Con questo racconto mi riporto intorno agli anni cinquanta quando con un mio carissimo amico decisi di fare un’escursione sui monti Ernici, montagne di Sora, per controllare che vi fossero coturnici.
Partimmo molto presto dal nostro paese, Arpino in provincia di Frosinone, passando per Isola del Liri, San Domenico e nei pressi di dove oggi si prende l’autostrada Sora Frosinone. Imboccammo una stradina che ci portò proprio ai piedi della montagna. Trovammo poi un tracciato e con la mia cinquecento iniziammo a salire. Meta da raggiungere “I trenta faggi” una zona ambita dagli escursionisti e posta molto in alto.
Il primo tratto di strada, ripido e pieno di grosse pietre, solo con una cinquecento si poteva affrontare, in alcuni punti il mio amico doveva scendere e spostare dei sassi grandi per fare spazio alle ruote della macchina che si arrampicava faticosamente, ma riuscimmo a farcela. La stradina poi divenne più confortevole e procedevamo discretamente, ad un tratto il mio amico mi chiese di fermarmi per un urgente bisogno, mi fermai e subito sparì nella notte. Approfittai per aprire il vetro della macchina, per un ricambio d’aria. Portavamo nella cinquecento due cani, come abbassai il vetro udii un correre di animali, cercai di indirizzare i fari in quella direzione, ma non vidi niente, alla fine della luce dei fari, però, mi appariva un’ombra.
Tornò il mio amico e raccontai il fatto, non gli diede alcun peso, anzi mi invitò a chiudere la macchina perché faceva freddo, ma io per nulla persuaso continuavo a vedere l’ombra ed allora con decisione scesi, presi una piccola pila tascabile, caricai il fucile e mi avviai verso l’ombra che avvicinandomi mi parve somigliasse sempre più ad un cinghiale. Era completamente ferma e questo mi lasciava qualche dubbio. Da una decina di metri con forza tirai un sasso, l’ombra si mosse ma non più di tanto, presi allora coraggio e mi avvicinai e con la luce della pila notai un luccicare di catena. Si trattava di una “scrofa domestica”con una catena al collo e legata ad un albero. Chiamai il mio amico e presto ci fu tutto chiaro. La scrofa in calore era stata portata così in alto con un trattore per farla accoppiare con cinghiali veri. Mi spiegai così da dove venivano alcuni cinghialetti esposti in una nota macelleria ben adornati con verdeggianti rami di alloro. Fui soddisfatto della scoperta ma ancor di più di non essere stato un furioso sparatore.
Riprendemmo il nostro viaggio. Ad un tratto la stradina scomparve e bisognava procedere a piedi. Ci trovavamo esattamente di fronte al nostro paese, sotto di noi un grande spettacolo di luci: San Domenico e tutta la valle del Liri. Spaziando ancora apparivano molto lontano i paesini arroccati sotto le montagne della Val Comino, Alvito, San Donato, Sette Frati e Picinisco, tutti della nostra provincia. Era ancora notte quando iniziammo a piedi a salire per un piccolo sentiero che si intersecavai tra bosco e montagna. Dopo aver camminato abbastanza e in assoluto silenzio prima che facesse giorno ci fermammo per riposarci e per goderci il silenzioso mormorio della montagna, per assistere poi al grande spettacolo dell’arrivo del nuovo giorno ed infine per attendere il richiamo delle coturnici che avviene sempre poco prima dell’alba. Il richiamo ci giunse chiaro ed armonioso, si trattava di un buon volo di coturnici.
Con grande entusiasmo riprendemmo a salire, era ormai giorno fatto e la cima dove pensavamo si trovassero le coturnici appariva molto lontana e tutta in salita, bisognava procedere lentamente ed in silenzio senza far cadere pietre o altro. Le coturnici dopo il richiamo si mettono in ascolto e percepiscono il pur minimo rumore e se avvertono pericolo emettono un richiamo di partenza e cambiano completamente zona. La vita è un dono prezioso per tutti e madre natura, così perfetta verso ogni creatura, ha dato la possibilità a tutti di amarla e di difenderla ad ogni costo e le coturnici lo insegnano.
Per tutta la mia lunga vita di cacciatore, e di ammiratore e amante della natura, mi si è sempre ripresentato lo stesso pensiero: faticavo tanto per riuscire ad incontrare una coturnice e dopo aver portato a termine e con successo l’operazione, quando il mio fedelissimo cane me ne riportava una ormai priva di vita, provavo un senso di colpa perché avevo privato ad una creatura così interessante nobile e perfetta di continuare a dominare le vette più alte e gli immensi canaloni. Non a torto la coturnice è detta Regina dei monti. Dopo questa parentesi ritorno al racconto.
Ci trovavamo a metà strada quando il mio amico ed io decidemmo di fare l’ultimo avvicinamento dividendoci. Salendo uno da un lato e uno dall’altro avremmo coperto meglio la montagna.
Dopo aver ben camminato ad un tratto il mio cane avvertì una”passata” di coturnici ed iniziò l’inseguimento con mezze ferme e gattonando sempre più velocemente. Cercai con le mie forze di seguirlo, ma poi fui costretto a fermarmi, non ne potevo più. Cercai di avvisare il mio amico facendo segni con le mani. Non potevo parlare né fischiare, le coturnici erano già allertate e pronte al via. Il mio cane scomparve tra alcuni roccioni ed io fermo ad aspettare. Ad un tratto un grosso frullo. Le coturnici partirono da dietro un roccione ed io le vidi in ritardo, mi passarono di lato e fui costretto a sparare di stoccata mandando così a vuote le mie tre fucilate. Il mio amico non vide niente, cercai di seguirne il volo, ma velocissime traversarono un bosco di faggi facendo così perdere ogni traccia.
Le cercammo ancora, non avendo però alcun riferimento, sconsolati riprendemmo la via del ritorno, ma non dopo aver ben studiato la montagna e con il fermo proposito di ritornare. Conoscevamo abbastanza la zona, si trattava solo di far si che il mio amico rimanesse al di sotto della fascia boscosa osservando così la rimessa. Otto giorni dopo ci presentammo all’appuntamento, partimmo con comodo dal nostro paese, conoscevamo la strada, il sentiero, il bosco, a me toccò la camminata più lunga per arrivare in cima e scovare le coturnici e con l’accordo che avrei dovuto comunque sparare per mettere in guardia il mio amico.
Percorsi l’ultimo tratto di montagna con grande fatica ed in silenzio, arrivato sul posto mi riposai un poco, il sole era già in alto e faceva caldo. Slegai il cane che già avvertiva la”passata” che avvenne poco dopo e più in alto e rimase in ferma. Cercai di mettermi in buona posizione. Le coturnici partirono in volo facendo un gran rumore ma prima che prendessero velocità ne atterrai due ma senza nessuna bravura, sparando nel mucchio. Le seguii fino al bosco poi scomparvero. Il mio amico non sparò e seppi dopo che neanche riuscì a localizzare bene il punto di rimessa.
Soddisfatto, dopo aver sistemato le due coturnici, decisi di tornare per altra via ed iniziai la discesa. Erano le undici circa quando camminando notai dalla montagna di fronte alla nostra venir giù un cavallo solitario, tra le rocce, come fosse una capra, con passo spedito e sicuro, sapeva dove andare, io, un po’per la stanchezza e un po’ per un vecchio amore che nutrivo per i cavalli, mi posi comodamente seduto a seguirlo e a fantasticare. Era di colore sauro, con una folta criniera color oro che ondeggiava. Lo seguii fino a quando scomparve.
Ripresi a camminare pensando a dove potesse andare e da dove venisse. Forse dalle montagne di Prato di Campoli, una zona del comune di Veroli, che confina con una catena di montagne abruzzesi, infatti lungo un costone che offre una grande veduta su tutta la valle Roveto si trova una colonna in pietra lavorata alta più di un metro e rotonda che delinea il confine tra Frosinone e L’Aquila.
Ritrovai il mio amico, erano circa le diciotto, ci sedemmo a mangiare e a rifare il punto della situazione. Era difficile ritrovare le coturnici ed a mio avviso stavano già tornando nel loro habitat e quindi inutile andarle a ricercare. Ci riposammo un po’ e poi riprendemmo la strada del ritorno.
Mentre scendevamo con la macchina, all’ultimo curvone notai a valle dei cavalli al pascolo e verso di noi un “cavallaro”. Fermai la macchina e pregai il mio amico di avviarsi giù da solo, ci saremmo ritrovati più tardi. Puntai verso il cavallaro e gli chiesi del cavallo sauro sceso giù dalla montagna. Mi confermò l’arrivo e aggiunse “E’ una bella cavalla, ma è stata sfortunata poiché lo stallone che cercava è impegnato nel casolare con una cavalla del suo gruppo che questa notte ha perso il suo puledrino per un aborto.”
Chiesi dove si trovassero e mi indicò una zona posta più in alto. Non ci pensai due volte e mi recai dove mi aveva indicato. M’imbattei in uno spettacolo che non ho mai dimenticato e che a fin di bene ho sempre raccontato. Uno stallone maremmano, molto bello, con zoccoli troppo grandi, teneva la testa verso terra, vicino a quella della cavalla che nella notte aveva perso il puledrino. Al mio arrivo non mi rivolsero neanche uno sguardo, rimasero entrambi chiusi nella loro sofferenza.
C’era anche la cavalla che tanto avevo seguito, con grande frenesia stuzzicava lo stallone con piccoli morsi e lo invitava in tutti i modi a seguirla, ma lo stallone rimaneva fedele al suo posto.
Sarei rimasto ancora, ma il mio amico continuava a chiamarmi e lo raggiunsi.
Racconto di Aldo Palma.