Nel sud della Toscana, in Maremma, e più precisamente nel territorio di Saturnia, celebre per le sue acque sulfuree e caldissime, il territorio è tutto un oscillare di campi, boschi e dolci pendii. I torrenti scorrono pieni e veloci ansiosi di confluire nell’Albegna e, proprio tra i numerosi corsi d’acqua che s’intersecano in queste dolci terre, si svolge la battuta al cinghiale cui siamo stati invitati dall’amico Massimiliano, appassionato cultore della razza di tigrati maremmani. Siamo nei primi giorni di gennaio di un anno che è iniziato all’insegna dell’inverno vero, come da tempo non si vedeva qui. Ci incontriamo presto e le procedure per la registrazione dei cacciatori e la disposizione delle poste richiedono poco tempo, grazie all’ottima organizzazione e al fatto che, nel bene e nel male, saremo in pochi.
Moreno e Massimiliano scioglieranno subito i loro cani di punta, rispettivamente Belen e Tosca, due giovani maremmane affidabili, dotate, veloci. “Due cani buoni!” commenta Aldo sogghignando mentre ci incamminiamo attraverso l’uliveto alle poste assegnateci. Francesco starà nel campo di sopra, sul salto ci sarà Aldo, io in mezzo al campo di sotto, poi Vincenzo, nel fosso (secco) Giovanni e, di nuovo al pulito, alle pendici del colle, Gianni. Le voci di Moreno e Massimiliano ci arrivano solo via radio, hanno sciolto a quasi un chilometro da noi. Massimiliano è concitato e fa una telecronaca dettagliata: “Ecco, Tosca sta sondando un rogaio…abbaia a fermo! Non riesco ad entrare, è altissimo! Vai Tosca vaaa!!!” incita il giovane conduttore. Dalla radio sentiamo l’abbaio a fermo di Tosca e ci prepariamo. “Non parte! Questo è grosso…..mi picchia la cagna!!!”. L’apprensione di Massimiliano è percepibile dalla radio nella vibrazione della sua voce.
L’abbaio di Belen si affianca a quello della piccola maremmana di Massimiliano. “E’ partito, attente poste!” Moreno con due parole infiamma la nostra fervida attesa di un animale che si pre-annuncia grosso e tenace. Le nostre carabine sono tutte rivolte verso gli arbusti che bordano il boschetto da cui attendiamo il cinghiale. “Viene verso il fossoooo!!” urla Massimiliano per radio. Nel vedo-non vedo della macchia che ha rimpiazzato l’acqua del fosso, un bolide scuro si dirige verso Giovanni. Le canne della sua doppietta attendono pazienti l’ennesimo cinghiale della sua lunga carriera venatoria. Nessuno di noi osa tirare alla grossa scrofa in fuga che, come da copione, termina la sua corsa ai piedi dell’anziano cacciatore con le due maremmane a morderne le carni calde e setolose. Mentre alle poste aspettiamo i canai che si concentreranno sui macchioni alle nostre spalle, tutte le stagioni del nuovo anno si avvicendano sulle nostre teste: un fresco grecale spazza via le nuvole e ci regala un sole abbagliante e caldissimo che indurrebbe a spogliarsi un po’. Appena si mette via un po’ di lana ecco che nuove nuvole nere soffiate da ovest ci ricoprono e rovesciano su di noi una gelida, minuta pioggia autunnale. Il vento gira ancora, con fredde folate da nord che ci fanno ripiombare nel rigido inverno. Quando i canai ci raggiungono per dirigersi sul versante opposto della cacciata sono un po’ interdetti: “Mi dispiace solo che ora sarete a vento marcio!” dice Massimiliano con la Tosca al guinzaglio. “Non è detto, Massi. In una mattinata il vento ha rimulinato di continuo….magari si rimette a nostro favore!” commenta fiducioso Vincenzo.
Col vento sulla nuca ci disponiamo verso il campo cui davamo le spalle. I canai non fanno in tempo a ri-sciogliere che gli abbai, stavolta vicini e percepibili dal vivo, ci fanno rizzare le antenne. “Attente poste che sono già partiti!!! È un branchettoooo!!”. Tra noi e i canai c’è un piccolo ruscello, caratteristico per la sua portata quasi insignificante ma sempre in piena, estate e inverno. Viene chiamato affettuosamente Fosso Mollo proprio perché sempre ricco di acqua. Ombroso e ben protetto dagli arbusti in mezzo ai campi, è quello il passaggio cui tutti guardiamo aspettando il branco. Dall’angolo del Fosso Mollo ecco spuntare il primo. Poi il secondo, ne conto quattro. Vanno diretti verso Aldo. Quando sono a pochi metri, Aldo lascia partire un colpo dal suo automatico ma non vedo animali fermati o feriti. Mi giro allora alle mie spalle e miro al cinghiale più avanti nella fila: il primo colpo alza una colonna di terra. Il secondo parte quando il punto rosso è sulla sagoma, e il cinghiale rotola zampe all’aria, fulminato. Mi concentro su un’altro animale che nel frattempo è sopraggiunto: ho solo tre colpi ancora. Il primo colpisce una zampa posteriore e vedo distintamente frammenti di tessuto che schizzano via mentre il cinghiale prosegue la corsa claudicante. Quando sta per buttarsi nella macchia tiro ancora, sebbene da dietro la sagoma sia alquanto sottile: lo colpisco d’apofisi, sono certa che sia preso, ma il tuffo con cui si fa inghiottire dai rovi non mi permette di valutare l’entità del colpo. Francesco accorre dal campo di sopra, dove ha fermato un animale. Anche lui ha sparato sotto e cerca la sua vittima, ma il colpo di carabina sull’unico cinghiale a terra porta la mia firma. Pochi metri dentro la macchia giace il mio secondo cinghiale. Solo un elemento del branco è riuscito a scampare al nostro fuoco.
Pochi minuti dopo un altro porcastro parte dalla macchia assediata dai canai. Anche lui segue il Fosso Mollo e sta per percorrere la stessa strada del branco. Lo seguo col punto rosso sul torace mentre si dirige a passo sostenuto verso Aldo ma lo avventa, s’ inchioda sulle zampe e fa una ripida curva verso il campo di sopra. Lo sfortunato animale s’imbatte nella rete che il branco precedente ha spostato nella sua fuga e resta bloccato il tempo sufficiente affinché Francesco possa freddarlo con un tiro quasi a fermo. “Eh eh…così son bravi tutti!” scherza Vincenzo per radio. Quest’ultimo cinghiale, solitario e sfortunato, sarà il regalo finale di Tosca e Belen in questa fredda giornata di gennaio, dove l’inestinguibile ruscello del Fosso Mollo ci ha offerto tanti cinghiali e indimenticabili emozioni.