Caldo e afa tolgono letteralmente il fiato. L’invito di Ennio ad accompagnarlo a caccia giunge graditissimo! Il nostro amico selecontrollore della specie cinghiale nel Parco Nazionale del Pollino caccia in montagna. Lo raggiungiamo volentieri per il piacere della compagnia, per una giornata di caccia e, non lo nego, per godere un po’ di refrigerio! La zona assegnata oggi è abbastanza vasta e dal panorama variegato. La visuale completa è però impossibile da ottenere. L’appostamento più in basso offre una balla di fieno che guarda un bel campo di erba medica. Posizionandosi più in alto si ha a disposizione un vasto erbaio con un angolo di medica. L’una esclude l’altra. Decidiamo quindi di separarci, per moltiplicare le possibilità di avvistamento. Io e Vincenzo restiamo in alto, mentre Ennio e la sua Blaser si dirigono in basso verso l’erba medica. Restiamo soli, in compagnia dei nostri binocoli, a osservare la lingua di macchia che attraversa il campo davanti a noi. Al centro c’è un foro, un passaggio abbastanza largo, apparentemente frequentato e molto promettente. A occhio nudo un puntino “rosso capriolo” attira la nostra attenzione. Le lenti del Noctivid confermano che si tratta di una femmina. È a 290 metri, mangiando e camminando inizia ad avvicinarsi, sempre costeggiando la lingua di macchia centrale. Arriva a 140 metri, poi sparisce. L’estremità sinistra del mio campo visivo ci avvisa della presenza di un altro capriolo. A occhio nudo si vede che è un maschio, nel binocolo diventa un bell’adulto. Da come si comporta si evince che non ci ha visto né “percepito”. Ma qualcosa non lo convince, si ferma un istante a balza nel bosco.
Nel campo è ricomparsa la femmina, “pufff”, come per magia, senza che la vedessimo passare. Appena la intercetto col binocolo riparte di corsa verso la macchia. “Sarà stata spaventata da qualcosa” penso, e mi preparo a vedere nuovamente il bel maschio di poco prima in una giostra amorosa estiva. Invece la femmina esce nuovamente sul campo, con passetti circospetti, si gira spesso…è seguita da due piccoli! C’incantiamo a osservare le cure amorevoli della madre e le movenze giocose dei piccoli. Distolgo occasionalmente lo sguardo per controllare il resto del campo e per più di mezz’ora restiamo in compagnia della famigliola. Un rumore alla mia destra anticipa di qualche secondo la comparsa di Ennio. Il suo sguardo trasuda disappunto e rammarico: un agricoltore approfittando delle ultime luci si è presentato nel campo di sotto. Scusandosi con Ennio, ha iniziato raccogliere la paglia e a dare forma alle sculture dorate che si ergono sulle stoppie d’estate.
No! Che disdetta! Proprio ora, nell’orario clou! Non è abbastanza lontano da risparmiare anche quest’appostamento, anche qui di certo non uscirà nulla. Oggettivamente la nostra uscita è andata a rotoli, con questa visita inaspettata dell’agricoltore. Ma che senso ha andare via ora? Non resta che fermarci, anche solo per il fresco che si respira, e attendere che faccia buio. Quel fioco, impercettibile, illogico barlume di speranza è sempre acceso in fondo al cuore del cacciatore, anche quando le circostanze urlano, a suon di logica, che di speranza non ce n’è. La notte comincia dal bordo del bosco e pian piano invade i campi. Si porta dietro le prime stelle man mano che il sipario si chiude sulla nostra cacciata. Sulla cima del campo lassù, dove prima vedevo i caprioli, intravedo due macchie scure. Sembrano muoversi, e poco prima non c’erano. “I cinghiali!” esclamo.
Senza staccare lo sguardo dal punto, tiro su il binocolo e nelle lenti si aggiungono altre sagome rossastre. Un branco di oltre dieci cinghiali inizia a grufolare nervosamente con veloci scatti. Ci consultiamo rapidamente con Ennio. Nessuna esitazione: dobbiamo avvicinarli! Non tanto per i 330 metri che ci separano ma per il fatto che si sono accostati al buio bordo bosco e a tratti non si vedono già più. Iniziamo a salire. Dopo un primo tratto di campo aperto, in cui siamo nascosti dalla gobba del poggio, dobbiamo attraversare uno spiazzo nel bosco. Da lì dovremmo sbucare proprio di fronte ai cinghiali.
Foglie e rami lungo il percorso potrebbero tradire la nostra presenza. Quando arriviamo sotto il varco che porta al campo, ci fermiamo. Ennio apre lo sgabello e dispone sopra lo zaino. Ormai a occhio nudo non si vede nulla, sembra non ci siano più! Ma con il binocolo si vedono entrare e uscire dal margine del campo. Ennio fa due tentativi di ingaggiarli con l’ottica. Accende il punto rosso. L’animale più vicino non è il più grosso, di certo non è la scrofa dominante. Telemetriamo 82 metri, una distanza più che sicura visto il buio. L’animale è a cartolina. Trattengo il fiato con in mano il binocolo come se fossi io a sparare. La mia pacca sulla spalla di Ennio è quasi sincrona al tonfo della carabina e al crollo istantaneo del cinghiale. Il resto del branco, invece di disperdersi, resta impietrito, per poi spostarsi di pochi metri. La situazione sarebbe favorevole per un secondo abbattimento, ma per questa sera abbiamo già un ottimo motivo per ringraziare il cielo stellato del Pollino.