In una recente pianificazione delle proprie attività la Breda ha deciso di cedere in gestione la branca aziendale che si occupava dei fucili da caccia e da tiro: una tale scelta non è priva di rischi, ma qualche volta si cade in piedi. Forse tale locuzione non è ancora perfettamente calzante, e non lo è per difetto: per il marchio Breda la passione e la competenza dell’Ing. Michele Marocchi rappresentano una sontuosa e meritata rinascita dove il culto dello storico si unisce alle conoscenze del presente e alla divinazione del futuro. Tutto questo ha la possibilità di estrinsecarsi grazie alla solida realtà operativa della fabbrica il cui nome è conosciuto in Italia, ma non certo ai livelli che la sua produzione meriterebbe osservando le entità numeriche e la qualità nella realizzazione. Il motivo è presto detto: riuscire a esportare la quasi totalità del prodotto non è certo cosa da poco, soprattutto se si considera come gli Stati Uniti d’America siano stati ai margini di tali vendite fino a poco tempo addietro: oggi l’instaurazione di un nuovo, proficuo rapporto vede una crescita continua sul primo mercato mondiale di settore con numeri di tutto rispetto. Una tale favorevole situazione induce a sottolineare come il volano produttivo sia fattore trainante per la ricerca e per la possibilità di dedicare al gioiello della Casa le attenzioni che merita.
Il Titano calibro 20/76
La fama dei fucili Breda è stata diffusa nel dopoguerra dal semiautomatico a lungo rinculo declinato in diversi modelli accomunati da uno stile particolare nella tecnica e nel disegno. Emblematico l’Argus tutto in acciaio e con peso ridotto a 2,9 kg con la canna media da 67 cm: il castello supporta la meccanica riparata da un coperchio mobile. Sui fianchi delle scalfature arcuate abbelliscono le superfici indicando la provenienza già al primo colpo d’occhio. Citando l’Argus ci vogliamo rifare a tutta la progenie della Casa bresciana, uno dei due perni con Franchi, della diffusione sul mercato italiano del semiauto a lungo rinculo di produzione nazionale. Oggi sono cambiate diverse cose, ma possiamo dire come Breda mantenga certe prerogative tese a conferire al prodotto attuale una classe e uno stile del tutto peculiari. Quando in azienda s’è trattato di scegliere due fucili per le prove subito abbiamo optato per dei calibri 20/76 e oggi abbiamo di fronte il Titanus 20, quello con le finiture estetiche più sofisticate e in linea con le attese del compratore odierno. Il castello in Ergal ha la forma di una L coricata con nervature sui fianchi che ne alleggeriscono visivamente la massa, la parte verticale mostra una rotondità raccordata con eleganza al profilo del coperchio superiore in lamiera di acciaio. Le finiture, le incisioni, i riporti e le diciture aziendali concorrono a personalizzare con classe questa parte centrale del fucile: osserviamo per prima la superficie chiara, ma non lucida, della carcassa su cui giocano le scalfature richiamate poc’anzi a cui si aggiungono foglie d’acanto sotto alla curva di giunzione del lato lungo con quello corto, in mezzo spicca nella sua composta nitidezza il marchio aziendale nella cornice ben conosciuta.
Un nastro scuro con la scritta chiara Breda ripetuta per tutta la lunghezza attraversa come una parabola il fianco destro creando un motivo stilistico personale. Sotto alla finestra di espulsione è realizzato un altro campo inciso a scene venatorie con uno sfondo di alberi su cui si staglia un riporto in smalto celeste: pensiamo significhi come cacciando con Breda il cielo sia sempre azzurro. L’opera si completa con l’apposizione di due beccacce in metallo dorato che inducono il pensiero ad una sontuosa coppiola. L’analisi del particolare termina evidenziando nella parte bassa una minuta cornice con nome e calibro del modello: ben scelta la grafia in corsivo che stacca dal resto. Analoga finitura per il fianco sinistro dell’arma differenziato soltanto dal riporto, sempre in metallo dorato, di tre starne involate da bassi coltivi: anche qui una coppiola verrebbe a proposito, la tripletta sarebbe forse troppo, ma se tutto rimanesse nella regola rimarrebbe una soddisfazione impagabile. Ancora in tema di stile notiamo il coperchio superiore a sezione tondeggiante staccare decisamente dal castello grazie alla brunitura intensa su fondo perfettamente tirato, senza ombre e ondeggiamenti: i due profili paralleli inferiori si incassano entro quelli complementari sui fianchi del castello per una perfetta giunzione. Rigiriamo il fucile come per introdurre le cartucce nel magazzino tubolare: nel vano sottostante spicca la cucchiaia elevatrice in acciaio cromato e dalla foggia a doppio rilievo assai marcato: si riducono così le superfici di attrito con la cartuccia e si incrementa la rigidità del pezzo.
Otturatore, scatto e canna
L’otturatore rappresenta il cuore del sistema inerziale cui si affida il riarmo del Titano: ricavato da un blocco di acciaio legato e finito con la cromatura contiene al suo interno la corta e potente molla che nel moto relativo fra la massa posteriore ferma per qualche istante, e il resto del fucile che arretra sotto il rinculo, immagazzina l’energia che restituisce quando cessa la spinta. L’interazione fra una pista inclinata ricavata nel blocco e un piolo collegato alla testina otturatrice fa compiere a questa la rotazione necessaria a svincolare le due alette anteriori inserite nelle mortise della culatta. Completano l’insieme le due guide inferiori di scorrimento, l’unghia di estrazione e il foro del percussore, la bielletta posteriore di recupero, con molla entro il calcio, e il piolo di espulsione posto nell’estensione posteriore della canna.
La rigidità del gruppo di scatto garantisce l’assoluta costanza di posizionamento e di rispondenza fra le diverse componenti: è un pezzo che merita osservare poiché viene ricavato dal pieno fresando un massello di Ergal. Ovviamente tale lavorazione realizza, insieme alla sede dei meccanismi quali il cane e i piani di contrasto, anche il ponticello per l’inserimento del grilletto e la guardia con il bottone a traversino della sicura sporgente dal rebbio posteriore. Diverse prove eseguite con l’attrezzino della Lyman concordano nel designare in 2320 g il peso medio di sgancio con oscillazioni intorno ai 50 g: già tali valori indicano una cura attenta della funzione, cerziorata poi dall’uso dove si apprezzano prontezza, pulizia e costanza.
Troviamo che nel nostro esemplare la lunghezza di canna pari a 71 cm calzi bene sull’insieme e, considerate le misure del fucile appropriate al calibro 20, questo doni uno slancio notevole: insomma, un bel colpo d’occhio che ravviva lo spirito. C’è poi ovviamente il risvolto balistico che sul terreno di caccia ha fatto valere le sue prerogative con cartucce 20/70 (non sono state impiegate le 20/76) caricate con polvere progressiva e 32 g di pallini. Le operazioni di fabbrica prevedono la foratura e quindi la rotomartellata su spina per ottenere i diversi diametri interni con i relativi coni di raccordo. Prossima alla volata si trova la filettatura per il fissaggio dello strozzatore intercambiabile: insieme all’apposita chiave ne vengono forniti cinque permettendo quindi una scelta ottimale per la caccia che s’intende intraprendere. L’esterno è a prova di retta d’ombra e la bella brunitura intensa risalta magnificamente: dettagli, d’accordo, ma anche una bella cornice aiuta a mettere in risalto un quadro di valore. Osserviamo alcuni particolari come l’anello inferiore fissato a Castolin tramite la propria base rettangolare, e poi la bindella ombreggiata saldata direttamente alla canna con i ponticelli, senza la sottobindella, e con l’apice smussato: altre due scelte di gusto. Il mirino LPA è un cilindretto in fibra ottica rossa, di sezione contenuta e di gradevole funzionalità risultando ben visibile senza coprire oltre misura il bersaglio.
La calciatura
La scelta degli sbozzati di noce provenienti dalla Georgia è compito dell’Ing. Michele che dedica diversi giorni con un importatore di fiducia per il rifornimento annuale: la stagionatura poi avviene ancora in gambetta, cioè con i pezzi messi in piedi sotto a una tettoia con aria libera per consentire al legno tutti i movimenti che precedono la corretta e definitiva stabilizzazione. I pezzi vengono poi designati ai diversi modelli in base alle venature perché siano in assonanza estetica con il fucile privilegiando ora l’eleganza, ora l’austerità poste in risalto, come tocco finale, da un adeguato trattamento superficiale. Nel Titano l’eleganza è dominante con una tinta calda di fondo e venature naturali marroni dall’andamento avvolgente: perfetta la consequenzialità cromatica fra il calcio e l’asta. Le forme classiche vedono il nasello di media elevazione con scalfature laterali e profilo smussato cui fa seguito il dorso lineare e di conveniente spessore per un comodo appoggio della guancia. L’impugnatura a pistola con sezione maggiorata verso la coccia offre una postura ferma alla mano così come l’asta di sezione ristretta, un vantaggio del sistema inerziale, arrotondata e percorsa da due bisellature a piena lunghezza in cui le dita serrano la presa per il brandeggio. Nel caso presente la finitura superficiale vede una chiusura dei pori non troppo marcata seguita da una triplice tiratura semiopaca a olio con effetto elegante e protettivo insieme. Completano l’opera le corrugature dei punti di presa alternate a zigrini con cuspidi a diamante ben rilevate separate fra loro da bordature lisce; da ultimo sono presenti le due magliette portacinghia, una con sede a vite nel calcio e l’altra con aggancio al piolo del tappo anteriore di serraggio.
Per concludere
Il semiauto è spesso considerato un attrezzo da sparo con la funzione predominante su classe e raffinatezza: ci si inchina per contro a qualche eccellenza come il Cosmi per la raffinatezza progettuale ed esecutiva paragonabile a quella di una doppietta di alto rango, oppure al mitico FN Auto 5 per la primogenitura nel settore, per la genialità del progetto in gran parte macchinabile di J.M. Browning e per la sontuosa manualità finale degli armaioli della Casa di Herstal. Oggi pochissimi altri esempi di semiautomatici conquistano lo status di bei fucili grazie a intelligenti soluzioni meccaniche e a una cura esecutiva che bada tanto al sodo quanto al minimo particolare: i Breda si collocano a buon diritto fra questi.