Coldiretti dice No alla commercializzazione della selvaggina da parte di singoli cacciatori; la Regione Umbria adotta una relibera contenente indicazioni vincolanti in merito.
Mentre il problema dei danni da fauna selvatica continua a costituire una vera e propria emergenza per le imprese agricole, in assenza di adeguate misure di prevenzione e di contenimento del fenomeno, la regione Umbria ha adottato una delibera regionale che nel prevedere Indicazioni vincolanti per la commercializzazione di selvaggina abbattuta rischia di inasprire ulteriormente la situazione attuale.
Il provvedimento è motivato dal fatto che, negli ultimi tempi, il consumatore richiede sempre più carni alternative ricercando la qualità, la salubrità e la freschezza cioè la capacità dell’alimento di trasmettere quella “vitalità residua” ancora presente nelle carni ottenute da selvaggina che induceva, nelle epoche passate, i cacciatori a mangiare subito il fegato della loro preda quasi per impadronirsi della vita dell’animale.
Se, quindi, da un lato, l’obiettivo delle norme sanitarie adottate dalla regione Umbria è condivisibile, dall’altra parte desta delle perplessità in quanto la delibera autorizza la cessione diretta della selvaggina, da parte del singolo cacciatore, al consumatore finale o ad esercizi al dettaglio o a punti di ristorazione. In tal modo, si rischia di alimentare un interesse da parte dei cacciatori ad esercitare l’attività venatoria a fini di lucro, aspetto questo che risulta anacronistico rispetto alla natura di tale attività che ha, oggi, una finalità prevalentemente ricreativa.
Inoltre, in tal modo si agevola, di fatto, il fenomeno delle immissioni di cinghiali sul territorio rurale che, al momento, costituisce una delle principali emergenze per i danni che essi provocano alle imprese agricole.
Coldiretti ritiene, pertanto, che a livello nazionale sarebbe necessario introdurre una specifica disciplina volta ad acconsentire esclusivamente agli imprenditori agricoli che siano titolari di iniziative di interesse faunistico venatorio autorizzate a livello regionale, la vendita o comunque l’immissione al consumo di selvaggina.
Il singolo cacciatore, quindi, non dovrebbe essere autorizzato in alcun modo a commercializzare le carni di selvaggina, se si intende evitare le immissioni illegali di cinghiali da parte di alcuni cacciatori, fenomeno questo che non fa che alimentare l’annoso problema dei danni arrecati alle imprese agricole.
Pertanto, le norme igienico sanitarie sono auspicabili e senz’altro necessarie, ma occorre restringerne il campo di applicazione solo alla selvaggina di proprietà di un impresa agricola, come definita dell’art. 2135 C.C., escludendo, con termini chiari, i soggetti che esercitano attività venatoria.
Stampa – Area Ambiente e Territorio – Coldiretti