Oggi i musei sono divenuti dinamici. Raccontano viaggiando, e quando non lo possono fare materialmente realizzano il moto attraverso gli strumenti della comunicazione. Uno degli strumenti è il libro, metodo di comunicazione antico ma tuttora affascinante in quel coinvolgere materialmente il lettore che sfoglia le pagine con l’interesse della ricerca o con la semplice curiosità del sapere.
Il libro è lo strumento che Stefano Venturi ha scelto per far conoscere e far viaggiare il suo museo. L’elegante volume ”Un Museo di ricordi”, ricco di immagini, scritto da Venturi in forma autobiografica (ed. Tipoarte Bologna), stende le ali in un volo radente sui ricordi e sui momenti che hanno segnato parti importanti della vita personale e sociale dell’autore, e sui particolari che hanno promosso l’interesse e la realizzazione della raccolta. Entrato nell’associazionismo venatorio ad appena vent’anni, nel 1967, appassionato di tiro in pedana e assiduo frequentatore di quella dell’elica del TAV Randi di Villa S. Martino di Lugo, Stefano Venturi è divenuto nel tempo un edotto cultore delle armi fini a canna liscia. Negli anni ha raccolto oltre una cinquantina di pezzi, fra i quali alcuni di particolare interesse.
Una passione per l’archibugeria fine nata attraverso le letture dei grandi Autori, Gianoberto Lupi in primis, utilizzando poi le stesse pubblicazioni come strumento di ricerca per il reperimento e la valutazione delle armi da mettere in collezione. La collezione si è basata inizialmente su pezzi italiani, romagnoli in particolare, anche dal punto di vista storico, e su modelli belgi. Sono poi entrate, a completare la panoramica europea, anche armi tedesche, inglesi, spagnole e francesi. Una gamma completa, dal classico al moderno, ordinata secondo le diverse tipologie: una teca per le doppiette, una per i sovrapposti, e una per una serie completa di semiauto Benelli. Dulcis in fundo una nicchia anche per i vecchi semiauto rinculanti che nel loro processo meccanico evolutivo, hanno contribuito alla storia della caccia, uno su tutti il mitico Auto 5 della Browning, il capostipite dei semiautomatici, ma non mancano i prestigiosi Breda Apollo e il Franchi 48 AL Eldorado. La parte del leone è però della doppietta, soprattutto di quella di scuola romagnola. E non poteva essere altrimenti, poiché la doppietta fa parte non solo della storia della caccia in Romagna, ma anche della storia della ruralità romagnola. All’archibugeria nazionale hanno dato grande prestigio i nomi romagnoli storici degli Zanotti, dei Toschi e di Zaccaria, per parlare solamente di quelli del territorio ravennate, passando poi per i riminesi Cortesi e Fabbrizioli. Nomi ai quali si affiancarono tanti altri piccoli artisti-armaioli, dando a loro volta un notevole contributo alla tradizione delle armi da caccia.
Fra le romagnole campeggia un pezzo storico, una doppietta Zanotti del 1933, modello unico di particolare interesse per il suo profilo di staffetta fra un periodo e un altro degli Zanotti. Iniziata da Tomaso Zanotti prima del fallimento della ditta “T. Zanotti”, venne poi completata e firmata dal figlio Fabio che apportò alcune prime modifiche agli acciarini. Arma che si può quindi considerare uno studio preparatorio del succesisvo famoso modello 1934. Ultima entrata una Giacinto Zanotti del 1915, con batterie Holland-Holland, una “firma” pregiata e ricercata. Non meno di pregio storico tre doppiette Toschi: una Roberto Toschi del 1911, un’altra Roberto Toschi del 1934, e una co-produzione Carlo e Renzo Toschi del 1974. Lo stesso dicasi per una Arnoldo Zaccaria del 1929, incisa dall’artista belga Hyppolite Corombelle, costruita per un cliente grande collezionista ornitologo.
L’archibugeria romagnola ebbe però anche la caratteristica di aprirsi alla conoscenza, e nella prima metà del Novecento nacque un significatico rapporto con la scuola belga. Due scuole che sinergizzarono nonostante fosse evidente la diversa ottica sulle forme, più snella e leggera quella belga e più “corposa” quella romagnola del tempo. Vi furono scambi di esperienze fra armaioli romagnoli e alcuni costruttori belgi, Lajot e Francotte in particolare. Di conseguenza, le doppiette belghe trovarono una specie di piccola seconda patria, e di piccolo mercato, in Romagna. Testimonianze all’interno del Museo Venturi sono una Lebeau-Courally modello 108 del 1954, con batterie smontabili e chiave traforata, incisa da Lyson Corombelle (figlia di Hyppolite), una Thonon del 1938 e una Thirifays modello 1000 del 1935, anch’esse con finissime incisioni.
Ma all’interno del Museo sono osservabili, fra le tante altre, le italiane Breda Gemini del 1960, St. Vincent 580 F.lli Gamba del 1966 incisa da Pintossi, Vincenzo Bernardelli Holland-Holland modello VB1 del 1965, Franchi Imperiale Montecarlo Extra, arma quest’ultima di pregio top-level, in un certo senso affine alla linea romagnola e che quindi, in Romagna, ha sempre rappresentato un’icona delle canne giustapposte.
E’ in gran parte attraverso il collezionismo amatoriale che si recuperano e tramandano pezzi unici, continuando così a conservare la conoscenza di un’epoca fatta di storie di lavoro, di luoghi e di persone. Oggi, come dicevamo in apertura, il Museo Venturi è anche in grado di “viaggiare”. Viaggia sulle pagine del libro “Un Museo di ricordi – Il valore della memoria”, con il quale Stefano Venturi ha messo il sigillo al percorso di una vita di passioni e di collezionismo vario, competente e documentato. Un collezionismo non comune nell’insieme, dai fucili agli strumenti musicali a corda e aerofoni, agli orologi. Variegato, vivace, suscita curiosità spontanea al primo approccio, acquisendo subito dopo un’identità precisa svelando l’approfondimento di conoscenza con il quale è stato condotto. Un libro-sigillo importante, figlio del desiderio di portare all’aperto la collezione perché possa venire condivisa e abbia vita ulteriore. Il libro è di scorrevole lettura. Oltre a contenere le numerose foto e schede tecniche delle armi e la descrizione dell’intera raccolta (armi, strumenti musicali, orologi, tassidermia, altro ancora, la sovracoperta del libro è già un biglietto da visita), il libro si lega al territorio romagnolo attraverso i ricordi dell’Autore e attraverso note storiche locali di caccia e di tiro particolari, talune assolutamente rare. Dalla Romagna della caccia e dell’epoca d’oro dei vecchi artisti armaioli, alla campagna di metà del secolo scorso, alle riflessioni sulla caccia di oggi. Il valore della memoria, questo il valore intrinseco e questo lo spirito con il quale il libro è stato scritto e viene proposto al lettore.
Il Museo Venturi si trova a Russi (RA), in Corso Farini 77, ed è aperto nelle giornate di martedì e venerdì, oppure su appuntamento (per informazioni su Museo e libro, visite, prenotazioni e richieste: [email protected]).