Come da qualche anno accade, anche questo giugno ci ha portato un’estate torrida e secca. È da poco aperta la caccia al maschio di capriolo, fin dalle prime uscite gli incontri sono stati soddisfacenti in termini di numeri, eccetto che per l’ironica, diabolica fatalità di incontrare presocchè solo femmine. Questa mattina lascio volentieri a casa la carabina per calarmi nel non meno emozionante ruolo di accompagnatore. A Paolo è stato assegnato un maschio giovane e io sono ben felice di seguirlo nella sua avventura. Il tocco del grilletto non è l’unica nè la più intensa emozione della caccia, e l’entusiasmo con cui salto giù dal letto alle 3.30 del mattino ne sono la prova tangibile. Altro (e non secondario) motivo del mio entusiasmo è la compagnia del fedele Hermann di Paolo. Un bavarese esemplare, bello, corretto, elegante: la compagnia perfetta per il cacciatore, amico fedele e discreto del suo conduttore. E’ buio fitto e rimaniamo sorpresi di trovare fuori dall’uscio di casa una fitta e umida foschia. Le stellate sfacciate delle sere precedenti ci avevano viziati un po’, facendosi perdonare l’aria asciutta e bollente che pietrificava ogni cosa durante i pomeriggi assolati. Stamane invece l’effetto è quello di una sauna. L’auto in silenzio e ci incamminiamo sulle stoppie, rese soffici e silenziose dall’umida nube che ci avvolge. La visibilità è veramente scarsa, ci sentiamo avviluppati in un manto lattiginoso che mentre ci nasconde i selvatici nasconde noi ai loro occhi. Raggiungiamo una siepe di arbusti che delimita il primo campo, decidiamo di fermarci qui in attesa che la foschia si dipani.
Hermann si acciambella ai nostri piedi, noi per non troneggiare in mezzo al campo ci sediamo a terra, e aspettiamo. I primi bagliori del giorno fanno vibrare le particelle d’acqua sospese a mezz’aria e le fanno lentamente evaporare. Come su uno specchio ove un soffio caldo abbia steso la sua opacità così lo scenario intorno a noi ritrova la sua nitidezza. Un istrice di ritorno dalle sue scorribande notturne proviene dal campo nella nostra direzione. Non si accorge di noi finchè ci arriva a 5 metri. Hermann lo intercetta con lo sguardo, ma non da alcun segno di allarme. Fiero e serio fissa l’animale col suo sguardo severo senza emettere alcun suono nè movimento. Piccato dallo sguardo del bavarese l’istrice aizza gli aculei e, spaventato, devia velocemente lontano da noi e va a farsi inghiottire dai rovi carichi di piccole acerbe more.
I primi raggi del sole di giugno fendono le colline e si lanciano come dardi sui campi. Uno di essi va a scaldare il pelo rosso di una mamma volpe che con premura e meticolosità affonda il muso nel morbido pelo piumato del suo piccolo per liberarlo dagli insetti. La scena ci cattura, per un attimo ci fa dimenticare il nostro ruolo di “predatori” e ci restituisce con gli interessi la fatica della sveglia a poche ore dalla cena. Decidiamo di lasciare l’appostamento temporaneo per approdare ad un punto di osservazione più favorevole, protetti dagli ultimi zaffi di foschia. Ad ogni passo sbinocoliamo. All’unisono, ci accovacciamo quando il rosso del folletto incrocia i nostri binocoli. Il suo portamento, la stazza e l’assenza di un poderoso palco lo fanno sembrare un maschio giovane. Dalle lenti del lungo confermo a Paolo che si tratta di un M1. Paolo si allunga a guardare nel lungo e conferma immediatamente che per lui il capo è perfetto. Il giovane capriolo non è fermo nel campo, ma pilucca l’erba e nel mentre cammina, senza mai, di fatto, fermarsi. Da dove siamo noi non è il caso di sparare, la sagoma non è del tutto visibile. Decidiamo di spostarci un po’ più in cima sul poggetto, in modo da aumentare la prospettiva.
Siamo del tutto scoperti ma la fortuna viene in nostro soccorso e frappone tra noi e il capriolo in movimento non una, non due, ma tre balle di fieno che coprono il capriolo (e noi per lui) dandoci tutto il tempo di sgattaiolare più in alto.
Senza perdere tempo Paolo sistema la carabina, erta sul bipiede e poggiata sullo zaino. Anche i gomiti sono bel saldi, le sue spalle rilassate, il suo respiro regolare. Si gira verso di me, a pochi metri da lui, cercando con lo sguardo il mio “0k”. A 180 metri non saranno necessari aggiustamenti per la carabina tarata a 200. Mi preparo al rumore dello sparo, che sorprende Paolo, me ma non Hermann, seduto ai miei piedi, immobile come un corazziere. Dal binocolo osservo il capriolo che incassa il colpo con un salto sul posto, poi percorre pochi metri restando ingobbito e barcollante. A pochi secondi dallo sparo gli zoccoli del capriolo fendono il cielo nel doloroso commiato dell’ultimo respiro. Poi non lo vediamo più.
Aspettiamo quel tanto che basta per poi dirigerci insieme ad Herman sull’anschuss. Il giovane becco non si vede ma in cuor nostro non abbiamo alcun dubbio di trovarlo. Il batticuore che sentiamo, uomini e cane, non è certamente legato all’esito del tiro, ma forse alla gratitudine e alla libertà che sentiamo camminando su queste stoppie ormai nuovamente asciutte sotto un caldo, generoso sole d’estate.