Caccia al cinghiale – L’assegnazione degli appostamenti per i selecontrollori del Parco Nazionale del Pollino segue un criterio democratico ed equo: la rotazione. Un programma mensile decide chi andrà dove, distribuendo in maniera imparziale la buona e la cattiva sorte tra i cacciatori. Certamente uno dei vantaggi è la varietà di scorci e panorami che si susseguono, senza il tedio che talvolta sopraggiunge frequentando la stessa zona o la stessa altana. D’altro canto la rotazione non permette di approfondire l’osservazione di una zona, dei suoi animali e dei loro spostamenti. Nella mia settimana di ferie estive in Calabria ho accompagnato Ennio e gli altri amici quasi tutti i giorni: le montagne del Pollino, la caccia, la natura, l’aria fina e, non ultima, la compagnia dei miei amici, sono stati il sottofondo delle mie vacanze. In tutta la settimana di caccia, tra Ennio e Carlo per ben quattro volte è toccata la zona così detta “Del Trifoglio”.
La prima sera accompagno Ennio. L’appostamento non è particolarmente scenografico. Lasciamo l’auto a poche centinaia di metri, non c’è da camminare per irte salite come al solito. Si giunge al cospetto di un profondo campo, privo di significative pendenze, parzialmente coltivato a cereali, con qualche sprazzo di erba medica. Le ore passano lente, in assenza di selvatici che vengano a scuoterci dal torpore. Solo una volpe, col sole ancora alto, percorre il campo, e col suo apparire e sparire ci fa intuire quanto in realtà il terreno sia tutt’altro che piatto e regolare. Quando il buio s’infittisce, il cellulare vibra e prima di agguantarlo in tasca per leggere l’sms che (poi scopriremo ha mandato Carlo) l’ombra nera di un verro appare alla nostra destra, in fondo.
L’animale cammina con passo spedito, non si sofferma a mangiare, non abbassa mai il grifo ma nemmeno lo solleva in aria. Non ci sente, anche perché siamo a vento buono. Ennio decide che non c’è tempo da perdere, mi fa un cenno e in un istante afferra zaino, sgabello e carabina e percorre i pochi metri che ci daranno una visuale migliore sul tragitto del verro. Come la volpe del pomeriggio, però, il suo incedere è intermittente. Gli avvallamenti del terreno lo guidano su e giù sull’onda del caso, mentre Ennio impreca muto per l’instabilità dello sgabello su cui ha messo zaino e carabina. Il buio avanza, la tensione anche, il verro scompare definitivamente dai nostri occhi e un’amarezza s’impossessa di noi. Un’occasione sprecata. Ma chissà, poi, cosa avremmo potuto fare per ottenere un epilogo diverso?!
Dopo due giorni siamo nuovamente qui, al “Trifoglio”. Nei nostri occhi è stampata la traiettoria del verro di due giorni prima e a furia di pensarci sembra quasi di vederlo! Man mano che la luce si stempera e ci avviciniamo all’orario dello scorso incontro, in me ed Ennio sale l’adrenalina. Non è affatto detto che un solengo ripercorra la stessa strada, mille e mille altre vie sono a sua disposizione per nutrirsi e cercare le femmine prossime al calore. Ma fino alle prime stelle non andiamo via, avviliti per non aver visto né il verro né qualunque altra setola. Ci saremmo accontentati volentieri! Ancora il “Trifoglio” nel programma della settimana. Questa volta tocca a Carlo. Io seguo Ennio per coerenza ma il pensiero di quel campo non demorde: prima o poi qualcosa si muoverà. Speriamo sia la serata giusta!
Dall’appostamento di Ennio vediamo chiaramente, grazie alle nostre ottiche, il campo del Trifoglio. È come se stessimo cacciando su due fronti: quello reale, ove la carabina e lo sguardo sono puntati, e quello “morale” ove l’orgoglio ferito da un furbo cinghiale è rimasto ad attendere la rivincita. Col sole ancora alto vedo due animali nel campo di fronte a Carlo. Non faccio in tempo a dirlo ad Ennio che il tonfo della carabina di Carlo, come un’esplosione lontana, conferma che per fortuna non ero il solo ad essersi accorto di loro! Al suono dello sparo un branco composto da animali di varie taglie abbandona il campo, palesandosi ai nostri occhi ben attrezzati ma comunque molto lontani. Un verrotto giace a circa 100 metri da Carlo. Questo branco ha riacceso le speranze!
Domenica, ultimo giorno in Calabria per me, propongo a Ennio un’uscita di mattina, poco gradita agli orari equatoriali della vita del Sud, ma non difficile da ottenere vista la disposizione d’animo di Ennio. Arriviamo a buio e ai primi bagliori del giorno, scorgo un’ombra scura sotto il melo selvatico nell’angolo. Spero con tutto il cuore che sia un cinghiale, magari “quello”, ma dalle movenze con cui guadagna il campo aperto e dal profilo del corpo che man mano si delinea in contrasto col cielo, si capisce che si tratta di un capriolo, un maschio con un palco imponente. Il vento che soffia nella nostra direzione lo spinge a 40 metri da noi. Solo dopo che ci ha alle spalle e riceve il nostro odore, fugge allarmato abbaiando.
La luce è ancora poca, la giusta atmosfera per l’incontro sperato. E infatti in cima al campo mi accorgo di molteplici ombre che si muovono lentamente. Strattono la giacca di Ennio. Si prepara al tiro. A occhio nudo non è possibile distinguere i soggetti, ma attraverso le luminose lenti del binocolo si possono identificare diversi animali. Ennio punta uno meno grosso, in posizione defilata rispetto al branco. Qualche secondo per regolarizzare il respiro e il colpo va a segno nel migliore dei modi. L’animale cade su se stesso senza esitazione. Quando lo raggiungiamo identifichiamo un maschio di una sessantina di chili. Esultiamo per l’esito, ma all’unisono esclamiamo “Non è certo il verro della prima sera!!”. Quello ci aspetta per un’altra avventura in cui saranno in gioco, ancora una volta, la scaltrezza del cinghiale e l’orgoglio del cacciatore.