Diana: La squadra di cinghialai «La Disperata» si era riunita a ranghi ridotti: si trattava di uscire a caccia chiusa in un’azienda turistico venatoria dove la caccia agli ungulati prosegue per qualche tempo dopo la chiusura generale…
Testo di Alfredo Lucifero – Articolo estratto da Diana
La Natura racconta storie meravigliose e drammatiche a chi sa ascoltarla – La voglia di cacciare era come sempre, forte, la cena di chiusura, lauta e abbondante, non aveva sopito il desiderio. Andammo con Mauro, uno dei canai a tracciare qualche ipotesi di cinghiale. Fermai la macchina sul lato della strada sterrata che girava in gran parte all’interno dell’azienda. Scendemmo subito a dare un’occhiata ai lati di un canalone pieno di rovi e in parte di pungitopi: le tracce di cinghiale erano numerose e freschissime, Mauro chiamandomi osservò: «Qui c’è una traccia grossa, entra nel cespuglio e guardando intorno non esce.
Il cinghiale è dentro. È grosso ma ci sono altre tracce più piccole e di varie misure, speriamo che non ci sia anche una femmina con i cuccioli». Girammo ancora un altro po’ in altre località dove si trovavano tracce di altri animali e ci riunimmo con gli altri. Si decise di andare sul primo macchione con un cane solo, il piccolo Toby, un bastardello dal naso fine che facilmente abbaia a fermo, magari poi per continuare verso gli argini del grande fossato che divide in due l’azienda, una zona ben protetta dove sul lato sud ci può essere qualche cinghiale che si asciuga e si scalda al sole dopo tante giornate di pioggia e di freddo di quest’anno in attesa della primavera vicina.
Detto fatto in sette o otto in tutto circondiamo il macchione dove avevamo visto le tracce. Toby appena arrivato sul bordo si mette ad abbaiare e Mauro avverte: «Attenti attenti c’è il cinghiale! È proprio qui sotto!». Volto gli occhi in alto e vedo una femmina di cinghiale, una cinghiala, che tra i pungitopi si moveva verso l’alto seguita da un buon numero di piccoli striati. Grido anche al telefonino: «Attenti non sparate è una cinghiala con i cinghia lini». Intanto mi muovo verso l’alto dove sono gli altri cacciatori, per cui l’animale non esce da sopra e torna indietro. Di fronte qualcuno eccitato grida: «C’è anche un verro!» (ma non era vero!). Nel frattempo dal macchione sento venire brevi grugniti di richiamo, mi avvicino per guardare ad una recinzione di fil di ferro che lo circondava quando una cinghiala nera e brinata esce da sotto con la bocca aperta e grondante di saliva, gli orecchi ritti e la criniera gonfia, alcuni cinghialini striati accanto, mi viene velocemente incontro per assalirmi, non voglio sparare ma per prudenza le punto la carabina addosso gridando: «Via, via, passa via!» arriva circa due metri e penso: «se si avvicina ancora sono costretto a sparare altrimenti mi butta in terra».
Per fortuna sua e mia alla fine reagisce alle grida, si volta e rientra nel macchione. L’emozione è stata fortissima, vedere la cinghiala arrabbiata con la criniera gonfia lasciare un posto sicuro cercando di assalirmi è stato uno spettacolo irripetibile e bellissimo anche per la dimostrazione di coraggio e di amore materno di un’animale che vince la paura e la sua estrema selvaticità uscendo allo scoperto per difendere i figli. È stato come se il tempo si fosse fermato secoli fa e in quel momento, si è ripetuta l’antica e reciproca lotta dell’uomo contro la natura selvaggia che vince o soccombe senza odio o paura ma con amore e rispetto. I due daini La cacciata non finisce qui, andiamo dunque a battere un’altra zona attestata direttamente ai lati del grande fossato. Mi piazzo in basso vicino all’acqua anche se sono leggermente disturbato dal rumore amico di piccole cascatelle trasparenti, sento i cani abbaiare in alto, ma capisco che è ancora una cinghiala con i piccoli e non mi allarmo.
Ad un tratto sento un rumore sordo con qualcosa di metallico uscire dal folto del bosco, penso: «Deve essere un cinghiale preso in un laccio d’acciaio». Il rumore si ripete diviene più forte quasi disperato entro nel bosco e riesco a vedere del pelame bruno scuro che veloce si muove vibrando, penso ancora a una trappola per cinghiali, mi avvicino con il fucile puntato mentre il cuore batte forte: sono due daini attaccati per le grandi corna palmate che cercano di liberarsi e si agitano scompostamente, per di più li blocca e l’impiglia anche una recinzione di ferro spinato. Faccio per sparare ma ci ripenso e mi avvicino ancora: non solo le corna sono incastrate ma intorno ad esse c’è un cordino di quelli che servono a legare i rotoli di fieno o di paglia che li ha avvinti inesorabilmente nella loro inutile lotta per la salvezza. Mi vedono forse, e cercano ancora di più, ma invano di dibattersi per fuggire, saltano in aria da una parte all’altra rimanendo avvinghiati indissolubilmente.
Mi trovo davanti a un altro spettacolo incredibile! Allora chiamo in qualche modo i compagni :«Venite a vedere, venite a vedere!». Arriva subito Egiziano, un giovane e forte amico che di lavoro oltre che il cacciatore fa il vigile urbano , si avvicina e guarda lo spettacolo e chiama anche Mauro il canaio. Con l’aiuto di ambedue cerchiamo di liberare i daini che terrorizzati saltano scompostamente sbattendo contro il filo di ferro spinato, ferendosi gravemente. Arriva anche qualche cane che si precipita sui daini abbaiando e mordendoli. Con molta difficoltà riusciamo a tagliare il cordino che oltre le corna stava unendo per sempre i bellissimi animali che finalmente liberati riescono a mala pena ad alzarsi in piedi cercando di fuggire ma fatti pochi passi uno da una parte uno dall’altra cadono stremati e feriti per cui siamo costretti a finirli. Tutti gli altri amici intanto arrivano commentando e guardando: i due daini sono finalmente quieti nella morte che per pietà e amore della natura avevamo causato cercando di evitare loro una fine inutile e straordinaria per fame e stenti che avrebbero subito rimanendo allacciati. La cacciata finì in qualche modo, da un lato molto emozionante e dall’altro crudele, con poche fucilate ma molte parole. Tra tutti infine ci dicemmo:«Arrivederci al prossimo anno se la sorte ce lo consentirà!».