Caccia: Marco Ciarafoni, “Non mollare. Orgogliosi di essere cacciatori”.
I primi mesi estivi sono anche legati alla definizione dei calendari venatori da parte delle Regioni. Non tutte ci arriveranno in tempo utile come prevede la legge e molti cacciatori dovranno aspettare il mese di agosto per avere quelle certezze che, di contro, meriterebbero tempi diversi e adeguati. Le difficoltà che si prospetteranno sul versante dei calendari saranno quelle di sempre a cominciare dal mancato dialogo tra le regioni nel definire tra loro atti omogenei soprattutto quando sono simili le caratteristiche e le vocazioni faunistiche dei territori. In questo caso dovrebbe venire in soccorso la scienza ma in realtà la strada prescelta è quella del campanile. Se i calendari non verranno definiti a dovere, come al solito entreranno in campo i tribunali a riscrivere le regole con la speranza che non salti qualche giornata di caccia.
Agli amministratori occorre chiedere di assolvere al loro compito utilizzando al meglio le leggi a disposizione. Fughe in avanti non servono e tantomeno restrizioni penalizzanti. La Corte costituzionale ha ribadito con una sentenza riguardante la regione Toscana che i calendari venatori debbono essere approvati attraverso degli atti amministrativi e non con leggi ad hoc. E’ questo il frutto amaro di chi alimentando il conflitto, le furbizie e la confusione ha riaperto il caso caccia nel nostro Paese. Dentro lo scontro si è buttato a capofitto il mondo animalista e qualche associazione ambientalista che non ha resistito al richiamo della demagogia.
La madre però di tanta confusione va ricercata nell’irresponsabilità di tutti coloro che nel mondo venatorio hanno preferito operare propagandisticamente anziché stabilizzare, al meglio, le leggi esistenti. “Più caccia, più tempi e più specie”, il loro grido di battaglia che alla fine però ha prodotto solo sciagure per la caccia ad iniziare dalla approvazione della legge comunitaria che ha portato all’accorciamento di stagione per alcune specie di fauna selvatica. Lo sanno bene i cacciatori che tali accorciamenti li stanno vivendo sulla loro pelle.
Il paradosso è che ora gli stessi dirigenti del mondo venatorio, che hanno provocato la cocente sconfitta, chiedono che si rispettino i tempi di caccia previsti dalla legge 157, la stessa normativa che nelle loro intenzioni avrebbe dovuto essere smantellata. Ora dicono le stesse cose che l’Arcicaccia, tacciata come nemica dell’allargamento dei tempi di caccia, ha sempre sostenuto. Teniamoci ben stretto il calendario previsto dalle legge 157 perché metterlo in discussione avrebbe potuto riaprire in negativo il punto di equilibrio che Rosini, Fermariello, Laura Conti erano riusciti a trovare nelle aule parlamentari: hanno sostenuto in tutte le sedi i dirigenti dell’Arcicaccia. Non sono stati ascoltati perché c’erano da fare le tessere associative, magari sottocosto, per avere più muscoli organizzativi da agitare, per mantenere qualche poltrona di comando. Per di più lorsignori faticano a ripensare in chiave critica i danni che hanno provocato compreso quello di allontanare la necessità che la prima delle esigenze avrebbe dovuto essere affrontare il cuore del problema: la gestione del territorio e della fauna.
E’ in questo contesto che sinergie e accordi avrebbe potuto rafforzare la caccia sociale e sostenibile anche nel rapporto con gli agricoltori e gli ambientalisti. Il tema dei danni da fauna selvatica, quello di riconoscere ruolo, funzioni e risorse alle imprese agricole, l’inserimento dello storno nell’elenco delle specie cacciabili, la valorizzazione degli Atc e dei Ca, gli accordi interregionali tra regioni sulla mobilità, la corretta applicazione delle deroghe, la governance istituzionale dopo il possibile scioglimento delle Province dovevano essere le priorità che speriamo, ora, possano tornare ad essere oggetto di riflessione di tavoli interassociativi unitamente alla rivalutazione dell’identità della caccia italiana. Flebili momenti di confronto sono stati avviati.
Occorre incoraggiarli partendo dall’idea che l’unità, pure necessaria, è lo strumento per difendere la caccia e per ricollocarla culturalmente nella società. Essere orgogliosi di essere cacciatori non significa gridarlo ai quattro venti nelle sale chiuse dei circoli ma essere riconosciuti utili alla società. Scrivo queste cose per dire che non bisogna mollare. Oggi più che mai le associazioni nel tempo della crisi economica devono stare vicino ai loro soci, mettere a disposizione servizi che vadano ad abbattere costi, essere trasparenti nella gestione delle risorse, far sentire ai cacciatori che vivono all’interno di una comunità. Non mollare significa tentare tutte le strade per evitare che la frustrazione e le ridotte risorse di ciascun cacciatore non prevalgano al momento della decisione del rinnovo del porto di fucile.
E’ questo il momento di tenere aperti i circoli, di trasformare i campi addestramento, gli stand di tiro a volo, le sagre e quant’altro quali occasioni per trasmettere fiducia e per gettare le basi di un domani diverso. Tutti insieme ce la possiamo fare. Le associazioni se abbandoneranno la tattica, i cacciatori se avvertiranno che la fase storica richiedere il loro protagonismo. Intanto guardo, come tanti di voi, i miei cani. Ci raccontiamo con gli sguardi le storie vissute e ne immaginiamo tante altre. La cassetta è pronta, non c’è bisogno di inviti per salire. C’è un filo rosso che unisce uomini e cani che è difficile descrivere. Si parte verso un nuovo viaggio di scoperta che come scrisse Marcel Proust, non consiste nel cercare nuove terre ma nell’avere nuovi occhi.
Marco Ciarafoni
( 22 giugno 2013 )