Vincenzo è rientrato dall’uscita mattutina con Fabrizio carico di entusiasmo. Per un attimo ho dedotto che avessero un carniere interessante nel fuoristrada ma presto mi raccontano che a giorno fatto si sono imbattuti in un bel verro. Non sono riusciti a tirargli ma lo hanno tracciato accuratamente promettendogli un incontro a breve. Quali migliori presupposti per un’uscita pomeridiana, accompagnata da Vincenzo e Fabrizio e dal fido 300WM?!
Arriviamo in zona di caccia molto prima dell’orario crepuscolare, è un caldo sabato di inizio autunno, un po’ troppo asciutto ma luminoso e soprattutto silenzioso. La zona in cui cacciamo oggi è magnifica perché lontana da tutto e tutti, stare qui qualche ora regala sempre una bella carica, a prescindere dagli incontri di selvatici che non sono poi sempre così scontati.
Lasciamo il fuoristrada e entriamo in un campo incolto ma facilmente percorribile, l’erba è ormai secca, per fortuna sono lontani i mesi in cui la natura esplode di vita fino a soffocare chi tenta di penetrarla.
Procediamo in fila indiana, ad un certo punto la piccola carovana si arresta: Vincenzo si ferma a raccogliere qualcosa. “È un ferro di asino. Chissà se porta fortuna come un ferro di cavallo?! In ogni caso un bel presupposto per una cacciata!” esulta Fabrizio. Nessuno di noi è scaramantico, eppure il ritrovamento di Vincenzo instilla una certa aspettativa sulla nostra uscita. “Posizioniamoci il più possibile lontano dal fosso dove ci è sparito stamattina il verro“- suggerisce Vincenzo-” Non è detto che rifaccia lo stesso percorso ma se fosse quello è il posto più sicuro “. In accordo con Vincenzo ci appostiamo di fronte al fosso che delimita il bosco. In direzione ovest. Quando il sole sarà calato la visuale sarà ottimale. Al momento la luce è ancora accecante ma, ci diciamo, non è orario da cinghiale.
Posiziono zaino, carabina in direzione del fosso, pronta a cambiare direzione in base alle evenienze, provo a guardare nell’ottica ma la luce mi abbaglia, vedo solo stelle filanti di sole. Guardiamo verso il bosco, senza particolari aspettative, e senza visiera al berretto si fa fatica, accecati dal sole. Lo stesso dicasi quando provo a inforcare il binocolo.
Mi distraggo un po’ in attesa del crepuscolo, ma evidentemente l’influenza del ferro di cavallo inizia a farsi sentire…. “Eccolo! È quello! È il verro! ” bisbiglia quasi incredulo Fabrizio. Il binocolo mi offre solo raggi di luce esplosivi come fuochi artificiali. Provo a guardare nell’ottica, consapevole che tra il vedere e il tirare non avrò che pochi secondi. Niente.
“Guarda a occhio nudo” suggerisce Vincenzo. E così l’ombra nera del cinghiale a poco più di 200 metri da me si delinea nitida. È incredibile come gli strumenti grazie ai quali solitamente si rende visibile ciò che l’occhio nudo non sa apprezzare, ora mi impediscano di vedere ciò che è così accessibile e chiaro.
“Cerca di schivare il riflesso della luce ma sbrigati” incalza Fabrizio. Metto la mano a tetto oltre l’ottica, cerco un’inclinazione della testa che faccia entrare nell’oculare solo le immagini e non la luce riflessa. Il gioco di luci fa lampeggiare nell’ottica strisce luminose alternate alle setole scure, un effetto che ricorda la Fata Morgana nel deserto.
Finalmente trovo la giusta inclinazione e mi appare la bella sagoma del verro con un puntino rosso poco sopra la zampa anteriore. Questa immagine fa scattare il grilletto senza nemmeno pensarci, e dopo pochi passi vacillanti il verro si accascia sul fianco.
Nei pochi istanti in cui mi ha tenuta sospesa nel suo gioco di vedo non vedo il sole ha percorso quei pochi gradi sul suo arco che gli hanno fatto guadagnare le fronde degli alberi più alti, andando ad infrangere la sua luce nelle chiome brune. Il crepuscolo è arrivato inaspettato e a mani vuote, il dono del bosco, in questo fortunato pomeriggio di primo autunno, ce lo ha consegnato il sole.