Nella caccia al cinghiale in battuta c’è chi sostiene che tutte le poste sono uguali, mentre molti giurano il contrario. A chi dar torto e chi ragione?
E’ innegabile che in qualsiasi bosco alcuni “trottoi” sono molto più frequentati di altri, ma è anche vero che quando un cinghiale è inseguito da una muta famelica di cani si comporta in maniera imprevedibile. Quindi, anche se un cacciatore avesse sempre la possibilità di scegliersi la posta, non sarebbe mai sicuro al cento per cento di avere un “faccia a faccia” con il Re della Macchia. Ma su una cosa credo che siamo tutti d’accordo: se vogliamo trascorrere alcune ore in santa pace e goderci una bella braccata maremmana, la posta che la fortuna (o la sfortuna) ci avrà assegnato al sorteggio “dovrebbe” almeno essere di nostro gradimento. Dico questo perché purtroppo potrebbe capitare che dobbiamo stare ai margini di una larga, quando invece avremmo preferito essere in una stretta cessa tagliafuoco, o magari viceversa. Quante volte poi vi sarà capitato di stare di posta vicino ad un impetuoso ruscello che non ti fa sentire niente, in un punto dove c’è scarsa visibilità, oppure di avere un vicino che ascolta le partite alla radio e che esulta od ogni goal o parata? Tutti hanno le proprie preferenze e simpatie e su questo non si discute.
Io, ad esempio, tutte le volte che nella Tenute delle Forane fanno la battuta della “Villa”, vorrei sempre che mi venisse assegnata la posta del “Sassone”. E’ una posta né brutta né bella, a me piace perché è un po’ fuori mano e in più di un’occasione ci ho abbattuto dei bei verri. Quando me lo permettono mi ci apposto sempre molto volentieri. Giampiero Bernacchi, il gestore delle “Forane”, l’ultima volta che battemmo la macchia della “Villa”, al Sassone ci piazzò un arzillo signore armato di carabina rigata Browning BAR 30.06 S, mentre decise di relegare il sottoscritto in mezzo ad un campo arato. Volete sapere come andò a finire? Il cacciatore di posta al Sassone padellò tre grossi cinghiali mentre io non solo non vidi e non sentii niente, ma mi venne quasi l’insolazione! Giampiero giustificò la sua strategia affermando che era stato proprio in funzione alla fiducia che riponeva nei miei confronti, se aveva deciso di lasciarmi da solo in quel campo dove invece ci sarebbero voluti quattro fucili. Poi, a sentir lui, la posta del Sassone era una come tante altre! Ma dopo quel giorno Giampiero, accortosi che non mi aveva completamente convinto con la sua arringa, promise che tutte le volte che avremmo cacciato in quella zona, se proprio mi faceva piacere, mi avrebbe lasciato la posta del Sassone.
Una freddissima domenica di dicembre fu di parola perché non mi fece partecipare al sorteggio delle poste. “Marco, vai al Sassone con una decina di fucili. Schierane cinque lungo la carrareccia alla tua destra ed altrettanti a sinistra. Oggi, se troviamo tutto il branco c’è da divertirsi”. Felicissimo come può esserlo un bambino al quale hanno appena concesso il permesso di aprire i regali di Natale, chiamai le poste dalla “uno” alla “dieci” e gli dissi di seguirmi. Ci conoscevamo tutti così schierarci perfettamente equidistanti e in linea non ci portò via troppo tempo. Quel giorno tirava una gelida tramontana e nonostante il mio ottimismo dovetti ammettere che, dov’eravamo noi undici, il vento era sfacciatamente “cattivo”. Sperai comunque che nonostante ciò la bracca riuscisse ugualmente a spingerci contro qualche cinghiale. Caricai la mia Heckler & Koch 770 Kurz calibro 308 Winchester con delle TIG ricaricate da 150 grani, controllai che la batteria del “punto rosso” fosse carica e poi mi sedetti direttamente sulla famosa, grossa pietra. Soltanto allora mi ricordai che con quel vento sarebbe stato quasi impossibile udire il suono del corno. Era passato diverso tempo senza che avessi una ben che minima indicazione se la braccata fosse iniziata, ma ipotizzai di si perché sentii in lontananza qualche latrato ed anche un paio di spari. Ritengo la battuta al cinghiale una delle forme di caccia più belle in assoluto, ma purtroppo può essere emozionantissima come di una noia mortale. Trascorse più di un’ora senza che mi si presentasse un’occasione d’imbracciare la carabina e, inutile negarlo, l’entusiasmo mattutino andava pian piano ridimensionandosi. Nessuna merla, ghiandaia, tordo o colombaccio aveva attraversato la carrareccia che avevo davanti, né tanto meno qualche rumore sospetto aveva attirato la mia attenzione. Dulcis in fundo, in quell’angolo di macchia dimenticato da Dio non prendeva neanche il Midland Alan 607. Decisi che potevo permettermi di telefonare a Giampiero per sentire le novità: “Non senti niente? Verso mare sembra lo sbarco in Normandia da quanti colpi hanno tirato. Mi sembra strano che lassù da voi non si è ancora affacciato nessun cinghiale”.“Occhio che abbiamo messo in piedi un bel branco”, rispose tutto eccitato il caro amico di Capalbio. Quelle parole mi rincuorarono e mentre cercavo invano di aguzzare più l’udito che la vista, due – tre poste sotto di me partì una prima scarica di fucile. Poco dopo ne seguì un’altra. Imbracciai la HK e mi misi in allerta, anche se ancora non si sentiva l’eco di una canizza. Una merla spaventata attraversò la carrareccia volando talmente basso che per poco non mi tolse il cappello! Altre due la seguirono sullo stesso percorso ed una ghiandaia gracchiò forte perché un intruso era entrato nel suo territorio. Ci siamo pensai. Controllai che il “Red Point” fosse acceso e la sicura disinserita, ipotizzai da dove sarebbe potuto arrivare un cinghiale e mi preparai. L’attesa durò pochi secondi. Vidi una palla nera venirmi incontro di punta a tutta velocità ed ebbi appena il tempo di mettergli il punto rosso addosso e di premere il grilletto.
Il grosso verro accusò il colpo, ma invece di cadere sterzò bruscamente per riguadagnare il folto. Non ci riuscì. Lo centrai in pieno per altre due volte. Prima di muovermi attesi l’arrivo dei cani, volevo essere certo che non portassero un altro animale, poi mi feci aiutare dalla posta vicina per trascinare il cinghiale morto al pulito. Ero curioso di vedere “a caldo” l’effetto dei miei colpi. La prima palla l’aveva colpito sul muso, era fuoriuscita dalla gola e gli aveva provocato anche un profondo taglio nell’addome per tutta la sua lunghezza (grandissime TIG!). Le altre due erano entrate in cassa, distanziate, l’un l’altra di dieci dita. Tolsi il caricatore e reintegrai i colpi sparati e dopo aver scacciato l’ultimo “tigrato maremmano” tornai a sedermi sulla mia bella poltrona di pietra, inutile negarlo, con uno stato d’animo diverso. Dopo trent’anni che pratico la caccia al cinghiale in battuta ancora oggi, dopo che ne ho abbattuto uno, non riesco più a togliergli gli occhi di dosso. Me lo stavo guardando e riguardando tutto estasiato quando uno scalpitio furtivo ruppe il silenzio innaturale che regnava nel bosco. Segno inequivocabile che qualcosa si stava avvicinando, ma non capivo cosa. Poteva essere un cane, un daino, un capriolo o magari un’altro cinghiale! Nel dubbio meglio non farsi trovare impreparato. Impugnai la .308 e mirai direttamente verso la direzione del rumore. Attesi alcuni istanti in quella posizione ed ecco che nella lente (che non è proprio cristallina) del Pro Point, entrò la famigliare sagoma irsuta di un bel cinghiale. La HK sparò da sola ed una veloce 150 grani nel collo lo inchiodò inesorabilmente sul posto.
Come l’esperienza insegna, aspettai sempre l’arrivo dei cani prima di abbassare la guardia, ma questa volta non si fecero vivi. Quel furbacchione aveva tentato di forzare l’accerchiamento alla chetichella, ma gli era andata male. Il secondo cinghiale era leggermente più piccolo del primo, ma non per questo era meno bello. Nel giro di neanche mezzora avevo abbattuto due animali: uno inseguito dalla muta e l’altro da solo, senza cani o “scanato”, come si dice dalle mie parti. Novanta volte su cento, un cinghiale si presenta al cacciatore appostato in uno di quei modi, ed il tiro può essere facile o difficile, l’importante è non farsi sorprendere. Giampiero doveva aver sentito gli spari perché quando mi telefonò chiese subito: “Quanti morti?”. “Due grossi li ho stesi io e hanno tirato anche sotto di me, ma non so com’è andata.” Ci lasciammo ambedue consapevoli che di lì a poco avremmo potuto raccontarci tutti i particolari di persona, perché, indipendentemente dal carniere, era già stato deciso che la battuta sarebbe terminata per l’ora di pranzo. Tramite “Radio Macchia” fu un canaio a comunicarci che era ora di rientrare. Aiutato dai miei compagni di posta misi in posa i due verri per le immancabili foto di rito e poi, dopo aver raccolto le mie cose, andai di corsa al rialto (il ritrovo dove si mangia e dove si sezionano i cinghiali abbattuti). Non vedevo l’ora di sfottere il buon Giampiero. Non era lui quello che sosteneva che: “Una posta valeva l’altra”
Marco Benecchi