E’ da un po’ di tempo che notiamo segnali inquietanti che gettano un’ombra fosca sul futuro della nostra passione. Minacce che non vengono solo da forse animaliste o platealmente anticaccia, ma da mondi che ci dovrebbero essere vicini o addirittura dal nostro interno. Al di là delle dichiarazioni apparse negli ultimi giorni, infatti, sul nostro paese ha ricominciato ad aleggiare una gran voglia di riserva, un ritorno deleterio alla caccia privata. Una voglia di privatizzazione che negli agricoltori possiamo capire, anche se ovviamente non condividere, ma che ci lascia sbalorditi quando viene da un’associazione venatoria.
Se, infatti, abbiamo letto con preoccupazione le proposte di legge provenienti dal mondo agricolo, abbiamo accolto con stupore l’interesse per le medesime posizioni di Federcaccia e di EPS, che in Toscana è parte integrante della fantomatica CCT. I punti fondamentali della proposta, infatti, prevedono una stretta zonizzazione della caccia alla selvaggina stanziale e la possibilità per gli agricoltori di abbattere gli ungulati sui propri fondi, oltre all’invio in filiera dei capi abbattuti dalle squadre.
Decisamente un quadro poco rassicurante per i poveri cacciatori del futuro, costretti in riserve sempre più piccole come moderni Sioux, ad inseguire selvaggina pronta caccia o relegati al ruolo di operatori di abbattimento per gli agricoltori; brutta fine per i cacciatori delle squadre, finora impegnati gestori del territorio. Ovviamente, Arci Caccia rifugge da questa prospettiva, che per noi non ha nessuna attrattiva. Per noi la caccia del futuro, dovrà ovviamente aprirsi al cambiamento, rimanendo però saldamente ancorata a quei valori di sostenibilità e socialità che l’hanno resa un’attività accessibile a tutti le fasce di reddito, non solo a quelle che abitualmente cacciano in”riserva”.