Prima il meteo inclemente, poi i cinghiali che hanno danneggiato i campi. È un’annata sfortunata per il mais nel Bellunese, dove sono seminati oltre 1.300 ettari soprattutto a uso zootecnico ma anche nelle varietà Sponcio, Marano e Cinquantino utilizzate per la polenta. Il freddo e le piogge hanno danneggiato le colture, bloccando lo sviluppo vegetativo. Inoltre sono ripartite le incursioni dei cinghiali, con danni per migliaia di euro. «Il mais è una pianta di origine subtropicale, che ama il caldo. Il clima pedemontano è un po’ al limite, ma se la stagione è buona si possono fare dei buoni raccolti», spiega Mauro Vaccari, del settore seminativi di Confagricoltura Belluno, titolare di un’azienda di seminativi e bovini da carne a Cesio Maggiore.
«Quasi tutte le aziende bellunesi hanno seminato in maggio e, tra freddo e temporali, le piante hanno patito molto, con perdite del 20%. Anche se adesso arrivasse il caldo, sarà possibile recuperare solo in parte la produzione». Sono riprese anche le incursioni dei cinghiali, che stanno causando i primi danni. Tra i primi ad avere ricevuto visite c’è il presidente Diego Donazzolo: «Qualche giorno fa gli ungulati sono entrati nei miei campi, in zona Canaletto, e mi hanno divorato alcune file. I danni non sono rilevanti, ma la stagione è appena cominciata e già ci sono segnalazioni di altre nostre aziende che stanno avendo problemi e che riferiscono di branchi in aumento.
Da anni stiamo segnalando a tutti i livelli questo problema, ma nulla si muove. Abbiamo incontrato, pochi giorni fa, anche l’assessore regionale Cristiano Corazzari, ma la sensazione è che tra normative, burocrazia e rimpalli stiamo camminando nella palude. L’ho detto e lo ripeto: questo proliferare di fauna non è una benedizione, perché la provincia di Belluno sta diventando un luogo dove non è più possibile vivere e lavorare. Ci sono agricoltori che aspettano i risarcimenti da anni». Le segnalazioni di danni, riguardanti cinghiali e cervi, sono sul mais ma anche sui prati e sono concentrate in sinistra Piave tra San Fermo, Castion, Modolo e Borgo Valbelluna. Gli ungulati hanno scavato buche e devastato le piantine. I danni sono stimati in parecchie migliaia di euro: ripristinare il prato stabile è ancora più oneroso rispetto ai campi, perché il riporto di terra e sassi grava sulla fienagione. Per quanto riguarda la soia, invece, le semine partiranno nei prossimi giorni.
I prezzi sono schizzati in alto: oltre 60 euro al quintale. «Per chi vende soia è una buona notizia», dice Stefano Catani, titolare di un’azienda di seminativi e vacche la latte, «ma per gli agricoltori nel Bellunese, che la coltivano soprattutto come mangime per le vacche, i prezzi in rialzo sono costi in più per l’allevamento. Nessuno di noi ne produce abbastanza per garantirsi l’autosufficienza e perciò siamo costretti a comprare quello che ci manca. Questo si tradurrà, quest’anno, in un 15 per cento di costi in più. Inoltre con la soia abbiamo il problema cervi: non appena seminiamo arrivano a banchettare. Nel 2019 me l’hanno fatta fuori tutta e non ho ancora visto un centesimo di indennizzo dalla Regione Veneto».