Annata strana, questa, e sfortunata. Siamo a luglio e la caccia di selezione al capriolo è appena iniziata, con un mese di ritardo. Burocrazia, riforme, passaggi di responsabilità, hanno reso l’attesa snervante e tediosa. Siamo stati nei giorni scorsi al tramonto a sbinocolare per capire come si comportano i caprioli in questa zona. A marzo, quando si cacciavano i calvi, tre generazioni di maschi si sono affrontate su quest’arena, regalandoci il meraviglioso spettacolo della competizione e del valore della gerarchia durante la fase territoriale. Giovani puntuti si aggregavano ancora alla femmina adulta e gravida, senza partecipare alle esibizioni di forza. A un maschio possente bastava battere a terra lo zoccolo per mettere in fuga i giovani spavaldi. Qualche volta il gesto autoritario non era sufficiente e rapide rincorse sancivano l’autorità del vincitore del futuro ius primae noctis. In mezzo a tanto fermento le femmine con i piccoli non amavano mostrarsi, imponendoci l’ingiusta legge secondo la quale a ogni stagione sono sempre più contattabili le classi che non sono oggetto di prelievo.
E, infatti, nei due giorni antecedenti l’apertura odierna nessun maschio giovane si è palesato. La speranza è poca, ma il ricordo di marzo ci da vigore. Giungiamo sul posto alle 18.00, col sole ancora alto e un caldo impegnativo ma non disagevole. Il ponentino soffia intermittente, rinfrescandoci un poco ma purtroppo in direzione sfavorevole, verso il poggio cui è rivolta la nostra attenzione. Il mio ruolo oggi è di accompagnatore. Pur non spettandomi una parte “da protagonista” in quest’uscita, sento tutta l’emozione e la tensione che la lunga attesa si porta dietro. Vincenzo è molto concentrato e attento. La luce feroce del sole di luglio ci dissuade dall’illusione di vedere qualcosa prima che siano trascorse almeno due ore e, invece, una volpe guardinga attraversa di taglio il campo davanti a noi. Ha la lingua penzoloni e l’aria provata. Chissà che sete dovrà patire, povera bestia! Dopo pochi minuti la stessa volpe compie il tragitto opposto, questa volta portando nella bocca un ciuffo di pelo bianco e arancio…sembra pelo di capriolo, ma chi può dirlo! Probabilmente è in cerca di cibo per i suoi volpacchiotti.
Abbassiamo i rispettivi binocoli per un po’, la visibilità a occhio nudo con questa luce è ottimale e poi…cosa vuoi che si palesi a quest’ora? “Aspetta un attimo: ma quelli son cinghiali!” bisbiglia Vincenzo scuotendomi dal torpore dell’attesa. “Si! Sono due…anzi, tre scrofe! E guarda quanti striatiiii!” commento, incredula, da sotto la quercia, che mi accoglie con la sua preziosa ombra. Vincenzo inquadra nell’ottica i cinghiali, che sono a 430 metri da noi. Ha trovato un appoggio formidabile: una balla di fieno alta il giusto per sostenere non solo la carabina nella sua interezza ma tutto il corpo. Spalmato contro la balla di fieno la sua stabilità è totale. “Wow! Che fortuna un appoggio così! Ho il cinghiale di destra nel mirino e sono fermissimo!”. Le prove generali con obiettivi setolosi non valgono granché. Poco più giù qualcosa di più filiforme si muove nell’erba. È un capriolo. Prima che Vincenzo possa riaumentare gli ingrandimenti della sua ottica, ho già codificato il capo: un maschio giovane. “È lui!” comunico con fermezza a Vincenzo. “Troppo lontano 400 metri, aspetterò che si avvicini, sperando nell’attrazione del verde e fresco angolo di trifoglio selvatico”. Non posso certo incitare Vincenzo a tentare un tiro del genere, viste le circostanze. Ma l’attesa non ci premia. Anzi, il giovane puntuto sembra sparito, non lo vediamo più. Sul volto di Vincenzo un velo di stizza tradisce l’iniziale pentimento sul tiro intentato, o almeno così lo interpreto. Non so indovinare i suoi pensieri, ma abbiamo smesso di parlare per evitare di farci sentire. “Eccolo, Vi’, alla tua destra!” bisbiglio impercettibilmente. Miracolosamente mi ha sentita! Il capriolo ha percorso una valletta che lo nascondeva ai nostri occhi, giungendo a poco più di cento metri da noi. Non può vedere me accovacciata nell’ombra né Vincenzo nascosto dietro la balla di fieno. Vincenzo aggiusta lo zaino sotto la carabina, mette l’occhio nell’oculare dell’ottica, riducendo gli ingrandimenti che erano rimasti al massimo per studiare i cinghiali lassù. Cosa fa? Non arma? Non so cosa pensare. Il capriolo è quasi di punta, vero, ma sarebbe ora di prepararsi. Poi fa un passo e si gira di trenta gradi, non è proprio a cartolina ma può andare già bene. Vincenzo arma la sua R8, finalmente! Rimette l’occhio sull’oculare, sospira. Trattiene il fiato..
Senza accorgermene faccio lo stesso. Non so quando sparerà e devo inquadrare il capriolo col binocolo, per esser pronta a dare l’esito del tiro. Lascio il binocolo puntato sul capriolo e con un occhio sbircio Vincenzo. Col dito sul grilletto è un fascio di nervi. “Il reticolo non sta fermo!” sospira, stizzito e stupito egli stesso della sua reazione. Pochi minuti prima aveva a tiro un animale a 430 metri e ora, a una distanza a prova di bambino, non riesce a tenere fermo il reticolo. Trattengo il fiato e con i mignoli mi tappo precariamente le orecchie, pronta a ricevere l’onda del boato della carabina. Sono istanti, al massimo secondi, ma sembra che il tempo scivoli sotto i nostri piedi, che la notte avanzi e il capriolo sia pronto a fuggire. Fa un altro piccolo movimento che lo proietta esattamente a cartolina rispetto alla traiettoria di sparo. Ho quasi perso la speranza che questo istante finisca, siamo sospesi sul limbo dell’esitazione. Col capriolo davanti, la decisione di sparare ha trasformato Vincenzo rendendolo vulnerabile ed emotivo. Io ho paura di perdere di vista il capriolo proprio nel momento clou.
Le esili zampe del giovane maschio si volgono per un istante al cielo prima di accasciarsi sul tappeto di trifoglio. L’ondata di emozione che mi ha invaso m’impressiona moltissimo, perché, di fatto, non ero che un accompagnatore. Immedesimandomi in Vincenzo ho potuto percepire tutte le sensazioni che attraversano la mente e il corpo durante la valutazione del capo e negli attimi prima dello sparo. Quella scarica di adrenalina che acuisce i sensi, ma fa vibrare i muscoli e martellare il cuore. Non avevo il dito sul grilletto ma era come se lo avessi. Oggi è come se avessimo cacciato in due. È proprio vero che la condivisione non significa “fare un po’ per ciascuno” ma piuttosto raddoppiare la forza delle esperienze vissute.