Torna in auge il «Progetto cervo», il piano di conservazione e gestione del cervo nel settore trentino del Parco Nazionale dello Stelvio e nel distretto faunistico della Val di Sole che di fatto apre alla possibilità di sparare all’interno dell’area protetta. Fermo al 2008, quando l’allora comitato di gestione del Parco ne aveva dato un primo avallo con i voti contrari di Dario Zuccarelli (Italia Nostra), Francesco Borzaga (Wwf Trentino) e dell’allora sindaca di Rabbi Franca Penasa, il piano nasce dall’esigenza di mitigare gli squilibri ecologici causati agli ecosistemi dalle elevate densità di cervo e limitare gli impatti negativi esercitati sulle attività economiche oltre che consentirne la conservazione e il benessere a lungo termine.
Il piano è stato illustrato durante la seduta del 6 dicembre scorso del comitato provinciale di coordinamento e indirizzo che è stato così messo al corrente dello stato del monitoraggio delle popolazioni di cervo (si rileva una densità di 29 capi per chilometro quadrato) e sul programma di controllo che dovrebbe prevedere, nei primi due anni di attuazione del programma, un prelievo di circa 180 capi e nei successivi tre anni di circa 500, come avviene già nei settori lombardo e altoatesino. «Ne stiamo parlando da qualche tempo e il piano è in fase di elaborazione.
La consistenza del cervo sul territorio è elevata e rappresenta un problema. Stiamo quindi portando avanti tutta una serie di attività dal punto di vista tecnico per poter attuare l’intervento» conferma il vicepresidente della Provincia Mario Tonina che aggiunge anche come si siano già presi contatti con l’Associazione Cacciatori Trentini. Il prelievo selettivo, infatti, sarà affidato ai cacciatori appositamente formati tramite la partecipazione a corsi di abilitazione: proprio in questi giorni, ai cacciatori del distretto della Val di Sole è arrivata la comunicazione dell’organizzazione di tali percorsi. Il progetto dovrebbe partire a ottobre 2022, come spiega il rappresentante delle associazioni protezionistiche in seno al comitato provinciale di coordinamento e indirizzo del parco Aaron Iemma che esprime, come ovvio, contrarietà sul progetto.
«Non vediamo tutta questa fretta di partire – afferma – ed è assurdo che si possa sparare in un Parco Nazionale. Il problema si può risolvere anche con altre tecniche. Ad esempio, il fattore lupo rappresenta una nuova e importante variabile per il riequilibrio della consistenza e dell’utilizzo degli spazi. Inoltre, si affida ai cacciatori il prelievo selettivo con un evidente conflitto d’interesse e finora, nonostante siamo già vicini alla sua attuazione, non si sono ancora attivati tavoli di confronto. Senza nulla togliere ai responsabili scientifici del progetto, che mostrano una solida competenza biologica, il piano non parte da esigenze ecologiche. Ci sono pressioni che vengono dal comparto caccia». In realtà, non sembra che tutto il «comparto caccia» desideri l’avvio del progetto. Dalla Val di Rabbi si alzano infatti diverse voci di cacciatori che sono piuttosto perplessi, se non contrari all’ipotesi di poter sparare all’interno del Parco.
A farsi portavoce di questa parte di cacciatori a cui si unisce anche la contrarietà di allevatori, gestori di malghe e operatori turistici, professionisti in ambito forestale, amministratori è il consigliere comunale Alan Girardi. In particolare, si rileva come il progetto «non sia più necessario visto che la popolazione di cervo nel parco è notevolmente diminuita a seguito di diverse nevicate piuttosto abbondanti che ne hanno ridotto il numero sia per morte sia perché molti capi si sono spostati in altre zone esterne al parco alla ricerca di cibo e vista la presenza sempre più importante del lupo». Il timore è anche che, dando via libera alla caccia nel parco, il cervo abbandoni l’area protetta creando un problema per il rinnovamento delle popolazioni che vivono fuori parco oltre che per il turismo che negli ultimi anni è molto cresciuto in Val di Rabbi. «Peccato che su questo tema così importante non ci sia stato finora nessun confronto con la popolazione locale. Si rischia che ci venga calato dall’alto» conclude Girardi (L’Adige).