Da quando si è chiusa la caccia di selezione ai calvi di capriolo, sono trascorsi ormai tre mesi. Numerosi eventi a tema venatorio ci hanno intrattenuto nel frattempo, ma tutto questo parlare di caccia non ha fatto altro che far salire la febbre. Aspettavamo giugno come il mese d’oro in cui riapre la caccia di selezione al capriolo, ma il pasticcio italiota in cui si è impelagata la Toscana, ha messo in subbuglio assegnazioni e aperture e così, la settimana di ferie riservata alla caccia rischia di trasformarsi in un pigro bivacco senza meta. Oramai la carabina è qui con noi, in attesa di un fortunato colpo di scena.
“Stasera si va a fare un intervento di controllo in un’azienda” esordisce al telefono Franco, il capodistretto, col suo fare conciso e affatto formale. “Che fate, venite?!”. Lui sa che la domanda è retorica, alle quattro del pomeriggio siamo già lì. “L’altra sera ne abbiamo presi due, la settimana scorsa uno…i branchi ci sono, tutto sta un po di fortuna!” ci racconta Maurizio, mentre ci accompagna alla nostra postazione. “Le scrofe son furbe e portano i branchi a fare danni senza esporli a pericoli…ah, la natura! Però per gli agricoltori è un disastro!”. Mentre il fuoristrada s’inerpica sulle sterrate che costeggiano i campi, vediamo le distese di grano, come una folta chioma bionda avvenente, ricoprire col loro manto dorato i dolci pendii. Gli ultimi papaveri punteggiano di rosso questo mare dorato e, qua e la, orrende chiazze di alopecia deturpano il panorama. Per noi sono solo un antiestetico effetto dell’azione nociva dei suidi, mentre per gli agricoltori quei buchi sono soldi e sudore che vanno al vento….
“Ecco, voi avete questa postazione qui” – ci indica Maurizio – “potete sparare da quell’angolo in giù, tranne che in direzione della carrozzabile”. Rapidamente ci lascia, ed io e Vincenzo ci incamminiamo nel campo per appostarci. Il sole è ancora alto, c’è molta luce e fa caldo. Ci muoviamo silenziosamente evitando di parlare. Con un gioco di sguardi concordiamo per posizionarci un punto leggermente rialzato del campo, da cui la visuale ci sembra più ampia. Non faccio in tempo a posare lo zaino che all’estremo sinistro del mio campo visivo noto un movimento tra gli alti steli neri di favino. Vincenzo si è accorto di loro prima di me, e sta già cercando di aprire il fodero della carabina senza fare rumore. Malefiche folate di vento ci arrivano alle spalle, spingendo nel grifo dei cinghiali il nostro odore. Sembrano immobili, ma di sicuro stanno per partire. “Daiii sbrigati, Vi’, arma la carabina!” bisbiglio incredula io stessa di aver trovato i cinghiali ad aspettarci nel campo. Al minimo movimento di lui le ombre nere s’incamminano verso la macchia di fronte. Non stanno proprio scappando ma certamente non hanno dubbi di lasciare la loro pastura pomeridiana. Un intero branco sbuca dall’erba alta per andare a conficcarsi nei rovi che incorniciano il campo. Che peccato!
“Vedrai che presto o tardi torneranno” – m’ incoraggia fiducioso Vincenzo – “ci hanno avventato e per precauzione si sono spostati, ma la tentazione è forte e non è affatto detto che non riescano!”.
Fiduciosa aspetto, sbinocolando a 360 gradi ma con particolare attenzione verso la macchia che ha inghiottito il branco dei sogni… Una capriola sbuca dall’angolo più recondito che si vede da qui, cammina circospetta e quasi senza brucare. “Forse va dal piccolo che ha lasciato in questo pratone” bisbiglio a Vincenzo. Sempre guardinga scompare dopo pochi minuti, anche lei tornerà? Chissà…. “Che ti dicevo?!” esclama soddisfatto Vincenzo, mentre il suo binocolo punta sul limite della macchia. Una scrofa, dopo aver messo il grifo fuori per un po’, ha deciso che è ora di concludere il pasto interrotto poco prima. Con un balzo guadagna il prato, dove l’erba particolarmente bassa permette di valutare bene le sue forme e soprattutto di vedere interamente i numerosi striati che la seguono. Niente da fare. Anche se la legge me lo permette, non sparerei mai alla scrofa con i piccoli. Lascio cadere il binocolo sul petto e posiziono la carabina sul treppiedi per godermi la scena a maggiore ingrandimento. “E’ tutta una matassa di cinghiali!” sussurro a Vincenzo. Potrei provare a prendere un piccolo ma l’idea mi appare presto alquanto malsana: a 160 metri uno striato non è un bersaglio facile. I piccoli non stanno fermi un attimo e poi son sempre attaccati tra loro, con il rischio di ferirne più di uno con un colpo, non sarebbe un tiro etico….Passano i minuti, il mirino è fermo sulla scrofa, ma il cane dell’R8 è disarmato. Dalla macchia arrivano altre due scrofe, una è più piccola, non si vedono le mammelle…”Ecco…questa va bene!” penso. Ora non resta che mantenere la calma e….Aspetto che il capo prescelto si discosti il giusto dal resto del branco. Tutto ciò richiede qualche minuto. Sembrano attimi eterni. Ora il mio bersaglio è a cartolina e non ha intorno altri animali. Finalmente l’indice dà il suo assenso e, prima ancora di decidere di tirare, la palla da 7 mm è già alla base del collo del cinghiale, che si accascia sulle quattro zampe senza emettere un gemito. Gli altri elementi del branco restano interdetti per un attimo, finché la scrofa adulta dà il via per un’uscita di scena che, a questo punto, per stasera sarà definitiva.
Aspettiamo un bel po’ prima di andare sull’anschuss. Poco dopo lo sparo ecco che riappare, come previsto, la capriola dal fondo del bosco. Questa volta il suo passo è più vivace. Si dirige in direzione del cinghiale morto, annusa l’aria, fa due passi avanti, uno indietro. Non sembra convinta, ma è curiosa. Abbaia, poi indietreggia, ogni volta che sembra stia per andarsene, ritorna in prossimità del cinghiale…che scena! L’equilibrio della natura a lei noto è stato spezzato e, forse per la prima volta nella sua giovane vita, sta facendo esperienza della morte… Poco prima del buio decidiamo di avvicinarci al cinghiale abbattuto per rendere gli onori e fare una foto di rito. Torniamo rapidamente alla nostra postazione. Risalendo lungo il pendio del campo uno strano tronco, con due rami simmetrici attira la mia attenzione. Inforco il binocolo. Resto a bocca aperta riconoscendo in quella ramificazione non un arbusto ma bensì il poderoso palco di un cervo! Immobile, maestoso, statuario, il nobile animale guarda nella nostra direzione. Non so cosa possa distinguere da laggiù, ma non ha di certo un’aria spaventata. Fa un passo sul posto come i militari davanti al generale, impettito e a testa alta. Sembra quasi un gesto di sfida. Restiamo a guardarci, noi tre, per un tempo che sembra infinito, come nei film western quando non si sa chi romperà lo stallo per impugnare per primo la pistola. Lui fermo, noi di più, e nel frattempo il cuore a mille, al cospetto di questo meraviglioso coronato in velluto. Si gira di lato, offrendo al nostro sguardo stupito la sua sagoma e la virile giogaia, per poi incamminarsi fiero e lento, verso il bosco, fino a sparire ai nostri occhi. Incrocio lo sguardo di Vincenzo pieno di stupore, e soddisfazione. Io sono felice e grata, non solo per l’abbattimento realizzato, ma per l’opportunità di vivere la natura così da vicino e da un punto di vista privilegiato che solo la caccia può dare!
@Foto: Vincenzo Frascino