A due giorni dalla chiusura della caccia al capriolo in vista della pausa di un mese per gli amori estivi, mi preparo a un’uscita mattutina. Mi accompagnerà per la prima volta un caro amico, anch’egli cacciatore, appassionato di lepre e cinghiale. Non ha mai praticato la caccia di selezione e sono felice di fargli vivere, seppur da accompagnatore, un’esperienza del genere. Giungiamo prima dell’alba in zona di caccia, conosco bene il territorio perché lo frequento assiduamente, ma a causa del buio ci muoviamo con estrema circospezione.
Sentiamo da lontano l’abbaiare dei caprioli, e ci dirigiamo praticamente alla cieca all’appostamento. Quando la luce del crepuscolo mattutino illumina appena il cielo si definiscono davanti a noi l’ampia stoppia sulla sinistra e un campo incolto a destra. Una sagoma di capriolo sta ruminando seduta nella stoppia, ma ci vorrà ancora qualche minuto per dare alla luce la forza di svelare il vuoto in mezzo alle grandi orecchie. Spiego a Massimo che nel piano d’abbattimento sono previsti sia maschi adulti che giovani ma che, secondo il mio personale buon senso, ho intenzione di prelevare un M1 lasciando ai maschi dominanti la possibilità di coprire le femmine per le quali si sono battuti nelle settimane precedenti.
Quando la luce è sufficientemente intensa per dipanare le forme nel campo incolto, col binocolo scorgo un maschio di capriolo. Con un cenno a Massimo lo invito a inquadrarlo e dopo una rapida osservazione concludo trattasi proprio di un maschio giovane. Mentre per sparare nella stoppia sarebbe stata facilmente assumibile la posizione da sdraiato, qui nel campo c’è erba più o meno alta, e mi toccherà sparare dal treppiedi. Mi giro con movimenti impercettibili in direzione del capriolo, impiegando un tempo che a Massimo, abituato ai tiri di stoccata delle sue forme di caccia, sembreranno eterni e snervanti. Appena concludiamo che è il capo giusto Massimo si tappa le orecchie in attesa del boato dello sparo. Lo sorprende il mio indugiare, e non osa verbalizzare le mille imprecazioni che ha in mente mentre c’è un capriolo fermo col reticolo addosso. Non sparo finché la sua posizione non sarà perfettamente a cartolina, avendo tutto il tempo a disposizione e mirando a un tiro pulito rispettoso dell’animale e della sua spoglia. Mentre viviamo sospesi in questi interminabili secondi densi di domande e risposte che non possono incontrarsi, un grosso cinghiale ci sfiora, sfilando a pochi metri davanti a noi.
Da cinghialaio purosangue qual è, Massimo ribolle di adrenalina e il richiamo della setola lo fa movimentare. Non proferisce parola ma la sua espressione è un misto di stupore, biasimo e incredulità. Dal suo punto di vista non è possibile non essere tentati dal quel cinghiale che, grazie alla nostra invisibilità dovuta al silenzio e al vento a favore, è così vicino da poterlo toccare. Anche a me preme spiegargli che in quella zona non posso prelevare il cinghiale, e poi ero uscito per un maschio giovane di capriolo, e stavo aspettando il momento giusto per un tiro perfetto. Il momento è arrivato, butto un occhio a Massimo per assicurarmi che le sue mani siano tornate a proteggergli le orecchie, e mando il colpo proprio dove l’ho visualizzato. Il capriolo sparisce nel campo incolto, ma non ho grossi dubbi su dove lo troveremo. Mentre stringo la fascetta sono molto felice, sia per il buon esito di questa uscita che per l’ottima compagnia di Massimo.
Ma ciò che mi rende più soddisfatto è aver avuto occasione di mostrare ad un amico e cacciatore alcuni princìpi a me cari riguardo a questa forma di caccia. Spunti che mai nessun libro o corso saprà mai divulgare altrettanto efficacemente che la condivisione nel bosco e nella generosità della Natura.