Caccia al cinghiale – Il sole è ancora caldo, le fronde degli alberi dei parchi cittadini sono ancora verdi, sebbene qualche foglia ingiallita e caduca si lasci sfuggire la promessa dell’autunno incipiente, scrocchiando sotto le ruote delle biciclette. Alla sera, anche in città, da qualche misterioso o immaginario comignolo si spande odore di legna arsa e, forse, addirittura di castagne! Ottobre è alle porte e, come ogni, anno inizia a serpeggiare sotto le prime sciarpe la voglia di caccia, di macchia, di cinghiale! In Piemonte il cinghiale è aperto dall’ultima domenica di settembre, e già il mercoledì raggiungo i miei amici Carlo, Nino e Camilla alla seconda battuta della squadra della Madonna della Gelata di Soriso. L’appuntamento è molto presto al mattino, si cercherà di sfruttare le prime ore prima che il caldo sfianchi cani e canai, ancora poco allenati dopo il fermo estivo.
Alle 8.30 del mattino sono già alla posta con Andrea. Come tutti gli altri cacciatori della squadra Andrea ha con sé il fedele calibro 12: per un accordo tra loro (!?) durante il primo mese di caccia non usano carabine, il sottobosco è ancora troppo fitto e sporco. La nostra posta che si trova in mezzo alla braccata, ha una bella visuale ampia, si affaccia sulla SPA dei cinghiali, un largo insoglio tempestato d’impronte. Andrea tira fuori dalla tasca la radio e porta all’orecchio l’auricolare, ma nell’altra tasca c’è un altro “strumento”, cui rivolge furtive e frequenti occhiate. “Cos’è quello? Sarà mica un palmare?” gli chiedo, stupita di vedere una posta che segue i cani dal satellitare. “Eh, si, in effetti lo è. È collegato al collare di Chicca. Per me è come una figlia, sono più tranquillo a seguirla da qui!”. Chicca è una vecchia maremmana, ausiliario trainante della muta di cani della squadra. Alcuni altri ausiliari sono suoi figli. Quando aveva sei mesi Chicca è stata sottratta alle torture fisiche e psicologiche cui era sottoposta dal precedente proprietario, un alcolista violento. Per i primi mesi non si faceva avvicinare da nessuno e fuggiva di continuo poi, grazie all’affetto di Andrea, della sua famiglia e della squadra, ha trovato la grinta e il coraggio di lanciarsi nella macchia e da allora è diventata una vera macchina da scovo!
Pochi minuti dopo l’accensione delle nostre radio sentiamo che quattro cinghiali sono stati visti passare verso il fiume, davanti ai “mormoni”. Giuseppe scioglie il suo cane sui setolosi ma l’abbaio di Rambo “sa” di capriolo, e prontamente il cane torna nei ranchi accanto a Rago [Giuseppe, ndr]. Le voci della muta si avvicinano a noi, finchè si fermano: abbai a fermo arrivano all’orecchio destro dal “vivo” e al sinistro attraverso l’auricolare. Andrea si prepara al tiro. Parte la seguita nella nostra direzione, le voci sono tante, quelle acute dei maremmani e l’ululato dell’ariegeois. Da un momento all’altro arriveranno i cinghiali! A 50 metri da noi, dietro parecchi tronchi, il trenino formato dalla scrofa e tre porcastri, si fa beffa di noi sfilando a passo baldanzoso ma senza correre. Da qui è impossibile tirare: ci separano il fitto bosco e i rovi che costeggiano l’insoglio. Gattonando, io e Andrea ci avviciniamo al trottoio percorso dagli animali: non sembrano essere andati oltre, potrebbero essersi fermati nell’invalicabile rogaione alle nostre spalle. Stiamo zitti e concentrati. I cani arrivano poco dopo, circondano il muro di spine: Argo e Stella sono i più audaci e sembrano voler sfondare. Quando arrivano i canai, gli abbai si fanno più concitati. Andrea s’infila tra le spine cercando di stanare i cinghiali che si sono rifugiati nello sporco. “E’ partitooooo!! Attentiii” …bam!…bam! Spari dietro al più piccolo cinghiale, l’unico che si è alzato. E’ una padella. Tutti i cani corrono dietro al porcastro e l’eco di due spari, parecchie poste più in basso, ci conferma che stavolta i colpi sono andati a segno. Angelo, il capocaccia, trova parecchio sangue tra le spine, ma degli altri animali che ci aspettavamo nel roveto, neanche l’ombra!
Dalle poste del mulino giungono notizie di un grosso verro fermato. Un’ombra nera passa come una saetta davanti a noi, lungo lo stesso stradello dei quattro animali di prima. Sulle sue tracce arriva Zorro, ma non emette nemmeno un “bau”. Il cane si ferma qui, alle nostre spalle e inizia un abbaio a fermo dapprima timido, poi sempre più coraggioso e spavaldo. È solo, e si volta sovente per cercare lo sguardo del suo conduttore. Rago arriva anticipato da altri 3 cani: ancora una volta il centro dell’azione è questo enorme muro di spine alle nostre spalle, dove è impossibile entrare e che sembra risucchiare i cinghiali. Andrea e Rago sono pronti col fucile imbracciato, ma gli abbai si spengono senza che alcuna setola faccia capolino. Sull’usta del primo trenino di animali parte per prima la piccola Wendy e dietro tutti gli altri cani. Vanno in basso, i loro abbai diventano quasi impercettibili.
Ora le voci dei cani a fermo, stavolta più giù di noi, verso il fiume, si sentono nella radio del canaio Mattia. “I cani sono tutti qui! Abbaiano a fermo! Mi venite ad aiutaree?!” urla Mattia per radio. I cani hanno preso un porcastro e al canaio non resta che finirlo misericordiosamente. Subito dopo arriva anche Andrea, e dalle “cannette” si sente il colpo che fermerà il più grosso cinghiale della giornata. Alla casa di caccia ci sono otto cinghiali a terra. Un bel bottino per essere la seconda battuta di una stagione dall’esordio caldissimo! La squadra della Madonna della Gelata ha a disposizione 850 ettari di macchia per insidiare la bestia nera, e tutti i numeri giusti: un bel territorio, cacciatori esperti, giovani e coraggiosi e cani validi. L’ingrediente in più, che da solo non basta ma senza il quale non esisterebbe una squadra così bella e affiatata, è l’amicizia e l’ospitalità che si respira stando con loro. Grazie per questa apertura al cinghiale col Sorriso, con e senza “r”!