Marzo si era annunciato con la sua solita disforia: pioggia, sole e vento si intrecciavano in un caleidoscopio di colori e temperature che non permettevano alcun tipo di previsione. Le uscite mattutine di Vincenzo erano state sempre più povere di incontri e così le tre del pomeriggio stuzzicavano la fantasia con le loro malcelate promesse. Il sabato precedente l’appostamento a mezza altezza tra il bordo di un bel boschetto in alto a sinistra e l’ombroso fosso in basso a destra mi aveva da un lato ingannato e dall’ altro entusiasmato. Mai mi sarei aspettata di vedere due piccoli e due adulti dove mai negli ultimi due anni era uscito un folletto.
La mia carabina puntava spocchiosa verso il fosso mentre, alla mia sinistra, quattro caprioli di cui tre prelevabili pascolavano allegramente con vista su “cacciatore e accompagnatore”. Aggrovigliati in pose plastiche e scomodissime per inquadrare nel binocolo gli animali, eravamo col fiato sospeso per cercare di sembrare arbusti. Impercettibilmente, tra un boccone d’erba e un gioco dei caprioli distratti, cercavo di guadagnare centimetri e posizionarmi in loro direzione. I miei movimenti erano della stessa lentezza di un girasole che si volge alla luce nascente del sole. Non so come, ma alla fine la femmina era nell’ottica. Avrei preferito, come da mia personale predilezione, prelevare un piccolo ma, viste le circostanze e la data imminente della chiusura ai calvi, non mi sarei fatta gran problemi. Il cielo indaco che faceva da sfondo al maschio e alla femmina, più in alto dei piccoli che invece saltellavano più in basso, mi affascinava e irritava al contempo. Sarebbero bastati due o tre metri e un parapalle naturale avrebbe lasciato libera la mia falange sul grilletto. Ma niente, la femmina era sempre a cielo. Il buio incombeva, sebbene il magnetismo dell’ultimo sole ormai sepolto dietro i colli maremmani ancora tentava il mio occhio a indugiare sul capriolo. Se non l’avessi vista mezz’ora prima mai l’avrei intercettata e men che mai avrei stabilito sesso e classe. Ma la tentazione di sparare era sempre lì a provocarmi, appena un passo in basso verso la fossetta e l’avrei certamente presa, per quanto “certamente” non sia una parola che un cacciatore usa volentieri.
La beffa di quella uscita tuttora brucia mentre carico e sistemo la carabina, ancora una volta a puntare verso il fosso in basso a destra. Un po’ per scaramanzia, affinché non pensino di riuscire lassù a cielo, un po’ per logica, perché, a parte la volta prima, i caprioli che abbiamo visto qui sono sempre usciti dalla parte più bassa, fitta e ombrosa di questo bosco. Sbinocoliamo a 360 gradi, fino a poggi lontani chilometri. Stare quassù è un premio, un regalo della vita per farsi perdonare la settimana lavorativa in una metropoli caotica. Solitamente è sufficiente venir qui per essere felici, ma oggi non basta. Il piano è ben lungi dall’essere completato e l’uscita precedente ancora brucia per la beffa.
È ancora giorno quando femmina e piccolo si affacciano nella fossetta buia. Il classe zero è una femmina, si sposta poco rispetto alla madre, è cauta e contenuta nei suoi movimenti. Se non fosse per le sembianze infantili le si potrebbe attribuire un comportamento più “adulto”. Non sono dell’umore incline ai romanticismi, ho la croce sul capriolo prima ancora che Vincenzo mi confermi la distanza. Avevo infatti impostato i click dei 200 metri appena i due caprioli si erano affacciati sulla fresca a e corta erba di marzo. Vincenzo mi conferma la distanza di 230 metri e si prepara al boato. La mia mano si avvolge languida sulla calciatura thumbhole della carabina e il dito sfiora il grilletto. Nonostante il rinculo riesco a seguire nell’ottica la reazione del capriolo che, dopo un salto sul posto, viene risucchiato dai rovi che circondano il fosso. La femmina adulta ha un secondo di stallo poi con due balzi rientra nel bosco, seguendo un’altra traiettoria. Aspettiamo a rallegrarci perché non è detto che sarà banale ritrovare il capriolo. Il tempo di recuperare l’attrezzatura e raggiungere pian piano l’anschuss richiede circa un quarto d’ora, e così impieghiamo il canonico tempo di attesa. Un’ampia chiazza di sangue ci promette un facile recupero prima che sia buio. Seguiamo con calma le evidenti tracce ematiche fino alle spoglie dell’animale, quasi completamente coperta dalla fredda e cristallina acqua con cui le piogge di marzo hanno rimpinguato la portata di questo piccolo ruscello.
Mollemente adagiata, con la pelliccia invernale ripulita dal sangue e brillante di acqua, la capriola ha un aspetto quasi fiabesco, e mi ricorda Ophelia, la sfortunata amante di Amleto che annega la sua giovane vita nell’acqua di un fiume. Il buio e il freddo delle ultime notti invernali incombono. Recuperiamo il capriolo dedicandole con un breve rito i dovuti onori, e lasciamo questo meraviglioso angolo di Toscana, che ci ha donato la sua Natura, belle emozioni, e un pizzico di poesia.
Caccia al capriolo, l’Ophelia.
non apprezzo la caccia di selezione soprattutto a caprioli, daini, cervi, animali stupendi e Re e Regine dei boschi che dovrebbero essere guardati e non soppressi, in questo racconto il cacciatore dovrebbe essere più che soddisfatto al solo aver goduto della loro presenza mentre pascolavano per un tempo infinito.