Caccia alle Balck Grouse: Dicono – ed è vero – che in montagna si sta bene perché ci sembra di essere più vicini al cielo. La pensa così anche il fagiano di monte (che ci piace chiamare black grouse) quando sceglie la propria arena di canto e il proprio habitat al limite della vegetazione arborea. Poiché la caccia a questo splendido tetraonide è quella che più si collega alla caccia in pianura, è importante conoscere gli aspetti meno noti dei forcelli, e le spettacolari differenze che intercorrono rispetto ai fagiani di pianura.
Testo e foto di Riccardo Camusso e Moreno Pellegrin – Articolo estratto da Diana
Il cacciatore sa che non è il fucile ad alimentare la nostra passione
Per un cacciatore di montagna, lo spettacolo naturale che i forcelli mettono in scena con le caruncole rosse distese sugli occhi, rappresenta un appuntamento primaverile a cui è impossibile rinunciare, non importa se con il fucile o la fotocamera digitale applicata al lungo. Ancora una volta, usciamo di casa a notte fonda. L’arena dei black ci attende, e sappiamo bene che dobbiamo essere sul posto almeno un’ora prima del sorgere del sole. Dopo molte ricognizioni, abbiamo localizzato una buona arena di canto, dominata da un grande maschio, ma non abbiamo ancora fatto un personale «censimento » sulla consistenza dei forcelli in questo territorio situato al limite estremo della vegetazione arborea. Oggi siamo senza fucile. Qui, non si caccia il fagiano di monte in primavera. Come molti cacciatori-tutto-l’anno, abbiamo con noi la fida fotocamera digitale e il lungo. L’assenza del fucile non ci condiziona più di tanto: le suggestioni di questo spettacolo naturale che ci strappa dal letto a notte fonda sono un tacito appuntamento per quando la scheda di memoria della fotocamera verrà sostituita da una cartuccia cal.12. Il desiderio di conoscere tutti gli aspetti di questo selvatico che vive in quota, vicino al cielo, (non come abbiamo visto nelle steppe del Grande Nord europeo, o in Mongolia), ci mette letteralmente le ali ai piedi. Fa un freddo cane. Siamo a primavera inoltrata; dal cielo cade un leggero nevischio che arriva fino alle ossa. Appena la luce che precede l’alba ci permette di vedere, le lenti del binocolo scrutano ogni angolo del territorio del black. Sono state necessarie molte uscite – comprese quelle dello scorso anno – per trovare questa arena di canto, ma non abbiamo localizzato il punto esatto dove i galli si esibiranno nei rituali combattimenti. Per questo motivo, prima di entrare in scena, preferiamo un’esplorazione a largo raggio. Vogliamo capire bene. Passano alcuni minuti. La luce inizia a sconfiggere il buio. Le cime della montagna si tingono di rosa, anche fra la nebbia di fondovalle. Nel reticolo del binocolo, entra il primo black, inconfondibile anche se nero come le ombre dei cespugli bassi. Ci sono anche piccoli abeti che spuntano dalla neve alta, ma la sagoma del forcello è impressa a fuoco nella nostra mente: impossibile confonderlo con ogni altra cosa, o con i gracchi. È Lui! Abbiamo voglia di entrare in scena, cercando di accorciare la distanza, ma preferiamo che sia lui a giocare la prima carta. Il nostro obiettivo, oggi, è verificare quale gruppo di alberi farà da sfondo ai combattimenti. Se, come nelle uscite degli scorsi giorni, sceglierà (per almeno un paio volte) l’isola di larici in un piccolo avvallamento del terreno, significherà che il punto centrale dell’arena è quello. Sempre lo stesso, stagione dopo stagione. È un gioco d’azzardo. Il black non si allontana dalla zona. Sicuramente ci vede, appostati, ma ha altre cose più importanti da fare. Siamo nella la stagione degli amori e delle caruncole rosse. Sembra quasi che lui non voglia scoprire subito le sue carte, non occupando l’arena prima del tempo. Qui starà a «litigare» fino al sorgere del sole. Collo proteso in alto, coda spiegata a lira, grande sbattere di ali, collo gonfio e barba di piume sotto il mento sollevata. Poi, quando sarà giorno fatto, tutto sarà rimandato al giorno successivo. La legge dell’arena è questa; la scena recitata dai black dura sempre poco, non più di un paio d’ore. Ancora una volta, mentre spiamo le mosse del black, «antropizziamo » gli animali selvatici, cercando di capire cosa porta il nostro black a scegliere un punto del terreno piuttosto che un altro. Discutiamo quindi se può essere quel gruppo di larici appartato e tranquillo, oppure il limitare del bosco alla nostra sinistra. O la pietraia coperta dalla neve dove il black sta in questo momento, silenzioso. Quello che dobbiamo capire, come sempre, è dove sono (o saranno) le femmine: anche fra i fagiani di monte, le femmine trainano il mondo. Come per rispondere alle nostre goffe ipotesi, il black si alza in volo (senza alcun motivo apparente) e plana ad ali tese verso «l’isola» dei larici, passandoci quasi sopra la testa. Iniziano le danze!
Un duello che sembra una danza
Difficile dire cosa porti – ogni anno – il black in questo preciso punto del suo territorio. L’ipotesi che ci costruiamo in testa valuta tutti gli elementi favorevoli: l’acqua che scorre vicino ai larici; la privacy garantita dal lieve avvallamento del terreno; i grandi spazi liberi di vegetazione alta intorno; i mirtilli che spunteranno appena va via la neve; il numero limitato di alberi, sufficienti per riparare il posto da occhi indiscreti ma non troppo fitti da impedire una buona visuale panoramica; e altri elementi che sfuggono alla nostra immaginazione. Sì, perché il black in amore deve avere tutta la situazione in pugno; deve poter vedere bene cosa accade intorno e controllare l’arrivo di eventuali rivali; deve avere un paio di alberi buoni sui cui rami si rifugiano le femmine e dove lui riposa fra un round e l’altro; un «ring» in leggera pendenza per tenersi sempre nel punto più alto rispetto ai rivali; la possibilità di spiegare al vento tutta la bellezza della sua coda a lira e intimorire i rivali; un punto sopraelevato dove eseguire i buffi saltelli in alto; un’esposizione al vento che consenta di far risaltare e far udire il fischio con cui viene sancita la sua dominanza; un punto più appartato dove portare a termine il proprio dovere riproduttivo, quando dall’arena saranno scacciati tutti i rivali; e tanto altro. Quest’anno, però, c’è qualcosa di diverso. Ci siamo avvicinati all’isola di larici, e possiamo vedere bene (e fotografare) tutti quanto accade. Il nostro black è solo. Un unico rivale si affaccia per qualche minuto all’arena, ma viene subito scacciato. Il previsto dialogo diventa un monologo. Come conviene a un primo attore. Ci piace pensare non a rarefazione di questa specie, ma al fatto che il nostro amico black è così forte e potente che tutti i rivali intorno lo temano al punto da non presentarsi neppure in arena. Inoltre, lui si esibisce in questo monologo con una tale forza che – forse – nessuno osa sfidarlo a duello. Questa magia che si ripete ogni anno, ci affascina sempre e ci permette di apprezzare uno dei selvatici più interessanti delle nostre montagne. Certo: il fagiano di monte ha in comune con il suo lontano parente di pianura soltanto il nome, ma vale la pena conoscerlo meglio. In Italia, visto che è proibita la caccia al canto, i metodi venatori – con i cani da ferma – sono traversali alla caccia in pianura. Qui finiscono le affinità: i forcelli che s’involano a brigate come le starne – lo abbiamo visto in Mongolia e in Svezia – non sono veri forcelli. Sulle nostre montagne, il black grouse ha una dignità che nulla ha da spartire con i forcelli che vivono nel Nord dell’Europa. La caccia è bella in ogni modo e ad ogni latitudine, ma lasciateci dire che l’abbattimento di un black delle nostre Alpi vale mille volte di più di un carniere di molti forcelli cacciati come galline da pollaio sulle pianure innevate.
La scelta del territorio
Ci siamo spesso domandati i motivi per cui i forcelli scelgono le zone più inaccessibili della montagna (con la sola esclusione delle arene primaverili). La risposta ci è stata fornita dai montanari che conoscono queste zone come le loro tasche. I forcelli prediligono i tratti più selvaggi e ripidi della montagna, dove a stento le radici degli alberi riescono ad approfondirsi, proprio per difendersi dai predatori (e dai cacciatori) e potersi riprodurre con relativo successo. Secondo i pastori, il forcello (oggetto di caccia incontrollata nel passato) non è a rischio di estinzione proprio grazie a questo tipo di difesa. Tutto ciò pur considerando la necessità che i capi adulti hanno di portare i novelli nei comodi pascoli delle alte brughiere, folti di rododendri, eriche e mirtilli. Per fortuna, i cacciatori non sono sterminatori (come li si vuol dipingere): la caccia al forcello – particolarmente alle femmine – è proibita in ogni territorio dove la densità si riduca drasticamente. Abbiamo assistito, tuttavia, anche a situazioni difficili da interpretare: in un territorio estremamente vocato per il forcello, per esempio, con grandi distese di rododendri, la rarefazione della specie ha indotto a chiudere la caccia per dieci anni. Alla riapertura, tutti credevamo di incontrare forcelli come in una riserva di caccia; invece, la situazione è rimasta «congelata», come dieci anni prima. Ci piace pensare che la legge della Natura e l’istinto di sopravvivenza sia di gran lunga migliore delle leggi dell’uomo. Un’ulteriore conferma viene dal fatto che l’habitat del forcello – oggi – si è gradualmente alzato: sotto il limite della vegetazione arborea e/o a quote inferiori ai 2.000 metri è ben difficile incontrarlo o localizzare una sua arena di canto.