La caccia di selezione in Italia: studi, ricerche e modalità di esercizio di questa pratica venatoria. Oggi si sente sempre di più l’esigenza di considerare e riconoscere la caccia di selezione come uno strumento per mantenre in equilibrio l’ecosistema.
La finalità della caccia di selezione è quella di ridurre i danni alle colture agrarie, ai boschi ed, in alcuni casi, anche alle autovetture che viaggiano in prossimità di zone verdi che, di tanto in tanto, vengono coinvolte in collisioni con la fauna selvatica.
Questa modalità di caccia è consentita e disciplinata dalla legge, la quale è basata sul rispetto di un piano preordinato di abbattimento, suddiviso per classi di sesso e di età, stilato sulla base di censimenti e stime attraverso un severo criterio scientifico, in linea con i moderni principi dell’ecocompatibilità e dell’ecosostenibilità. La caccia di selezione è inoltre autorizzata da Regioni, Province e, per le aree naturali protette, dagli Enti Parco, secondo i rispettivi ambiti di competenza. Il fine ultimo della caccia programmata in maniera selettiva è pertanto la salvaguardia della densità e della struttura prefissata di una popolazione selvatica, in un determinato territorio, attraverso il prelievo esclusivo dell’incremento annuo, ossia la cosiddetta “rendita” della popolazione selvatica. Tutto ciò avviene senza incidere le potenzialità di sviluppo, ossia il “capitale” selvatico: suddividendo gli abbattimenti nelle diverse classi di sesso e di età si raggiunge un criterio scientifico con il quale effettuare la caccia di selezione. E’ importante sottolineare che questa modalità di caccia non è rivolta, come è nell’immaginario comune, soltanto ai capi ammalati, debilitati o vecchi. Al contrario èuna forma di caccia che ha come obiettivo il mantenimento dell’equilibrio delle popolazioni di animali selvatici, con lo scopo di evitare significativi sbilanciamenti tra le varie componenti della fitocenosi (l’unità fondamentale della vegetazione) e della zoocenosi (il complesso degli organismi animali che in un ecosistema compongono una biocenosi).
L’azione pratica della caccia di selezione è affidata ad un cacciatore abilitato a questo esercizio, dopo che quest’ultimo ha ottenuto la qualifica di selecontrollore tramite frequentazione di un corso di formazione e superamento dell’esame finale. Successivamente a quest’ultimo, si passa ad effettuare regolari censimenti svolti su base volontaria e non retribuiti della popolazione selvatica in un determinato territorio. “Contati” gli animali da abbattere, al selecontrollore viene affidato un piano di abbattimento personale di un determinato numero di ungulati artiodattili, suddivisi per sesso e classe di età, che dovrà effettuare in una data zona di pertinenza, singola o in cogestione con altri selecontrollori, nell’arco temporale stabilito dal calendario regionale. La caccia di selezione in Italia riveste un ruolo di fondamentale importanza, poiché nel nostro terriotrio si riscontra una notevole esiguità dei predatori posti al vertice della catena alimentare, come orsi, lupi, sciacalli, linci e aquile, con la conseguenza che si riscontrano effettivi problemi di soprannumero di cervidi, di bovidi e di suidi.
L’eventuale ed eccessiva espansione demografica di questi ungulati artiodattili implica, nei territori interessati, l’aumento dei danni procurati alle produzioni agricole, ai terreni coltivati, ai pascoli, ai soprassuoli boschivi giovani e da ultimo alle autovetture in transito sulle strade interurbane. In particolare, il cinghiale è un selvatico che apporta maggiori danni sulla fitocenosi, i quali consistono nella diminuzione della biomassa vegetale e nelle ampie arature del terreno che, provocate dal grufolare di questo selvatico alla ricerca di radici, tuberi e piccoli mammiferi, possono frenare in certi casi la rinnovazione naturale. I danni provocati dai bovidi come camosci, stambecchi, mufloni e capre inselvatichite, e dai cervidi come cervi, daini e caprioli, al contrario constano principalmente nel brucamento delle plantule, degli apici vegetativi dei rami e dello strato arbustivo, con probabile pericolo per la rinnovazione naturale. Tenendo in considerazione le peculiarità di ciascuna area verde, le specie vegetali più a rischio a causa del brucamento sono, in linea generale, l’abete bianco, l’abete rosso, il pino cembro, il pino mugo, pino uncinato, il pino silvestre, il larice, il sorbo degli uccellatori, il frassino, l’acero montano e, in misura minore, il faggio. Alcuni studi hanno dimostrato che i cervidi maschi, inoltre, provocano ulteriori problemi per i danni dovuti allo scortecciamento ed allo sfregamento dei palchi sui tronchi e sui rami più bassi, durante il periodo del cambio del velluto e della demarcazione del loro territorio.
Caprioli, cinghiali, daini e cervi sono, nell’ordine, gli ungulati selvatici maggiormente interessati nei sempre più numerosi incidenti automobilistici che si riscontrano sulle strade italiane e che causano rilevanti danni alle autovetture e, in casi particolari, anche gravi lesioni alle persone a bordo. Di certo, l’intensità e la quantità dei danni provocati da grufolate, da brucamenti, da scortecciamenti e da collisioni con autoveicoli sono direttamente proporzionali alle quantità numeriche delle varie popolazioni di ungulati che vivono su una determinata area geografica: maggiore è la popolazione di questi animali esistente in una data zona, minore sarà la capacità portante di quell’area e, di conseguenza, maggiori saranno i danni riscontrati in quel territorio. Di conseguenza nasce la necessità di controllare le popolazioni delle specie più numerose, al fine di ridurre i danni. Sicuramente si tratta pur sempre di animali selvatici che pagano le azioni sbagliate dell’uomo e dell’antropizzazione del territorio. L’uomo, infatti, ha sterminato i predatori naturali distruggendo ampie zone boschive, manipolando le zone rurali o effettuando reintroduzioni disinvolte, spezzando la catena alimentare di molti ecosistemi e compromettendo conseguentemente i delicati equilibri che regnano i rapporti tra le varie componenti della biocenosi. La caccia di selezione è lo strumento più immediato, ma non il solo, per controllare l’aumento della popolazione degli animali selvatici e mantenre in equilibrio l’ecosistema. Il censimento degli animali selvatici, quindi il numero di capi da abbattere, in una determinata area geografica è uno degli aspetti più delicati della caccia di selezione, poiché a compierli, spesso, sono gli stessi selecontrollori. Ciò di cui avrebbe bisogno il territorio italiano è uno scrupoloso e scientifico approccio alla questione del mantenimento dell’equilibrio dell’ecosistema, attraverso rigorosi studi sulla densità della popolazione degli animali selvatici e l’appoggio delle istituzioni.
Ciò apporterebbe notevoli miglioramenti sia all’ecosistema, sia alla caccia di selezione stessa, la quale riceverebbe un maggiore riconoscimento nazionale come strumento ecologico.