È doveroso, innanzitutto, avere ben presente il fatto che negli Stati Uniti d’America possedere armi è un diritto garantito dal 2° emendamento della Costituzione, sebbene l’interpretazione di tale disposizione sia da tempo oggetto di ampio dibattito e discussione anche e soprattutto in considerazione dell’elevato numero di eventi delittuosi commessi con l’utilizzo di armi negli ultimi anni.
Come prevedibile, in questi giorni il tema del controllo delle armi è tornato al centro dell’attenzione mediatica e politica non solo negli Stati Uniti ma anche nel nostro Paese. Tuttavia, bisogna fare delle precisazioni prima di lanciarsi in giudizi affrettati ed eccessivamente netti. Un elevato tasso di possesso di armi non si traduce in un numero maggiore di omicidi commessi con armi da fuoco: se da una parte gli Stati Uniti d’America hanno un tasso di diffusione di armi maggiore rispetto altri Paesi, quali ad esempio l’Honduras, dall’altra mantengono un tasso di omicidi commessi con armi da fuoco nettamente minore allo stato dell’America centrale.
Tuttavia, è evidente che la problematica americana emerge in confronto a paesi sviluppati o appartenenti all’area OCSE.
È inoltre doveroso sostenere che questa discussione non deve e non può essere riportata su territorio italiano con metodo di paragone, sebbene l’Italia sia tra i primi Paesi per produzione ed esportazione di armi – grazie al know how italiano, e al riconosciuto valore del made in italy nel mondo.
La legge italiana in tema di porto e detenzione di armi è fondata su una severa normativa improntata sul rigore sia nel processo di ottenimento del porto d’armi che sulla detenzione ed utilizzo di queste, oltre che ovviamente nella tipologia di armi per le quali è consentita la vendita. In tale contesto, l’armiere è una figura chiave che rappresenta grazie alla sua competenza il fulcro ed il primo presidio sul territorio per un adeguato controllo nel possesso delle armi.
Per quanto da parte nostra ci sia la massima comprensione rispetto all’allarme lanciato sul tema in generale, essendo noi per primi impegnati a combattere l’uso improprio di armi, teniamo a sottoporvi alcuni dei dati presentati nello studio condotto sul tema dall’Università La Sapienza di Roma* che mostrano come in Italia solo il 5% degli omicidi volontari sia
commesso con armi legalmente detenute. Ciò ci porta a dedurre che il sistema di controllo dei requisiti psicofisici necessari per ottenere un titolo che consente la detenzione, il trasporto e il successivo utilizzo a fini venatori e sportivi nel complesso funzioni. Si tratta tra l’altro di uno dei sistemi normativi più restrittivi d’Europa, che prevede per i titolari di porto d’armi la presentazione ogni cinque anni di una doppia certificazione – del medico di medicina generale e di un medico legale o militare – che garantisca che il soggetto interessato sia scevro da vizi fisici o di mente che potrebbero pregiudicare un corretto uso delle armi.
A corredo, possiamo riportare i dati dello studio che analizzano il fenomeno del cosiddetto “eccesso di difesa”, che mostrano come questo non abbia un’incidenza statistica rilevante. Solo il 2,45% degli eventi è relativo a casi di eccesso di difesa personale.
Oltre questo, teniamo a specificare che sebbene ci siano casi, del tutto isolati, di uso improprio di armi (non legato all’acquisto in armeria), è proprio tra chi le possiede legalmente che è diffusa una maggiore “cultura della sicurezza”, che deriva anche dalle diverse attività di educazione che vengono promosse nel corso della fase di apprendimento all’utilizzo e ad una maggiore consapevolezza rispetto alla cura e all’attenzione che il maneggio delle armi richiede.