Il calendario venatorio nella caccia ai cervidi prevede il prelievo di classi di sesso ed età per determinati periodi. Talvolta a ciascun cacciatore è assegnata una classe specifica, e questo viene vissuto da qualcuno come una restrizione che va limitare fortemente il successo nel completamento del piano di prelievo. Pur con l’assegnazione di un maschio adulto di capriolo, nella zona dove caccio, la speranza di prelevare un bel maschio portatore di un trofeo imponente è abbastanza peregrina. E comunque non è “un” maschio adulto che cerco, ma “quello”: l’ inconfondibile, l’inafferrabile, da me battezzato “Monostanga”.
L’avevo incontrato nel periodo della caccia ai calvi, a inizio marzo. Il palco già pulito, apparentemente formato da un’unica stanga (la sinistra) munita di un oculare quasi parallelo al vertice e da un vigoroso stocco. O almeno questa è l’idea che mi ero fatto osservandolo col binocolo nel freddo crepuscolo di inizio primavera. Avevo anche tentato di fotografarlo attraverso gli ingrandimenti dell’ottica. La sua peculiarità mi aveva colpito e, ogni volta che mi recavo in quella zona di caccia, coltivavo segretamente il desiderio di rivederlo.
Provocatore e saccente, da buon maschio dominante, si era riaffacciato durante i censimenti, senza darmi il tempo di osservarlo con calma poichè già indaffarato in precoci giostre dietro a qualche femmina. Nelle sessioni fotografiche primaverili, attrezzato di lungo e reflex, non si era mai degnato di comparire, eccetto una volta in cui, appena sbucato in pastura, da buon “folletto” era stato magicamente risucchiato dal bosco lasciandomi a bocca asciutta. Ora che si è aperta la caccia al maschio il mio unico intento è prendere lui, e nessun altro. Nelle prime uscite estive il mio Monostanga non si era più fatto vivo. Diverse femmine, un paio di maschi giovani e un maschio adulto “regolare” avevano popolato i prati, ma di lui neanche l’ombra. Quella mattina avevo fatto un po’ tardi, (a giugno la notte è veramente troppo corta!) e fin dall’arrivo al posto auto ero pervaso dal timore di trovare gli animali già fuori, inficiando con pochi passi sulle stoppie secche tutti buoni propositi della mia uscita mattutina.
Fortunatamente i miei passi non allarmano nessuno e raggiungo col fiato sospeso un comodo ballone di fieno da me prescelto come punto di osservazione e (spero) di sparo. La balla di fieno divide idealmente la zona in due parti, un campo davanti a me e uno, leggermente più stretto, alle mie spalle. Il grecale che solitamente spira a quest’ora mi soffia in faccia, percui abbandono ogni fantasia di avvistare qualche animale sul campo alle mie spalle. Ciò nonostante, ogni tanto dedico qualche colpo di binocolo anche lì, più per scaramanzia che altro. Mi concentro sul campo davanti a me, la luce sta lentamente regalando colore e definizione al mondo incantato che mi circonda. In lontananza scorgo un branco di cinghiali, composto da tre scrofe e una decina di porchetti, che risalendo lungo il margine del bosco rientra dalle scorribande notturne. La capobranco detta il ritmo con cui avanzano gli animali, fa qualche passo, col grifo sonda l’aria, poi a capo chino riparte, tutti la seguono senza superarla. È una fortuna osservare le strategie degli animali selvatici da questo pulpito privilegiato. Intanto nessun capriolo all’orizzonte. Senza nemmeno inforcare il binocolo mi giro per gettare uno sguardo distratto alle mie spalle e…Ecco! Un maschio. Stimo una cinquantina di metri fra me e lui, che mangia erbetta tra la stoppia. Avvicino lentamente il binocolo agli occhi e un colpo al cuore per l’emozione mi conferma che si tratta proprio di lui: Monostanga!
La distanza tra me e lui è assurdamente poca, il problema è che io mi trovo dal lato sbagliato della balla di fieno, e la carabina punta sul campo opposto. Devo assolutamente cercare di circumnavigare il ballone. Quando Monostanga alza la testa tra un boccone e l’altro sento sulla pelle il brivido del suo sguardo. “Mi ha visto!” impreco nella mente, aspettandomi da un momento all’atro un abbaio e un capriolo in fuga. Invece abbassa la testa, come fingendo di mangiare, e subito la rialza. Ripete il trucco tre-quattro volte, poi si mette a brucare sul serio e questo mi tranquillizza, confermandomi che in realtà non mi ha identificato. Forse il vento gli ha portato il mio odore, ma la mia immobilità non ha confermato l’allarme.
Il perimetro di una rotoballa non è infinito, si tratta di pochi metri che si percorrono in un secondo. Il mio spostamento sul lato opposto ha richiesto un tempo lunghissimo e logorante. Un centrimetro, sbinocolo, Monostanga bruca, mi sposto ancora un po’. Alza la testa, mi blocco. Ancora un boccone, un altro passettino guadagnato per me. E così via, per un interminabile balletto, col cuore in gola e quasi in apnea. Dopo un tempo interminabile, quando l’acido lattico ha intriso ogni mia fibra muscolare, finalmente sono dal lato giusto della balla di fieno, completamente coperto dallo sguardo sospettoso del capriolo. Con calma giro la carabina verso di lui e telemetro la distanza più corta mai misurata da un selvatico: 43 metri. Molti sostengono che con distanze simili è consigliabile mirare alla base del collo dell’animale, ma la mia personale scuola di pensiero mi orienta sempre a mirare al blatt. Porto gli ingrandimenti dell’ottica a 6x, il puntino illuminato è fermo sulla spalla anteriore del capriolo. Mi concedo un paio di inspirazioni per regolarizzare il respiro e smaltire un po’ di tensione accumulata durante l’estenuante giro intorno alla rotoballa. Il grilletto decide quasi senza preavviso che è giunta l’ora per il mio bel capriolo.
Mi inginocchio accanto a Monostanga e concludo che il nome da me attribuitogli non era in realtà giustificato poichè l’anomalia del suo palco è di tutt’altra natura. Le stanghe sono due, ma entrambe incomplete, ma danno l’idea di essere un’unica stanga con le tre punte al completo. Ho inseguito questo animale per mesi e lo avevo nel cuore. Ora, ammirandolo sotto i primi raggi di sole provo soddisfazione per averlo finalmente preso ma inizio a sentire, silenziosa e bruciante, un po’ della sua mancanza.
Come Veterinario non mi sono mai permesso di scrivere nulla di medicina……come medico non si permetta di scrivere cose di veterinaria….. alimentazione ed altro sugli animali sono precipue del veterinario, non del medico che di veterinaria non sa nulla.