I numeri dell’autore non sono stati contestati, anche perchè negli anni ci hanno già pensato le associazioni venatorie e il Comitato Nazionale Caccia e Natura. I morti meritano rispetto, ma speculare sul loro numero non può che essere vergognoso. L’impegno maggiore delle associazioni venatorie, però, è quello di aumentare costantemente il livello di attenzione dei praticanti, tanto è vero che gli incidenti totali sono di fatto calati nel tempo.
L’autore dell’articolo ha parlato della caccia come di uno sport, ma non è così. Come sottolineato dalla cabina di regia: “È passione, tradizione, socialità, condivisione della natura! Una cosa ben diversa anche se comprendiamo lei non possa capirlo – e attività all’aria aperta che purtroppo fanno ogni anno un numero di vittime più alto e con costi sociali assai più elevati: sci, raccolta di funghi, escursionismo, alpinismo, nuoto… perfino, pensi un po’, il tennis. Per non parlare degli incidenti domestici, prima causa di morte e invalidità nel mondo“. Le valutazioni sull’attività venatoria non sono suffragate dalla pur minima oggettività.
In particolare, non se ne può parlare come di un qualcosa che ha portato all’estinzione delle specie, anzi cervi, caprioli, daini e lepri sono aumentati grazie alla corretta gestione dei cacciatori. Tra l’altro, è proprio l’Europa a chiedere spesso l’eradicazione delle specie aliene che la deriva animalista vorrebbe invece tutelare. La conclusione della nota è perentoria: “Ideologia e preconcetti, un mix micidiale che altera i fatti. E uccide la verità“.