Ci sono uomini capaci di gesti molto romantici, come tappezzare casa di rose rosse o nascondere gioielli in fondo a un drink. E quelli vanno benone per le donne “normali”, per me il gesto più galante e affettuoso è stato sentirmi dire “Stasera li tengo io i bimbi, vai tu a caccia!”. Da tempo dicevamo con Erika che sarebbe stato bello uscire solo noi due, a caccia di caprioli nella splendida campagna maremmana dove entrambe, con percorsi diversissimi ma per certi versi simili, siamo approdate. E così, in una fresca e soleggiata domenica pomeriggio di giugno, lasciamo al casale un papà alle prese con due bambini e ci incontriamo per goderci questa boccata di libertà.
Erika arriva col suo fuoristrada aggressivo, accompagnata da Argo, lo splendido bavarese abilitato insieme alla sua conduttrice al recupero di ungulati feriti. Mi sono vestita velocemente ed emozionata nel metter su dopo tanti mesi gli scarponi. Carico in macchina zaino e carabina e una volta a bordo un profondo sospiro mi libera di tutte le ansie e le preoccupazioni di mamma (mangeranno senza di me? Vincenzo darà loro la frutta? Si sentiranno abbandonati?) per far posto ai vecchi, cari pensieri un po’ vaghi e un po’ ingenui da cacciatore (ci sarà ancora quel bel maschio nel tagliato? In che condizioni sarà l’appostamento? Avrò preso il coltello?). La caccia è così: ti conquista il cuore e la mente e spazza via tutte quelle piccole e grandi preoccupazioni e ansie e ti proietta in una dimensione in cui le incombenze quotidiane sembrano più piccole e gestibili, mentre i più piccoli segnali della natura assumono un significato enorme!
Arriviamo all’appostamento dopo un bel po’ di salite. Da qui l’abitato sembra lontanissimo ed è facile immaginarsi lontane da tutti e tutto. Argo cammina tra me ed Erika con circospezione, silenzioso e diligente. Il tragitto dall’auto all’appostamento non è brevissimo, scendiamo di quota verso il tagliato e ogni tanto con lo sguardo ci diciamo “Chissà al ritorno quanto ci peserà questa salita!”. Superato il campo assolato l’ombra fresca di una grande quercia ci accoglie materna, tutto è in perfette condizioni: l’ombreggiante, gli sgabelli, l’appoggio. Argo si acciambella sulla coperta che la sua amorevole padrona ha predisposto per lui e in men che non si dica comincia impercettibilmente a russare. Qualche cicala prova a far vibrare l’aria tiepida di un’estate che non ha ancora raggiunto la suo acme. Il respiro di Argo è l’unico rumore percettibile in questo selvaggio angolo di maremma. Io e Erika bisbigliamo a fior di labbra raccontandoci qualche aneddoto emozionante delle nostre carriere venatorie, quasi come se, evocando lo spettro delle passate avventure, possa indurre la sorte a regalarcene altre. Ho gli occhi fissi nel binocolo. È così tanto tempo che non esco a caccia che la magia di scoprire dettagli altrimenti invisibili mi rapisce. A occhio nudo scorgo una lepre. “Guarda Erika che leprone … aspetta! Dietro è uscito un capriolo!” – “è un maschio!” esclama lei con la voce fintamente calma. L’apparizione del capo cercato dopo pochi minuti di appostamento ci lascia entrambe emozionate.
Il capriolo è sbucato dal bosco alla nostra sinistra, attraversa il campo incolto ed è evidentemente diretto al tagliato che si trova alla nostra destra, separato dal campo da un breve ma profondo fosso costipato di rovi. Cammina, sbocconcella, ricomincia a camminare. È evidente che nel campo non si fermerà e, una volta saltato nel tagliato, non sarà più a tiro. “Pina lo tengo d’occhio, tu avvisami se decidi di sparare! Ora provo a fischiare vediamo se si ferma!”, Erika tiene il binocolo e con i mignoli si tappa le orecchie. Fa un lungo fischio che fa sobbalzare Argo destandolo dal suo torpore, ma il capriolo non lo considera affatto. Prosegue il suo incedere deciso verso il tagliato. Io ho armato la Blaser e girato la ghiera del Magnus su 16 ingrandimenti. Il binotelemetro mi dava 170 metri e non ho dato nessun click. La croce dell’ottica è sul blatt del capriolo e si sposta con lui man mano che avanza verso il breve fosso che sta per saltare. Mi sembra di vedere nei suoi occhi la misura del salto che sta per compiere, nei muscoli delle sue zampe la tensione del balzo che si prepara. Senza rendermi conto sussurro a Erika di prepararsi al tiro e il calcio della R8 mi batte sulla spalla restituendomi l’energia della palla che ci ha lasciate per andare a cercare il torace del bel maschio. “Non lo vedo più! Può darsi che sia saltato…ma sono sicura che l’hai preso! Ora calma e diamoci qualche minuto per aspettare, poi andiamo a verificare”. Erika mi trasmette con il suo metodo e la sua calma tutta la preparazione che si addice ad un recuperatore. Al suo cospetto spero di mostrarmi all’altezza. Nei 15 minuti che seguono il tiro chiacchieriamo con più rilassatezza, mentre Argo ormai ben sveglio ha chiaramente capito cosa stiamo per fare e sembra fremere.
Quasi alle 20:00 ci dirigiamo sull’anschuss. Io avanzo con la carabina Erika e Argo subito dietro. Ho stampato in mente il punto preciso in cui ho visto per l’ultima volta il capriolo e senza indugio ci dirigiamo là. Argo è sempre più eccitato, io ho il cuore in gola. Il manto rosso del bel capriolo ci accoglie quando giungiamo sull’anschuss. Il capriolo adagiato tra i rovi in una posa fatata non ha mosso un passo da dove è stato colpito. È difficile reperire il foro d’entrata. Mi avvicino per posizionare la fascetta ma Argo mi abbaia severo, “Ora non è il caso che tu lo tocchi, sai? Per lui questo è suo, è un cane da recupero, dobbiamo lasciarlo fare. Meglio che la metta io la fascetta” mi spiega sorridendo Erika. Ci concediamo una veloce foto di rito per immortalare questa avventura “rosa” e poi abbandoniamo la parte femminile di noi per rimboccarci le maniche e procedere al recupero della spoglia. La pendenza è notevole in salita e il capriolo ben pasciuto, Erika lo lega alla sua corda e comincia a trascinarlo verso l’alto. La sua femminilità esplosiva svela una notevole forza e resistenza. Con qualche strattone e pochi secondi per riprendere fiato il capriolo è infine in macchina. Torniamo a casa che è ancora quasi giorno, stanche e sudate, stupite per quanta fortuna abbiamo avuto in questa uscita e, ciascuna in cuor suo, grata per aver trovato un’amica con cui condividere questa grande passione.