Caccia al Cinghiale: Per la nostra squadra, la caccia al cinghiale ha sempre rappresentato il clou della nostra lunga esperienza venatoria. Abbiamo sempre amato cacciare, per passione, ma anche per amore del rischio e per godere della saporita carne del cinghiale maremmano, forse unica preda a rispettare le vere origini di questa razza suina selvatica.
La notte prima della partenza avevo già sognato di assaggiare la carne arrosto di un bel cinghiale nero, magari di una scrofa di grossa portata. Dopo le nostre battute, sempre magnificamente riuscite, abbiamo provato l’ebbrezza di gustare il frutto delle nostre fatiche: la carne arrosto del cinghiale condita con salmoriglia in umido, una vera delizia…
Quella mattina di novembre speravamo di ripetere i successi dello scorso anno, ma non ne eravamo sicuri, anche perché le regole per cacciare cambiano in continuazione ed il caposquadra si era fatto carico di controllare i nuovi regolamenti di caccia del territorio prescelto per le nostre battute.
Se anche stavolta fossimo riusciti ad abbattere uno o più cinghiali, avremmo potuto gustarli ben cotti assieme ad un bel bicchiere di vino, il nostro amato vino DOC Morellino, ricavato dai ridenti vigneti di Scansano. La nostra battuta avrebbe dovuto concentrarsi proprio lì: tra le colline dell’Albegna e del Fiora, dove i boschi della macchia mediterranea offrono nutrimento e protezione ai cinghiali nostrani. Loro, le nostre ambite prede, vivono quasi sempre in branco, non sono poi così numerosi come mezzo secolo fa, quando i nostri nonni li cacciavano durante interminabili battute a cavallo. Sono sempre abbondanti, ma adesso te li ritrovi davanti all’improvviso, riuniti in gruppi di cinque, massimo sette esemplari, tra cui quasi sempre una scrofa ed i suoi piccoli.
La caccia al cinghiale maremmano non è mai come le altre, perché queste prede sono fiere ed orgogliose e non temono di scontrarsi con i cani.
Lo scorso anno uno dei miei segugi è morto dopo essere stato azzannato a un fianco. La caccia al cinghiale maremmano è quindi anche pericolosa e solo una lunga esperienza come la nostra può evitare il peggio. Quella mattina eravamo in venti, il regolamento prevedeva almeno 18 cacciatori abilitati, ma noi, grazie alla nostra immemorabile amicizia, eravamo riusciti a restare uniti per amore della caccia e per un profondo rispetto dell’uno verso l’altro.
Il caposquadra ci aveva dato il buongiorno alle 4 del mattino. La sera precedente ci eravamo ritrovati tutti assieme in un casale con splendida vista sulle colline della Maremma. Quelle ridenti alture ci attendevano con tutta la loro inesauribile bellezza e con l’atmosfera incantata tipica dei loro arbusti. Fuori dal casale non c’erano cavalli, ma jeep, fuoristrada e una camionetta dove caricare i nostri cani. Ne abbiamo portati venti: “uno per uno ed uno per tutti” come dicevano i tre moschettieri. Noi quella mattina ci sentivamo come loro: dei moschettieri audaci e pronti a tutto! I nostri amati cani erano stati scelti proprio per “scovare” i cinghiali mimetizzati nella fitta boscaglia della zona.
Il loro abbaiare era netto, preciso e molto squillante. Anche loro agitavano la coda ed erano impazienti di cacciare… Non poteva essere altrimenti, visto che avevamo scelto proprio i cani adatti alla cattura dei cinghiali, ovvero i segugi italiani e maremmani: non ce ne vogliano gli amanti delle altre razze, non siamo nazionalisti, è solo che i segugi ci accompagnano fedelmente durante la battuta, sono obbedienti ed è uno spettacolo vederli abbaiare da fermi al cinghiale o muoversi con agilità all’interno delle aree boscose.
Dopo aver acceso i motori ci siamo ritrovati proprio dove volevamo essere, a pochi chilometri dalle vigne di Scansano, immersi in una fitta macchia di querce, castagni e sughereti. I tracciatori hanno segnato le zone dove poter trovare i cinghiali, andando a cercare i segni lasciati dagli animali durante la pastura notturna. Non è stato difficile individuare i grufolati dei cinghiali e ciò ha semplificato di molto l’assegnazione delle poste. Io, come i miei colleghi, ci siamo appostati nella zona di battuta assegnata, tutti in divisa arancione per renderci visibili agli altri, ma non ai cinghiali, che non sanno distinguere i colori.
La mattinata era umida, ma non particolarmente fredda e ci consentiva di attendere i cinghiali senza particolari disagi. Nessuno doveva spostarsi dalla sua posta, così vuole la regola della caccia al cinghiale e così abbiamo fatto, perché allontanarsi dal luogo di appostamento può essere molto rischioso, aprendo un varco dove potrebbero nascondersi dei cinghiali infuriati. L’attesa si allungava e solo l’abbaiare dei cani spezzava un silenzio quasi irreale. Dopo un’ora, un muso nero è sbucato dalla radura, poi ancora un altro e un altro ancora, tutti cinghiali neri, pelosissimi e pronti ad attaccare i nostri cani in una gara di morsi all’ultimo sangue. Il primo a sparare sono stato io, con un fucile express a due canne; poi, poco distante, un altro colpo, con fucile a canna liscia caricato con munizioni a palla unica; e poi un terzo, con una carabina a canna rigata, e infine l’urlo dei cinghiali feriti a morte e la fuga degli altri esemplari inseguiti e circondati dai cani. Le poste erano tutte occupate e formavano una trappola perfetta per le nostre prede. I cinghiali non hanno avuto scampo: sono stramazzati a terra con tutto il dolore e il furore che solo la morte violenta può causare. Il capocaccia ha suonato il corno dichiarando chiusa la battuta, mentre per noi, dopo la morte degli animali, iniziava già una nuova sfida: la prossima ed indimenticabile battuta di caccia al cinghiale nelle ridenti colline toscane.