La caccia da appostamento fisso con i richiami vivi è vera e propria una forma d’arte. È necessario conoscere bene le abitudini dei selvatici, le loro preferenze alimentari, l’influenza del meteo sui loro comportamenti e in più si deve avere qualche cognizione di botanica, per selezionare le specie vegetali da piantare, per potarle secondo uno schema che non risulti artificioso ma nello stesso tempo permetta il posizionamento dei richiami e il facile recupero dei capi abbattuti. Una splendida e generosa mattina di ottobre trascorsa al capanno con Andrea e Remo diventa l’occasione giusta per fare due chiacchiere in merito alla loro passione.
VF: Siamo in provincia di Grosseto, nel paradiso tra Follonica e Castiglione della Pescaia, zona nota per la caccia alla migratoria. Per quanto riguarda la caccia ai tordi con l’uso dei richiami vivi esiste una forte tradizione?
AP: In questo territorio la tradizione dei capanni è una tradizione un po’ esportata. I maremmani fino a pochi anni fa praticavano per lo più la caccia al volo. Ci siamo tuttavia un po’ evoluti, prendendo spunto dai cacciatori provenienti da altre parti della Toscana, da Firenze, Pistoia, Lucca, Montecatini. In maremma non siamo in molti a praticarla ma ci stiamo attrezzando bene.
VF: Più che bene, direi, visto il risultato della giornata! Quante gabbie avete?
AP: Col mio amico e socio di caccia Remo abbiamo in tutto circa 90 gabbie. I richiami sono tanti, e in più abbiamo intrapreso la strada dell’allevamento. Ciò comporta problemi di spazio oltre che di tempo. Per questo motivo ci siamo divisi i compiti: io mi occupo di bottacci e merli mentre Remo si occupa di sasselli e cesene. Nel mese di ottobre andiamo nell’appostamento a mare mentre poi novembre ci spostiamo negli appostamenti dell’entroterra.
VF: E tu Remo da quanti anni hai intrapreso questa forma di caccia?
RM: Ho iniziato 6 anni fa, quando mi ha “punturato” (contagiato ndr) Andrea. Conosco molto bene suo babbo sparando al piattello nello stesso tiro al volo. Lì ho conosciuto Andrea. Era venuto a provare un fucile. Mi ha invitato più volte all’appostamento. Mi è bastato andare una sola volta: da quella mattina mi è presa la malattia dei richiami. Come diceva Andrea ci siamo divisi i compiti. Tra noi due abbiamo circa 90 gabbie, e gestirle da soli era troppo difficile, siamo entrambi molto impegnati per il lavoro e poi la gestione del capanno ci impegna tutto l’anno: secchi nuovi, curare le siepi…è un lavoro continuo. Abbiamo due capanni sui poggi (uno a 1000m slm e uno a 600m) e uno qui sul mare che è quello che si cura di più durante l’anno, anche perché sasselli e cesene sono sempre meno. La scorsa stagione è stata una buona annata e speriamo la prossima sia altrettanto.
VF: In questa zona della maremma grossetana qual è il periodo migliore?
RM: Qui al mare noi iniziamo verso il 25 settembre e smettiamo quando facciamo il primo sassello. Il sassello è l’ultimo turdide di passo, sicché quando entra il sassello qui sul mare vuol dire che su in collina e in montagna iniziano già ad esserci e allora ci spostiamo ai due capanni più in alto. Per cui, considerando le 4 specie arriviamo a cacciare circa 4 mesi. Il clou del canto dei richiami è 30-40 giorni stretti stretti. Certo, il richiamo fenomeno che ti canta 60 giorni lo puoi sempre trovare ma è alquanto raro.
VF: Remo parlava di tanto impegno. Andrea, tu cosa ne pensi: ci sono periodi morti o si lavora indifferentemente tutto l’anno?
AR: Io caccio al capanno dal 2001. 16 dei 29 anni di attività venatoria li ho dedicati a questa forma di caccia. Posso affermare che il capanno ti porta via tutto l’anno. I mesi più impegnativi per la cura dell’appostamento sono gennaio e febbraio per quanto riguarda il taglio di secchi e pertiche e poi luglio e agosto per tagliare il prato, riverniciare e rivestire il capanno.
VF: Ho visto che oltre le gabbie utilizzate tre voliere.
AP: Non è da tanto. Saranno 3-4 anni che li utilizziamo. Questa è una pratica di cui ci arroghiamo la paternità in zona. La campana verticale qua in maremma non era mai stata utilizzata. Ne abbiamo due, di 3 metri, con 2 bottacci dentro e poi da quest’anno abbiamo fatto un tunnel verticale in aria. Per ora hanno dato ottimi risultati.
VF: Andrea, che calibri utilizzate?
AP: Io utilizzo il calibro 28 e il calibro 8 mentre Remo ormai utilizza quasi esclusivamente il 410. Ovviamente ricarico e mi faccio tutte le cartucce. Ormai sono testate da anni. Ho una carica eccezionale per il 28: è stata apprezzata anche da molti altri cacciatori ai quali l’ho consigliata sul forum.
VF: Parlavi di forum, siete molto attivi sui social?
AP: Veramente io non molto, Remo è più social di me. Io sono stato fra i primi a partecipare al forum quando uscì sul portale migratoria.it, parliamo del 2002-2003 quando i social non erano tanto in voga. E su migratoria.it ho fatto tante conoscenze e, diciamolo, sviluppato nuove competenze! Erano gli anni in cui si è introdotto il fotoperiodo e noi nel forum abbiamo provato varie tabelle perfezionando la tecnica. Sono stato per un periodo anche moderatore del forum e questo mi ha permesso di conoscere tanti appassionati e imparare molto.
VF: Il metodo del fotoperiodo è molto affascinante. Quanto è difficile per uno che si approccia per la prima volta a questo tipo di caccia?
AP: Beh, agli esordi era tutto abbastanza complicato perché era tutto manuale. Oggi ci sono delle apparecchiature automatiche in cui accendi il neon e fanno tutto da sé. Addirittura, sono differenziate in base alle specie. È molto semplice, molto più efficace di una chiusa. E, cosa non trascurabile, sono sistemi molto meno cruenti e più rispettosi degli animali.
Alba, luce diurna, tramonto e fasi lunari per tutti i giorni dell’anno, variando giornalmente la quantità di ore di luce, per avere animali sani e che cantano bene tutto l’anno dando il meglio di loro durante la stagione venatoria, con un canto più forte e duraturo.
Con questo metodo l’animale non avverte alcun tipo di scompenso ed effettua un ricambio del piumaggio senza bisogno di aiuto da parte dell’uomo.
VF: Remo, cacceresti nuovamente al volo? Qual è l’emozione più grande in questo tipo di caccia?
RM: Il tiro in sé stesso non è difficile. L’emozione più grande è il gioco degli uccelli in curata. Vederli a 200 metri cominciare a sterzare non ha prezzo. Dopo lo sparo il mio sogno sarebbe che cascassero ma poi si rialzassero, ripartissero e rifacessero lo stesso giro. Un altro aspetto che mi emoziona è l’imprevisto: un giorno un richiamo ti canta, un altro non ti canta, non sai se i richiami dell’anno prima faranno lo stesso…è avvincente da questo punto di vista.
Che tutte le forme di caccia fossero affascinanti è un dato di fatto, e non basterebbe una vita per praticarle e appassionarsi a tutte. Il territorio, la tradizione, gli incontri che si fanno o la semplice inclinazione… sono infinite le variabili per cui si finisce per scegliere e praticare una specialità venatoria piuttosto che un’altra. L’importante, perché sia veramente appassionante ed etica, è impegnarsi nell’ approfondire la cultura e la competenza che sta dietro ogni tipo di caccia. E questi due amici, Remo e Andrea, sono l’esempio da seguire per approcciare alla caccia vera con passione e dedizione che ripagano sempre, non solo in termini di carniere.