A caccia col rapace: L’esperienza di Vittorio a caccia di starne con un astore. Caccia antica e rispettosa della natura, una volta conosciuta non la si dimentica tanto facilmente visto che al ritmo dell’uomo sostituisce il più pacato e piacevole ritmo della natura.
Non mi ricordo nemmeno bene la trama e il titolo del libro che ho letto molti anni fa, quando ancora ero ragazzo. Quel che ricordo bene è che il protagonista viveva in simbiosi con il suo rapace che lo aiutava come un fedele segugio, forse anche meglio, durante le fasi di caccia. Mio padre questo genere di attività venatoria non l’ha mai praticata, e temo non se ne sia mai fatto un cruccio e pure io ho messo presto da parte il mio sogno, visto che non è così semplice avvicinarsi all’attività. Ci vuole dedizione, pazienza e soprattutto professionalità: il fatto è che qualche mese fa, a cena a casa d’amici, ho conosciuto il marito di una buona amica di mia moglie. Ero preparato a una serata noiosissima, e lui pure, ma ad un tratto abbiamo scoperto d’avere in comune la passione per la natura, per la caccia e per le giornate da vivere all’aria aperta.
Tra una portata è l’altra mi confessa che lui di recente, stanco della solita caccia, è passato a quella con un rapace. Strabuzzo gli occhi: dopo 7 anni di matrimonio la prima cena in cui conosco un uomo interessante. Manco a dirlo mi invita il mese successivo a partecipare ad una giornata di caccia con rapace, tanto per farmi un’idea in che cosa consista per davvero, perché me lo dice chiaramente, ne parlano in tanti, ma in pochi sanno per davvero come funzioni. Il giorno arriva, e raggiunto il luogo mi accorgo fin da subito, ospite di un cascinale perso nel nulla ma curatissimo, che chi pratica questo genere di caccia ha un rapporto con l’ambiente, con la natura e con la caccia totalmente differente. Sembrerà scontato, ma quella mattina ho avuto idea d’essere stato trasportato in un’epoca lontana: tutto merito della campagna bresciana, raggiunta da pochi che preferiscono abbandonare la macchina per dedicarsi interamente alle passeggiate. Ci ospitano due fratelli che hanno scelto di trasformare il cascinale in un bellissimo agriturismo aperto solo durante la bella stagione: coltivano i campi, allevano animali, raccolgono legna, conoscono i boschi e quando il tempo lo consente vanno a caccia con i propri rapaci: il carniere non è l’obiettivo di Giovanni e Giacomo, quel che conta è la mattinata all’aria aperta che trascorrono. Mi predispongo alla nuova situazione, rallento il ritmo e seguo la compagnia: ci sono i due fratelli, Antonio, il mio nuovo amico, io, e il bosco. Bello penso, bello davvero: qui sì che ci vorrebbe una macchina fotografica! Ce l’ho pure a portata di mano, ma evito di tirarla fuori per non sembrare un ragazzetto in gita scolastica.
Il dintorno merita una seppur breve descrizione: i prati verdi e vigneti incontrati durante il nostro arrivo sono oramai un ricordo: mentre ci immergiamo in un bosco di roverelle e castagni immagino che questo bosco sia casa di cinghiali, cervi, caprioli, e daini e la conferma me la danno le orme lasciate qua e là, alcune più vecchie di altre.
Improvvisamente uno dei due fratelli mi chiede il perché di questa mia nuova passione e io inizio a raccontargli dei miei sogni da ragazzo, sorride. Evidentemente è una storia che ha già sentito. Mi consiglia di leggere anche la Bibbia dei falconieri, il trattato “De Arte Venandi Cum Avibus”, che seppure datato, rimane il saggio di riferimento per i cultori del genere: d’altronde la falconeria non è cambiata poi troppo, mi confessa.
Per quanto sia fine febbraio, il freddo concede tregua e la giornata è insolitamente tiepida e senza grossa fatica raggiungiamo il luogo di caccia prescelto dai due fratelli: è una piccola altura circondata ancora una volta da campi coltivati in cui pare non manchino le starne. Il cane fin ora silenzioso inizia a far sentire la propria presenza: con noi c’è un bellissimo setter inglese, tipicamente colorato di bianco e di arancio e sul luogo incontriamo un favoloso rapace che ci aspettava nella casa di caccia poco distante dal nostro punto di partenza. Avrei giurato fosse un falco e invece no, è un astore: un animale dotato di un’eleganza e di una pacatezza che ti lascia a bocca aperta. Questo tanto per far capire quanto ancora ho da imparare sull’argomento.
E’ Giacomo ad avvicinarlo e indossare il classico guanto di cuoio per proteggersi il braccio dagli artigli del rapace, delle vere e proprie armi improprie. Nemmeno lo assicura: ritiene sia meglio che Alfredo (così lo ha chiamato) sia libero di involarsi qualora notasse la frullata di un selvatico. Mi sorprende la fiducia che esiste fra uomo e astore: questa giornata inizia a piacermi sempre di più e non siamo nemmeno entrati nel vivo.
Ci spiega che Alfredo è relativamente piccolo, se paragonato con le femmine della sua specie, decisamente più grandi e giustifica il dimorfismo della specie con la possibilità dell’uno e dell’altro di cacciare specie differenti: questo è un modo niente male per garantire la sopravvivenza della specie. Dopo qualche carezza al piumaggio di quell’eroe dei cieli, che pare possa vivere in cattività per almeno 15 anni se non 20, ci incamminiamo. Il setter dopo pochi minuti inizia la sua azione di cercatore: ha chiaramente individuato qualche preda e anche Alfredo, fino ad ora pacatissimo, inizia a partecipare alla caccia, allungando il suo collo e sollevando il becco adunco; eppure non tira fuori un fiato il cacciatore alato. Giacomo favorisce la sua visuale alzando il braccio, ma è un falso allarme: le starne sono davvero troppo lontane.
Intanto Giacomo continua a parlarci di Alfredo e della tecnica di caccia dell’astore che differentemente dagli sparvieri e dai falconi è dotato di ali più corte: tutto va a vantaggio della specie visto che possono volare basso e anche fra la fitta vegetazione.
Quando il setter individua nuove potenziali prede tutti ci fermiamo: siamo poco distanti da alcuni rovi e da una stradina sterrata, il cane come una saetta la supera e in men che non si dica percepiamo un frullo improvviso: per la prima volta nella mia vita durante quella fase delicata, l’interesse non è stato rivolto tanto al selvatico, quanto all’ausiliare. Lo show di Alfredo comincia presto: scatta come una freccia gettandosi sui volatili scomparendo momentaneamente dal nostro campo visivo. Si sentono solo rumore d’ali e grida.
“E bravo Alfredo!” grida Giacomo che è il primo a ritrovare l’astore che ha fra gli artigli la starna. Grida come un pazzo e strappa qualche piuma e qualche piccolo brandello di carne con il suo becco. Giacomo lo lascia fare, perché ci spiega, lui caccia per mangiare ed è giusto che la sua fatica venga ricompensata, ma non gli lascia rovinare la preda, bensì gli offre una carcassa che si è portato dietro.
Guardo la scena pienamente soddisfatto: i ritmi rispetto alla caccia classica sono decisamente diversi, più a misura di natura e meno d’uomo. Quel che conta è che tutti abbiamo la possibilità di goderci per davvero la giornata. Comprendo finalmente la necessaria simbiosi fra cane e rapace e il legame che esiste fra i due e il cacciatore. L’astore in questo caso è quello che per molti cacciatori è il fucile!
Manco per un momento percepisco quell’ossessiva voglia di riempire il carniere: piuttosto dopo un oretta ci rimettiamo in cammino verso la base, dove ci attende un buonissimo pranzo a base di specialità del luogo e vino che scioglie le ultime diffidenze. Dopo poche ore di conoscenza davanti alla tavola siedono 4 buoni amici uniti da questa antica forma di caccia, che una volta provata è impossibile non amare.