Caccia al cinghiale – Negli ultimi anni l’argomento “cinghiale” ha assunto numerose sfaccettature e si è arricchito di molteplici aspetti. Il contenimento dei danni con metodi ecologici non si è dimostrato efficace per la maggior parte dei contesti in cui è stato applicato, configurando sempre più spesso la necessità di un contenimento numerico della specie. Le operazioni di controllo che sono state implementate hanno scatenato le più disparate reazioni da parte del mondo agricolo e venatorio: c’è chi le ritiene insufficienti, chi da intensificare, chi un’estensione dell’attività venatoria “fuori stagione”, chi nemiche della tradizionale braccata, e così via. Sta di fatto che il problema sussiste, anzi, s’ingrandisce, e nelle aree non vocate la densità pari a zero è solo un lontano, irraggiungibile miraggio. Nelle aree protette, come i parchi nazionali, il discorso è ancor più delicato: la conservazione dell’ecosistema e l’integrazione con attività antropiche quali particolari colture, rendono la presenza del cinghiale un delicato compromesso da rispettare. In tal senso il Parco Nazionale del Pollino si è collocato da diversi anni come apripista nel controllo della specie cinghiale, attraverso l’istituzione di un gruppo di selecontrollori cui sono affidate le operazioni di contenimento.
A cavallo fra la Calabria e la Basilicata, inserito fra il Tirreno e lo Ionio, il Parco nazionale del Pollino costituisce la più estesa area protetta d’Italia, per un totale di 190.000 ettari, condivisi dalle province di Cosenza, Potenza e Matera. Il parco, che prende il suo nome dal Massiccio del Pollino, comprende 56 comuni. Il patrimonio principale del Pollino sono le foreste che si estendono per circa 40.000 ettari di superficie: sulle pendici delle montagne prevalgono boschi di faggio, castagno, cerro. Alle quote più basse s’incontra la foresta di latifoglie, a cui subentra la foresta di conifere. L’associazione vegetale più caratteristica del parco è rappresentata da boschi di larice, abete rosso, cembro. Oltre a questi, anche se meno numerosi, troviamo una delle rare stazioni appenniniche di abete bianco e il pino mugo. Al limite della vegetazione arborea, s’incontra la boscaglia di rododendri.
La caratteristica di maggiore interesse è la presenza, alle quote più alte, della principale stazione italiana di pino loricato, specie rarissima in Italia: questo vero e proprio fossile vivente è un albero robusto e massiccio che cresce non troppo alto, tozzo e contorto a causa delle condizioni atmosferiche che deve sopportare. Il patrimonio faunistico del Parco del Pollino comprende l’aquila reale, il lupo appenninico, il capriolo di Orsomarso, il picchio nero, il falco pellegrino, il gufo reale e il corvo imperiale e, non da ultimo, il cinghiale. Il Parco del Pollino ospita anche numerose attività agricole, spesso seriamente danneggiate dai cinghiali presenti. Poiché per molto tempo gran parte del bilancio attivo del Parco è stato stanziato per il rimborso dei danni subito dagli agricoltori, l’ente Parco ha intrapreso un’iniziativa di controllo mediante abbattimenti. Ho avuto modo di incontrare personalmente il Dott. Domenico Pappaterra, presidente dell’Ente Parco. Con ineguagliabile cortesia e competenza ha voluto rispondere alle domande che gli ho posto. Riporto di seguito un estratto della nostra chiacchierata.
“Il problema cinghiale è tutt’ora molto sentito su tutto il territorio nazionale. I media ci forniscono quotidianamente immagini di suidi che si spingono fin nel cuore delle grandi città. Qui nel Parco la presenza del cinghiale continua ad essere un problema aperto, sebbene negli ultimi anni la gestione messa in atto abbia apportato tangibili miglioramenti.
Quando sono arrivato, nel 2008, mi sono scontrato con una vera e propria situazione di emergenza: gli agricoltori erano in forte difficoltà, la loro attività produttiva era fortemente danneggiata dalla presenza del cinghiale. In quel momento abbiamo dovuto far fronte alla situazione intraprendendo un’attività di contenimento mediante abbattimenti, il tutto però in assenza di una reale stima della popolazione e di studi tecnico-faunistici. In quel momento era necessario agire con tempestività ed efficacia. Sono stati coinvolti cacciatori formati all’uopo a cura della provincia di Cosenza per quanto riguarda la Calabria e dall’ente Fauna Selvatica per quanto riguarda la Basilicata. Contestualmente all’implementazione della caccia di selezione in termini di controllo sono stati adottati anche mezzi di contenimento ecologici, come i così detti chiusini. Quest’ultima metodica non ha però sortito gli effetti sperati. Le gare d’appalto per l’acquisizione dei chiusini sono andate più volte deserte e gli stessi dispositivi non erano in grado di catturare un numero congruo di animali. Probabilmente l’estensione del Parco non è favorevole a queste metodologie. Dopo la prima fase 2009-2011 ci siamo resi conto che i metodi adottati non erano sufficienti e, in collaborazione con l’ISPRA, è stato stilato un nuovo piano: l’introduzione della modalità della girata con cane limiere ha notevolmente migliorato i risultati dei prelievi in termini numerici, superando i 5000 capi dall’introduzione del nuovo piano faunistico venatorio. Parallelamente l’entità dei danni rimborsati agli agricoltori si è ridimensionata di oltre il 50%, con grande soddisfazione degli agricoltori. Le somme risparmiate grazie alla riduzione dei danni non sono state traslate in altre voci di bilancio ma sono state reinvestite nello stesso ambito, finanziando parte delle recinzioni di cui gli agricoltori si sono attrezzati. Questo è stato un investimento strategico, dal momento che, gli stessi agricoltori sovvenzionati nell’adozione di metodi ecologici di contenimento dei danni, non si ritroveranno ad ingrossare le file di chi chiede i risarcimenti annuali.
Alla luce dei numeri elevati di abbattimenti realizzati stiamo valutando per il futuro la possibilità di istituire un sistema di gestione delle carni di selvaggina, e questo richiede una stretta integrazione con le ASL e altri enti deputati alla sicurezza alimentare.
In conclusione posso esprimere una grande soddisfazione personale e di gruppo per i risultati ottenuti e per la proficua collaborazione col mondo venatorio che, con la sua cultura, tradizione e passione per la natura, si è messo a servizio della tutela di questo enorme e meraviglioso Parco Nazionale”.