Beretta ASE: Gli ultimi giorni d’estate del 1961 vedono coronare il sogno del giovanissimo cacciatore, fresco di Porto di Fucile per uso Caccia e dei 16 anni da poco compiuti: arriva dall’armiere di fiducia un fucile elegante e raffinato con le canne sovrapposte, la marca è Beretta, così tanto per rimanere in un ambito di garanzia tecnica e formale che mostrerà la sua valenza nel dipanarsi del tempo, e il modello è l’ASE in calibro 20.
Lo rivediamo oggi con gli occhi del presente e quel poco di esperienza accumulata nel tempo: la prima considerazione viene spontanea affermando quanto sia bello e aggraziato di linea, con quella finezza nell’esecuzione che parla di mani di armaioli piene di sensibilità, di forza, di sapienza nell’uso degli utensili. Oggi lo apprezziamo ben più di allora quando parecchi fattori ci sfuggivano e quindi proponiamo un parallelo tra le sensazioni che si distanziano di quasi 55 anni. Nel secondo dopoguerra monta la febbre del sovrapposto, spodestando la classica doppietta, fino allora signora e padrona del mercato venatorio.
La serie ASE nasce negli Anni 50 quale approccio a un mercato sensibile al bello, ma non sempre disponibile a metter mano a cifre importanti per passare dall’economica serie S55 alla prestigiosa serie di vertice dove SO2 e SO3 dettano un concetto di raffinatezza di linee difficilmente eguagliabile. Con tali elementi la strada progettuale è spianata e, in termini molto sintetici, si può affermare che trasferire la percussione dagli acciarini su cartelle laterali a una batteria corta taglia una fetta cospicua di costi. Sì, è vero che la linea offerta dalla piastra lunga è di magnifica completezza, ma quello che i maestri albionici hanno codificato come box lock non deve rimpiangere quel che non possiede, ma illustrare al meglio quello di cui dispone. Il profilo squadrato del fianco di bascula si può ingentilire con un disegno a doppio incavo dove si inserisca il legno della testa del calcio, e già tale accorgimento dona un garbo estetico molto apprezzabile. Di qui partono le uguaglianze con lo splendido disegno degli SO che ripercorriamo osservando la testa con i due seni evidenziati da un incavo bordato in alto da un finissimo cordone che scende formando un nastro e di qui il profilo aggettante del rinforzo laterale con bisellatura che segue l’arco a tutto sesto per estendersi e terminare nei fianchi del dorso dalla leggera convessità.
Già questa serie di particolari cattura l’occhio dell’osservatore attento insieme alla dimensione ridotta rispetto agli SO in 12, proprio in funzione del calibro adottato, ma completano la classe dell’insieme il disegno delle canne con raccordo strombato alla giunzione con la faccia di bascula e le spallature laterali destinate alla tenuta, provviste di piccoli trapezi avvitati, quindi sostituibili, che sono stati alla base del successo di questo impianto Beretta. Apriamo il fucile azionando la lunga chiave di apertura, anch’essa un pezzo di pregiata archibugeria con l’occhio in cui si inserisce la vite di fermo a spacco finissimo, il corpo moderatamente convesso e il pulsante zigrinato dalla linea tondo ovale tutta italiana: è posta ben aderente alla codetta superiore, rastremata a due ordini, al cui apice è inserito il tasto della sicura.
Uno sguardo all’interno
Scopriamo la fattura interna nella culatta delle canne con la bisellatura per il collarino delle cartucce, gli estrattori automatici ad ampio settore di presa, le due mensole a fianco della canna superiore su cui si impegna il traversino quadro, sempre azionato dalla chiave, realizzando così il raddoppio di una terza chiusura Purdey del 1° tipo in aggiunta ai piani inclinati di contrasto, sopra citati, che fissati al monobloc di culatta, agiscono contro i rilievi praticati nella parte superiore dei fianchi. La disposizione di questi punti in aggiunta a quella dei semiperni e degli orecchioni offre un braccio di leva assai favorevole: in pratica la prima canna è naturalmente stabile, incassata com’è nella profonda U della bascula.
Il peso del fucile è intorno ai 2600 g, quindi molto leggero e bilanciato pur con canne da 70 cm, grazie certamente all’impiego per queste ultime dell’acciaio Boehler Antinit, all’epoca una scelta di massimo livello quanto a resistenza, contrasto alla corrosione e riduzione di peso. La bindella ventilata a ponticelli bassi e zigrinatura antiriflesso conduce l’occhio al classico mirino tondo in ottone.
I legni e alcuni particolari
La calciatura è stata realizzata in buon noce lavorato in favore di vena e il collegamento alla bascula vede i particolari profili a doppia curvatura dove la maestria dell’incassatore lascia un apprezzabile segno di completezza. Le linee classiche spiccano nel nasello mediamente rilevato, dorso dritto e impugnatura a mezza pistola arrotondata con il completamento del calciolo in bachelite nera. Di pari tenore l’astina sottile e dotata di sgusci di presa longitudinali: viene fermata alle canne con il sistema Aoget la cui leva con arrotondamento apicale risulta facilmente azionabile con un dito. Da osservare le minuscole controviti, con cui si fissa il testacroce al legno, dotate del profilo a punta per evitare indebite rotazioni: anche qui l’incassatore ha avuto il suo bel da fare.
Elegante e ben formato l’ovale della guardia che si prolunga nel guardamano dove la prima vite, quella collegata alla codetta superiore, è dotata di controvite, la seconda è semplice, tutte recano lo spacco fine che differenzia l’archibugeria dalla meccanica. Lo scatto a due grilletti oggi risente di una lunga inattività e occorrerebbe una radicale pulizia interna per rimuovere i residui di olio solidificato arrivando nuovamente a percepire la finezza degli sganci originali.
Considerazioni
Gli oggetti belli e ben realizzati non hanno tempo, la maestria degli archibugieri pre CNC, quelli che tiravano di lima e non avevano a disposizione le macchine a controllo numerico, induce a considerazioni diverse: la prima è che non tutto quel che viene dopo è progresso, almeno sotto certi punti di vista fra cui primeggia la poesia di un manufatto in acciaio dove si percepisce il lavoro dell’artigiano, inserito magari come dipendente in un’industria, ma è e resta artigiano con la nobiltà sua propria. Per converso sappiamo bene come oggi un prodotto simile avrebbe costi inarrivabili, salvo che per un ristrettissimo numero di possibili acquirenti, quindi è bene che le macchine siano arrivate a proporre cifre più favorevoli. SEGUE
Ho il calibro 12 un gioiello non un fucile