Caccia ai Tordi: La Maremma toscana, a partire dall’entroterra pisano, rappresenta senza dubbio un hot spot per una delle più divertenti discipline venatorie che il migratorista possa praticare nei mesi invernali: la scaccia ai turdidi.
A partire dall’inizio del mese di dicembre, contingenti più o meno consistenti di selvatici arrivano in questa terra a riempire il vuoto che ormai perdura dall’esaurirsi dell’ondata di passo autunnale. – Testo e foto di Pierluigi Mugellesi –
In genere, se i merli sono presenti fin da metà novembre, già sotto le festività natalizie può succedere che qualche bel frullo di tordi si aggiunga ad essi rendendo variegato il carniere frutto di uscite quasi sempre movimentate ed entusiasmanti.
Il periodo migliore giungerebbe ad anno nuovo, quando purtroppo in Toscana la caccia vagante ai migratori non può più esercitarsi e quando il merlo diviene specie interdetta. Altrove, come in Sardegna, dove la scaccia è qualcosa di diverso di quanto non sia in Toscana, fortunatamente non è così. Ma ovunque il rammarico maggiore è dover rinunciare in toto a febbraio (già, da qualche anno anche nella terra dei nuraghi non si spara più in questo mese), ovvero al mese che più di ogni altro vedrebbe i nostri «sceproni» pullulare di turdidi golosi di bacche.
Le ultime chance della stagione
Il divertente rituale della scaccia o «scaccina», una tecnica venatoria corale che consente di incarnierare un bel numero di merli e tordi svernanti non appena il maturare dei frutti di particolari essenze vegetali li induce a concentrarsi nel cuore di quei filari di alberi e cespugli che dalle nostre parti siamo abituati a chiamare «sceproni», è una tecnica che generalmente inizia a regalare le soddisfazioni più grandi proprio in concomitanza con le feste natalizie. Non si tratta certo dell’unico sistema per poter insidiare questi uccelli durante la stagione fredda quando a partire dalla fine di dicembre, solitamente, nei boschi e nelle macchie toscane si assiste alla rinascita della vita alata sotto le vesti dei primi merli e dei primi tordi di ripasso.
In realtà se questi uccelli si possano davvero definire di ripasso oppure se vadano considerati ancora a tutti gli effetti svernanti, vista la pur giovane età della stagione fredda e la durata prolungata del loro soggiorno alle nostre latitudini, è cosa che non sappiamo dire con sicurezza. Fatto sta che in qualche modo questi uccelli, dall’oggi al domani, arrivano a riempire il vuoto che ormai perdura da oltre un mese, ovvero dall’esaurirsi dell’ondata migratoria autunnale. La loro presenza non passa certo inosservata in una terra di migratoristi incalliti quale è la nostra, e anzi, non appena la loro consistenza diviene, per così dire, interessante, sono in molti ad ingegnarsi su come riuscire a far loro la festa, soprattutto prima che il calendario, di lì a qualche giorno, impedisca di insidiare i merli che in genere, rispetto ai tordi bottacci e ai sasselli, anticipano i tempi facendo la loro comparsa già verso la metà del mese.
In effetti si registrano assai più fischi che zirli sulla fine dell’anno. Anzi, alle volte i tordi disertano del tutto i nostri boschi fino alla seconda metà di gennaio, e allora, da inizio anno, si è costretti ad assistere impotenti al rifrullo di decine di «preti neri» che svolazzano tranquilli come se sapessero che la legge sta dalla loro parte. Comunque non sempre va così, e può succedere che qualche contingente di tordi si mescoli alla popolazione di merli già sotto le festività natalizie rendendo più variegato il carniere frutto, in principal modo, dello spollo mattutino e del rientro serale. In effetti, come nel periodo della migrazione ci sono linee di passo ben precise e consolidate che i selvatici seguono durante la loro frettolosa marcia verso sud e ci sono quindi luoghi, posti in loro corrispondenza, dove i cacciatori allestiscono i propri capanni e le proprie poste, anche in questa fase inoltrata della stagione ci si può affidare ad alcune costanti che, nella fattispecie, hanno a che fare con i luoghi prescelti dai selvatici per lasciare il bosco al mattino e per rientrarvi alla sera dopo essersi saziati nei luoghi di pastura.
Anno dopo anno, generazione dopo generazione, ci sono cioè delle poste buone per l’uscita e altre ottime per il rientro degli uccelli che si sono acquartierati in una determinata porzione di bosco. In effetti se nel mese di febbraio i turdidi prendono possesso delle nostre macchie in maniera pressoché ubiquitaria, nell’ultimo scorcio della stagione venatoria la loro distribuzione è tutt’altro che omogenea. In alcune località ve ne sono molti, in altre pochi o nessuno; e poi anche i tempi di arrivo nei differenti luoghi possono variare notevolmente. Quindi il cacciatore deve monitorare il territorio per sapere se e dove gli uccelli faranno l’uscita e il rientro. Ma, come detto, esiste anche un altro modo per poter insidiare questi selvatici nella seconda metà di dicembre, un modo divertente e redditizio che non appartiene solo alla tradizione venatoria toscana: la scaccia. In questo caso non si tratta di attendere i turdidi al varco sfruttando i loro traccheggi, bensì di andare direttamente a far loro visita nel momento della pastura. Pastura che, in un periodo particolare della stagione in cui ancora la campagna non regala buoni frutti, avviene in gran parte lungo, anzi nel cuore dei cosiddetti sceproni.
Questi altro non sono che quelle lingue arboree e cespugliose che dal bosco si allungano tra i campi seguendo in molti casi il corso di ruscelli che si fanno strada tra i declivi. Ciò che contraddistingue lo sceprone è la presenza di piante imponenti ai cui rami si avvinghiano come rigogliosi guanti verdi le edere. Sono principalmente questi rampicanti a catalizzare l’attenzione degli uccelli, golosi dei loro frutti che proprio sulla fine dell’anno prendono a maturare acquisendo la tipica colorazione scura. In basso e lungo i bordi lo sceprone si presenta estremamente cespuglioso, con grovigli di rovi che si alternano a spinosi cespi di biancospino all’interno dei quali i tordi e i merli trovano facilmente riparo tra un pasto e l’altro.
Dunque questi filari di piante divengono ricettacolo di selvaggina alata che il cacciatore, ovviamente, deve cercare di snidare e di intercettare prima che, in pochi attimi, possa allontanarsi irrimediabilmente dalla siepe battuta. È proprio per questo che la scaccia, per risultare redditizia, non può che essere posta in atto da un gruppo di cacciatori che sappiano come posizionarsi e muoversi sul terreno per far sì di trovarsi nella condizione di insidiare il maggior numero possibile di volatili. A tal fine l’individuazione tempestiva del posto giusto e la scelta di una accorta e coordinata strategia di «accerchiamento» risultano presupposti imprescindibili. Per ogni filare di piante tutta l’azione si risolve in una manciata di minuti (alle volte di secondi!) durante i quali ogni membro del gruppo deve recitare al meglio la sua parte. Gli uccelli schizzano fuori all’impazzata ed in un attimo sarà deciso se debbano esser nostri o se, scampato il pericolo, possano fuggire via indenni lasciandoci con un palmo di naso.
Le regole della scaccia
Come detto la scaccina a tordi e merli rappresenta una disciplina venatoria estremamente divertente: i suoi aspetti più accattivanti sono senza dubbio rappresentati dal dinamismo dell’azione, dal suo carattere collettivo e dal piacere del tiro fulmineo. Un aspetto non secondario del fascino di questa tecnica sta anche nel suo essere potenzialmente assai redditizia, con la possibilità unica che ci offre di ottenere il massimo risultato con il minimo sforzo. Eppure per fare carniere occorrono, come essenziali presupposti, una elevata concentrazione di selvatici e soprattutto una buona dose di esperienza e malizia da parte dei cacciatori che si trovano a interpretare un copione scarno, ma certamente mai scontato e ripetitivo. Il concetto su cui si basa la tecnica venatoria della scaccia è in definitiva molto semplice: per il gruppo di cacciatori si tratta di palesare la propria presenza in modo tale da indurre gli uccelli a cercar riparo precipitosamente nella fuga.
Nella pratica però le difficoltà che si presentano sono notevoli e certamente le malizie necessarie a sfruttare al meglio ogni situazione si acquistano solo con l’esperienza. In effetti la scaccia necessita di una vera e propria pianificazione per far sì che nel momento cruciale ciascuna pedina dello scacchiere giochi la sua parte in modo opportuno, scongiurando l’aprirsi nell’azione collettiva di quelle fatali smagliature che possono offrire agli uccelli una via di fuga. E stiamo pur certi che questi saranno sempre pronti a sfruttare ogni eventuale imperizia dei cacciatori, che, se impreparati, potranno trovarsi più volte a piangere sul latte versato. Merita dunque soffermarsi sulla descrizione di quella che dovrebbe essere una corretta azione di caccia, per mettere in luce quelle regole che, al di là dei diversi interpreti, consentono di ottimizzarla. Anzitutto diciamo che dedicarsi alla scaccia non significa precludersi altri piaceri, dal momento che questa disciplina è del tutto compatibile con la caccia allo spollo mattutino degli uccelli, nel senso che si può tranquillamente fare l’uscita e quindi andar per sceproni, e non impedisce poi di avere il tempo per trasferirsi presso un buon luogo di rientro serale.
Tuttavia il gruppo dei cacciatori che decida di dedicare una giornata alla scaccina può anche optare per questa forma di caccia in via esclusiva, specialmente fintanto che il numero dei pennuti presenti in zona non divenga così ragguardevole da far sì che uscita e rientro garantiscano apprezzabili risultati. Andare alla cieca è senza dubbio controproducente; al contrario una buona scacciana si costruisce su una attenta attività di monitoraggio preventivo. I cacciatori che amano questo tipo di pratica, a partire da inizio dicembre, magari girando la campagna dietro ad altri oggetti del desiderio, dovrebbero fare in modo di monitorare con attenzione i luoghi favorevoli alle scacce e di notare se e quando questi inizino ad essere frequentati da un discreto contingente di merli o magari, sorpresa ancor più lieta, di tordi. L’esperienza insegna che nelle zone in cui si è soliti praticare questa caccia, tra i numerosi sceproni presenti ve ne sono alcuni dove l’edera matura prima che altrove e dunque è presumibile che gli uccelli, provenienti da varie parti del bosco, vadano a concentrarsi proprio lì per cercare di reperire il cibo di cui hanno bisogno. La scaccia può benissimo avere inizio dopo una tranquilla colazione dal momento che bisogna dare il tempo al maggior numero di uccelli di lasciare il bosco e di raggiungere indisturbati la pastura, anche se ovviamente occorre vigilare sulla zona prescelta per evitare di essere battuti sul tempo da un’altra squadra di cacciatori.
Prima di dare avvio alle grandi manovre è bene posizionarsi in un punto rilevato del terreno dal quale sia possibile prendere visione del luogo e stabilire i compiti che ciascun cacciatore dovrà rispettare. A seconda della conformazione di ogni singolo sceprone e della pendenza del terreno i miei amici decidono come affrontare la scaccia, ossia dove piazzare le pedine fisse del gioco e dove quelle mobili. In effetti la siepe va «fatta» in un senso, o a salire o a scendere. In ogni caso occorrerà piazzare almeno due fucili all’estremità opposta a quella dalla quale prenderanno a muoversi, sui due diversi lati del «rigone verde», i cacciatori incaricati di fare involare gli uccelli. Questi ovviamente, allarmati dalla loro presenza, tenderanno a fuggire in direzione opposta, seguendo di preferenza la linea delle piante per giungere a tiro delle due poste fisse che nel frattempo saranno state avvertite dai compagni circa l’avvenuto inizio della scaccia. Questo aspetto è basilare, perché prima di iniziare a sparare bisogna essere sicuri che ciascuno abbia preso posizione: dunque chi sta di posta deve rinunciare a tirare a qualche uccello che si sia mosso da solo e non in seguito al movimento degli «scaccini», per evitare che gli altri, spaventati dai colpi abbandonino anzitempo la scepre, e questi, dal canto loro, prima di muovere un passo devono assicurarsi che gli altri si siano piazzati, abbiano caricato e stiano in attesa degli uccelli. A tal proposito bisogna sottolineare l’attenzione che va prestata nell’avvicinarsi alla siepe incriminata: meglio percorrere un centinaio di metri in più che rischiare di allarmare gli uccelli. Cinque può rappresentare un numero perfetto per la scaccia poiché il quinto elemento deve prendere posto in uno strappo tra la vegetazione dello sceprone nel punto dal quale i due scaccini prendono a muoversi. Questo, come vedremo, per una ragione ben precisa.
L’azione di caccia
Quello che rende particolarmente affascinante la tecnica venatoria della scaccia ai turdidi è senza dubbio il suo carattere dinamico. Nella scaccia in effetti la volontà o comunque l’indole del selvatico non hanno alcun peso: non ci sono volatili da attendere né tanto meno da richiamare. Il cacciatore, in continuo movimento sul terreno prescelto per la battuta, va incontro ai selvatici in modo tale da indurli a involarsi alla distanza e nella direzione per lui e per i compagni più congeniale, e per ottenere tale effetto la sua azione deve essere solerte e continua. Insomma, la scaccia o «scaccina» che dir si voglia, rappresenta una tecnica venatoria corale ispirata al movimento e ad una sorta di filosofia del «mordi e fuggi» che la distingue dalle altre discipline e gli conferisce un sapore del tutto particolare e tradizionalmente ricercato da un buon numero di cacciatori, specie nelle regioni centrali della penisola. Il suo carattere «corale» rappresenta un ulteriore tratto distintivo rispetto alle forme di predazione essenzialmente solipsistiche quali le cacce da appostamento e quella col chioccolo: da questo lato il confronto solitario, in certi casi quasi intimistico, tra il cacciatore e il suo oggetto del desiderio, dall’altra una caccia che risveglia l’ancestrale retaggio del piacere, del bisogno di quella spontanea complicità che sta alla base delle dinamiche del branco.
Ma, detto più semplicemente, il piacere che deriva dall’esser consapevoli di cooperare nell’azione di caccia con i propri simili. Un’azione che come detto è scandita da alcune fasi precise e distinte: l’accerchiamento, l’inizio e lo svolgimento della caccia e poi la raccolta dei selvatici e il trasferimento presso lo sceprone successivo. Dell’avvicinamento al sito prescelto e del piazzamento dei cacciatori abbiamo già detto, non rimane dunque che entrare nel vivo delle operazioni. Quando la bagarre della scaccia ha inizio gli uccelli involati si comporteranno come segue: con lo scorrere dei due scaccini, che dovranno far sì di rimanere sempre perfettamente in linea tra loro e di farsi ben notare tramite la voce dai selvatici buttati, il grosso dei volatili fuggirà in direzione opposta, ma non appena le due poste fisse prenderanno a far fuoco molti inizieranno a risalire la scepre: se lo faranno esternamente potranno essere colpiti dai due che camminano e che ovviamente, avvedutisi dell’arrivo di qualche uccello si arresteranno per non dare nell’occhio e aspettarli a distanza ravvicinata. Però, nel caso in cui rimontino la siepe volando al suo interno sottraendosi alla loro vista, troveranno ad attenderli il quinto cacciatore. Non bisogna pensare che la scaccia rappresenti per gli uccelli una vera e propria trappola mortale. Molti fattori giocano a loro vantaggio: anzitutto potrà capitare di veder fuggire un certo numero di selvatici, specialmente i tordi, anche lateralmente, e allora non rimarrà che osservarli mentre si allontanano indenni. Poi i tempi concentrati dell’azione, dal momento in cui riecheggiano i primi colpi fino al ritorno della quiete, fanno sì che a buona parte dei selvatici non si abbia il tempo di sparare.
Specialmente le due poste fisse piazzate in fondo al teatro di caccia, quelle che indubbiamente sparano di più, hanno il duplice problema di dover effettuare tiri repentini sugli uccelli che schizzano fuori dal verde all’improvviso e quello enorme di doversi affrettare a ricaricare l’arma. In quegli attimi preziosi molti uccelli sfileranno inevitabilmente alle loro spalle. I tiri degli scaccini, su selvatici che si involano in direzione opposta o che, avvicinandosi di punta, scartano improvvisamente alla vista del cacciatore, sono complicati. Altra difficoltà, che impone comunque di limitare il numero dei tiri, è legata al recupero degli uccelli, che inevitabilmente dovrà avvenire a cosa fatta e che impone ai cacciatori di sparare cercando di fotografare mentalmente il luogo di caduta di un uccello mentre magari il successivo sta già sopraggiungendo.
Sempre meglio esser certi di recuperare un capo abbattuto piuttosto che rischiare di perderne due per la voglia di strafare. Per finire, parlando di luoghi, dobbiamo dire che la Toscana non detiene certo l’esclusiva in fatto di scacce e che esiste un magnifico posto, ossia la Sardegna, nel quale indovinare il luogo giusto dove esercitare la scaccina equivale a fare carnieri davvero importanti! Allorché nei mesi invernali questi migratori invadono le sterminate distese di olivastri, mirto, lentisco e cisto che dominano il paesaggio dell’isola, dall’alba fino al crepuscolo l’appassionato può togliersi davvero grandi soddisfazioni approfittando dei tre cruciali momenti dell’aspetto mattutino, del rientro serale e, nel mezzo, della caccia vagante diurna allo «schizzo». Questa, qui come altrove, regala il piacere del movimento e dell’imprevisto.
La scaccia però in questo contesto funziona generalmente in modo diverso ed il termine di schizzo è più appropriato per descriverla. Certo di canaloni da scorrere ve ne sono anche a queste latitudini, ma non sono l’aspetto più caratteristico del territorio. Qui lo spostamento è continuativo perché continua è la bassa distesa vegetale che copre uniformemente il terreno. Dunque si inizia a vagare lasciandoci guidare dall’orografia, costeggiando cigli bordati da cespi di mirto o lentisco, oppure muovendoci su di un terreno livellato. Qui non si interviene chirurgicamente come nel caso degli sceproni, bensì si tratta piuttosto di stabilire come affrontare ogni singolo cespuglio o gruppo di cespugli o olivastri che si incontra strada facendo per cercare di ricavarne il frutto migliore. Non sai mai di preciso da dove gli uccelli possano scappare e in quale direzione.
I frulli repentini, cacciando tra larghi e alti olivastri, costringono a rapidi tiri di imbracciatura. Più agevole si presenta muoversi tra la bassa vegetazione arbustiva mista di mirto e cisto (murdegu) che contraddistingue alcune sterminate lande sarde. Qui si ha infatti qualche attimo in più per poter mirare prima che gli uccelli si allontanino troppo o scompaiano alla vista. Col passare del tempo si può notare come gli uccelli, forse perché ormai sazi, si facciano più guardinghi e schizzino lontani prima che gli si possa arrivar sotto. Un’arma in più, dovendo cacciare allo schizzo, può essere il vento che, se preso per il giusto verso, consente al cacciatore di approssimarsi ai cespugli senza che tordi e merli possano avvedersi della sua presenza. Comunque sia, in Toscana o altrove, la scaccina si rivela disciplina dinamica e divertente dove la sorpresa gioca a favore del cacciatore e il tempo a favore del selvatico.