Alle 4.00 ci mettiamo in cammino dopo esserci ripartiti, come da collaudato copione, i diversi “fardelli” (zaini, reflex, treppiedi, carabina). La decisione di tentare col buio una zona per la prima volta dopo molti mesi ci fa un po’ tentennare: la fisionomia dei campi è un po’ cambiata, dove c’era una staccionata ora è stato seminato, dove c’era prato ora c’è stoppia e balle di fieno. Arriviamo sotto la grande quercia e ci fermiamo. Ci circonda ancora una fitta nube d’ombra, i confini delle cose sono illuminati dalle stelle e dal freddo bagliore dell’alba che inizia a vibrare alle nostre spalle. Il ponentino, impercettibile e fresco, soffia da ovest sulla fronte, in direzione opposta al nostro avanzare. Da qui in poi c’è un campo di orzo. Col binocolo a fatica si distinguono le sagome, nel mare di spighe che si dipana davanti a noi. “Santo cielo che bestia!” esclama Vincenzo a fior di labbra, “laggiù, a 50 metri dal bosco…un verro enorme!”. Cerco col mio binocolo l’oggetto di tanto sgomento, e in un primo momento non lo identifico col grande cespuglio nero che si staglia in mezzo al campo ma…un momento! Non è un cespuglio, si muove! Man mano che l’irradiazione azzurra dell’alba incipiente schiarisce l’orzo dorato, i confini del poderoso corpo del verro si delineano sempre più. Posso vedere chiaramente la sua bocca aprirsi per sgranare le spighe, e masticare. Mangia con metodo, ritmo, incessantemente, avanza di un passo ad ogni boccone. È una macchina da guerra, concentrato, con l’imponente avantreno e la testa enorme che spiccano da lontano sul bacino stretto. Un verro “d’autore”! Per vederlo meglio Vincenzo lo inquadra nell’ottica della carabina. Se non lo conoscessi bene, penserei, davanti a un animale così bello, che gli stia venendo la tentazione di tirare. Ma prima che io possa esprimere il malvagio pensiero, ha di nuovo inforcato il binocolo.
Non appena l’ultima stella tramonta e le chiome degli alberi intarsiano il cielo sopra il bosco, col suo passo maestoso il re della macchia si ritira prudente nei suoi appartamenti.
“Abbiamo un capriolo a 100 metri!”. Senza muovere quasi nulla, faccio una minima torsione del busto per spostare le lenti sulla sagoma indicata da Vincenzo, che ora s’intravede quasi a occhio nudo. Capriolo è capriolo, ma cos’è? “Secondo me è una femmina…aspetta che lo inquadro con l’ottica!”, e delicatamente, con movenze da bradipo, ruoto verso di me la carabina, fissata sul doppio appoggio del nuovo treppiedi di Vincenzo. “Tra le orecchie non ha nulla…” confermo a Vincenzo. La capriola, che fin ora sembrava non essersi accorta di noi, fissa lo sguardo verso la quercia che ci copre. Non può averci avventati perché siamo a vento buono, nemmeno il furbo verro si era accorto di noi: deve averci visti. Faccia a faccia con la capriola ho modo di appurare con certezza il suo gentil sesso. Fa un paio di balzi verso la nostra destra e si ferma. Io la seguo dall’ottica della carabina, Vincenzo dal binocolo. La distanza non è molta, ma la luce è ancora poca per guardare ad occhio nudo. “Ma…ora mi sembra un maschio!”- sussurro stupita, e stizzita per aver sbagliato la prima valutazione. Laddove la capriola si è fermata, un capriolo con “qualcosa” sulla testa sta mangiando, ed ha il punto rosso illuminato dell’ottica puntato sul muso. Non c’è dubbio: è un maschio. Adulto dal portamento, dalla conformazione del collo. Ha un muso un po’ tanto lungo. “C’è ancora la femmina!” – Vincenzo chiarisce l’arcano – “ed è ancora in allerta. Il maschio era già lì da un pezzo seduto a ruminare, e si è alzato allarmato da lei”, dice Vincenzo. Dopo un paio di passi il maschio si risiede a ruminare. Talvolta la sua testa scompare per piluccare qualche altro boccone. A me non resta che inquadrare il vigoroso collo e il singolare palco. Ha una stanga più corta, puntuta, e sull’altra non vedo lo stocco.
Il profilo della sella è lievemente inclinato verso il posteriore come se la contrazione muscolare delle zampe stia incamerando la spinta elastica per un balzo improvviso. La decisione, la mira, la concentrazione, il respiro, il movimento del dito sul grilletto, la previsione dei suoi prossimi movimenti…tutto si concentra in un unico, infinitamente piccolo e infinitamente lungo istante. Tutto accade contemporaneamente e, mentre realizzo quello che devo fare e quello che spero accada, il maschio è sparito dagli oculari del binocolo di Vincenzo, caduto sulle ultime spighe su cui aveva appena messo gli zoccoli. “Weidmannsheil” sussurra Vincenzo, mentre tira un sospiro di sollievo. Un altro secondo e, con l’amaro in bocca, saremmo rimasti lì a rimuginare sulla fuga dei due caprioli, magari condita di fragorosi abbai che avrebbero messo in allarme tutti i caprioli della zona.