L’inverno più duro di cui ho memoria stava cedendo all’inesorabile arrivo della primavera. Non solo la notte si accorciava, ma anche la temperatura iniziava ad essere benevola, i venti a calmarsi, l’erbetta timida dei prati arsi dal gelo, ad affacciarsi, conferendo ai campi quell’aspetto vellutato di chiazze verdi e marrone che solo l’arrivo di marzo sa creare. Eravamo ancora una volta in Toscana, per le ultime uscite ai calvi di capriolo, in cerca di una femmina adulta. Gli studi di biologia e demografia su questa specie sono concordi nell’identificare il periodo di gennaio-marzo per il prelievo delle femmine adulte: le cure parentali per i piccoli nati la primavera precedente sono ormai terminate, i “classe 0” sono sufficientemente autonomi e prossimi a diventare “classe 1”. Le femmine che sono state coperte negli amori estivi sono presumibilmente gravide e, a marzo, si può talvolta osservare nella sagoma l’ingombro del ventre che ospita i piccoli in gestazione, dopo la diastasi embrionale dell’inverno.
Mi ha sempre un po’ turbato questo aspetto e, sebbene lo ritenga scientificamente corretto, ho sempre provato una certa riluttanza a sparare a una capriola immaginando le piccole vite che si stanno sviluppando nel suo ventre materno. Quando possibile scelgo di prelevare un classe 0, ma non sempre le regole (dell’ATC o della natura) sono a favore dei nostri sentimenti. Grazie alla cortesia della Swarovski Optik Italia, per l’occasione ho il piacere di testare sul campo la superlativa ottica da puntamento Z8i 2-16×50 P abbinata al binotelemetro Swarovski EL Range 8×42.
Scendiamo dall’auto che è quasi giorno e nel giro di poche centinaia di metri siamo in zona di caccia. Le aspettative sono elevate. La sera prima Gianni, il mio amico e oggi accompagnatore, ha fatto un giro di perlustrazione prima di cena e a tavola mi ha entusiasmato raccontandomi quanti animali aveva visto in zona. “Ne ho contati sei, e ho camminato poco! Almeno due femmine adulte…e il bel becco che anche quest’anno mi è sfuggito!“, racconta entusiasta. Ora che siamo sul posto ci muoviamo circospetti e cauti: la zona è molto bella, castagni e querce circondano l’ampia distesa di colline, che si alterano in docili poggi degradanti in basso in folti roveti di ginestre e agrifoglio.
Ci muoviamo praticamente scoperti, sbinocolando in ginocchio e gattonando. “Lassù alla nostra sinistra!” sussurra Gianni senza muovere un dito. Mi volto lentamente a inquadrare la femmina col piccolo poco distante da lei, che pascolano sulla cima del poggio accanto. Confabuliamo sul da farsi. Da qui sono 300 metri, potremmo avvicinarli. Ma se non si abbassano sarà impossibile sparare: sono stagliati contro il cielo, come due ombre cinesi, è un tiro non saggio, nè corretto. Aspettiamo un po’. Il piccolo, preso dalla sua infantile foga comincia a scorazzare verso il basso, bene! La madre lo segue. “Speriamo si fermino a metà!” sussurro a Gianni. “Tu preparati!” mi intima lui. Apoggio la carabina sullo zaino, inquadro la femmina, aggiusto gli ingrandimenti man mano che abbassandosi di quota si avvicina a noi. È un bersaglio mobile, ovviamente non intendo sparare, ma…se si fermasse!! “Fiiiiihhh” Gianni con un fischio cattura la sua attenzione per un secondo, forse meno. Non sono pronta, la femmina ha reagito al curioso suono ma la sua immbilità dura troppo poco per me, la sua premura verso il piccolo la spinge immediatamente a riprendere l’inseguimento del discolo caprioletto, non lasciando a me il tempo nemmeno di rammaricarmi per il mio scarso tempismo. Piccolo e femmina s’inabissano nel fitto dello sporco alla base del loro poggetto. Io resto a bocca asciutta, spalmata a terra, con l’occhio ancora nell’ottica. Gianni un po’ deluso sorride paziente mentre mi incoraggia a riprendere la caccia. “Scusami Gianni, non sono stata abbastanza rapida! Tra capire cosa stava succedendo, il fischio, la femmina non proprio a cartolina, un minimo per concentrarmi etc…ho perso l’attimo“. Lui: “Non hai perso nulla! Avresti perso se avessi sparato senza riflettere, sbagliando il tiro o peggio ferendo l’animale. Hai fatto bene, ma ora dobbiamo prenderlo, ok?!“.
La mia seconda possibilità si materializza in un capriolo che dal limite del bosco in alto, alla nostra destra, sta scendendo verso il fosso. Sembra un maschio, inquadro nel binocolo, lo è.
Da qui non vediamo fin giù, dove è diretto. Ma vale la pena andare a guardare. “No – dice Gianni – per guardare di sotto devi strisciare pian piano per almeno venti metri, da qui siamo troppo esposti. Ma secondo me ci devi arrivare pronta, con la carabina sullo zaino. Quando ti affacci valuti la situazione e se c’è la femmina adulta devi essere rapida perchè sei visibile e quel maschio potrebbe abbaiare!“.
Mi incammino pancia a terra seguendo le indicazioni del mio accompagnatore, sperando di non deluderlo. Sento che mi segue a poca distanza per poter osservare la scena anche lui. Quando scollino con lo sguardo ritrovo subito il maschio che ha fatto da “richiamo” e più in basso, due piccoli accompagnati dalla femmina adulta che sta brucando dai germogli del roveto. Questa volta non devo sbagliare. Sarei stata più tranquilla a prelevare uno dei due classe 0, ma devo concentrarmi sulla femmina, senza pensare ad altro. Telemetro 220 metri, non devo modificare i click dell’ottica. Aumento a 10 gli ingrandimenti, mi prendo il tempo per due lunghi respiri e attendo pazientemente che la capriola mi offra sfacciatamente il fianco. La Blaser squarcia la calma bucolica in cui i quattro caprioli stavano pascolando. I piccoli restano bloccati, il maschio risale correndo verso il bosco da cui era sbucato e la femmina…non la vedo più! Era praticamente a ridosso dei rovi da cui stava brucando. Mi volto interdetta verso Gianni, che ha gli occhi su una piccola telecamera. “Guarda” mi dice sorridente porgendomi il piccolo monitor. Nella scena c’è la femmina che allunga il collo verso i rami più alti dei rovi, un secondo dopo fa un salto e poi due zampe si allungano al cielo prima di cadere molli sul terreno. Il mio accompagnatore è stato molto saggio e previdente a prevedere una ripresa video dell’abbattimento. “Se riesco lo faccio anche quando sono da solo. La reazione al tiro è fondamentale per capirne l’esito e a volte per ritrovare l’animale“. Condivido, ammirata.
Senza aspettare molto scendiamo verso l’anschuss ormai deserto e onoriamo la preda. Il piano di prelievo è completato, non ci sono stati animali feriti, tiri dubbi o altri spiacevoli incidenti. Penso ai due piccoli che sono scappati, e che ora inizieranno a cavarsela necessariamente da soli. Cerco di non pensare a quelli che reperiremo più tardi gestendo la spoglia di questa bella femmina. Ancora una volta penso che caccia non è uccidere un animale, ma imparare. Dai propri errori, da chi è più esperto, e dalla Natura.