L’indagine è partita da un problema di fondo dell’epidemiologia veterinaria, cioè se i cinghiali svolgono il ruolo di semplici ospiti della peste suina e della tbc o se si tratta di veri e propri animali serbatoio in grado di mantenere e diffondere su larga scala queste patologie, trasformandole, come nel caso della peste suina, in piaghe endemiche della Sardegna.
Perciò, per capire la modalità di diffusione di queste malattie, la superficie regionale è stata divisa in 32 macroaree individuate in base alle caratteristiche dei territori, al numero di prelievi venatori fatti dai cacciatori, alla disponibilità di cibo e ad altri fattori ambientali che determinano la popolazione dei cinghiali.
Il metodo ha avuto riscontro anche in sette zone di caccia autogestite in Goceano e tra Villanova e Putifigari, dove i veterinari dell’Istituto diretto da Antonello Usai hanno verificato sul campo l’efficacia del modello di studio.
Il risultato è stato che il cinghiale in Sardegna «è più una vittima che un responsabile del contagio di queste patologie – spiega il responsabile dell’Osservatorio epidemiologico regionale dell’Izs, Sandro Rolesu -, perché i numeri dimostrato che densità critiche della loro popolazione, tali da favorire la diffusione di agenti patogeni, si raggiungono molto raramente in natura».
Come nel caso della Spagna, dove è stato necessario l’intervento dell’uomo per moltiplicare il numero di ungulati. E il tentativo di allevare i cinghiali per scopi alimentari ha favorito il ruolo di serbatoio di questi animali, che hanno contribuito alla diffusione della tubercolosi bovina.
«Da noi invece è avvenuto il contrario – prosegue il dottor Rolesu – e in Goceano la vicinanza dei pascoli comunali alle aziende zootecniche ha fatto sì che fossero i bovini a contagiare la tubercolosi ai cinghiali. Nel caso della peste suina, invece, il problema sono i suini bradi detenuti illegalmente, che condividendo l’habitat naturale con i cinghiali causano un vero e proprio cortocircuito epidemiologico».
«Quindi è necessario tenere alto il livello di sorveglianza – conclude il direttore generale dell’IZS, Antonello Usai – e i cacciatori e gli allevatori devono continuare ad osservare le buone pratiche di comportamento indicate dalle autorità sanitarie, perché i cinghiali, quando contraggono il virus, sono comunque in grado di contagiarlo».
12 ottobre 2012
Fonte: SassariNotizie