Arci Caccia risponde alle accuse mossegli contro dal Presidente di Federcaccia Toscana, Moreno Periccioli, in un intervista dei giorni scorsi.
C’è qualcosa che non quadra ed è utile dipanare il filo della matassa. Come si spiega, infatti, che con il mondo venatorio a “trazione” Federcaccia-Face Italia – associazioni numericamente maggioritarie ed ispirate, come rivendicano, alla cultura del sano pragmatismo – i risultati raccolti dai cacciatori in questi anni assomiglino molto ad un cumulo di macerie?
Come si spiega il fatto che l’Arci Caccia venga additata come la causa principale della crisi della caccia italiana malgrado sia, come dicono i suoi detrattori, un’Associazione minoritaria (per qualcuno addirittura considerata sull’orlo dell’estinzione) e nonostante faccia capo a slogan considerati logori e desueti?
Rispondere a questi interrogativi equivarrebbe a ripristinare la logica, il buon senso e l’onestà intellettuale.
E’ dunque necessario procedere con ordine e rispondere, punto per punto, al Presidente di Federcaccia Toscana, Moreno Periccioli, che in una intervista dichiara di non comprendere la posizione espressa dall’Arci Caccia con un recente documento, a cominciare dal titolo, che viene considerato un’insanabile contraddizione. Gli ossimori, come si dovrebbe sapere, sono figure retoriche che hanno il pregio, accostando termini di significato opposto (il silenzio assordante, le convergenze parallele, la straordinaria normalità), di rendere immediato il senso profondo di un concetto elaborato, altrimenti sfuggente. Dicasi altrettanto per “autonomi per ricostruire l’unità”, il titolo del nostro documento, che altro non significa che per raggiungere ciò che a noi sta più a cuore, ovvero l’unità del mondo venatorio, è necessario partire dalla chiarezza delle posizioni, senza le quali si alimenterebbero equivoci a non finire.
A tal fine ed in coerenza con il nostro modo di essere e di agire, lo stesso da sempre, dalla Alpi alla Sicilia passando per Roma, e che il nostro recente Congresso non ha fatto altro che confermare, elenchiamo una serie di punti per abbandonare il porto delle nebbie nel quale qualcuno, probabilmente più esperto di noi, tenta artificiosamente di spingerci:
1) aver alimentato l’obiettivo dei più tempi e delle più specie, offrendolo ai cacciatori con la nobile veste di sacrosanto adeguamento alle direttive europee, è stato il grimaldello per ottenere la più grande restrizione temporale dei Calendari Venatori, i contenziosi giuridici più difficoltosi e il più doloroso discredito sociale della caccia di cui il Paese ha memoria. Il mondo venatorio a “trazione” Federcaccia-Face Italia ha omesso di spiegare ai cacciatori che l’adeguamento alle direttive avrebbe comportato anche un inevitabile restringimento parallelo, non soltanto l’eventuale ed effimero raggiungimento di una decade a febbraio per alcune specie faunistiche non in cima alle attese dei cacciatori. Quella stessa “trazione” associativa non ha reso edotti gli appassionati che una battaglia tutta incentrata sulle “tabelline” dei Key Concept, sorvolando l’impatto culturale che queste avrebbero avuto nella società, avrebbero riaperto un contenzioso politico di vaste proporzioni, i cui effetti negativi, prima di tutto, si sarebbero riversati sul mondo venatorio (fatto puntualmente verificatosi). I pronunciamenti dei TAR che bloccano i calendari venatori accorciando i tempi di caccia non sono slogan, ma, purtroppo, fatti concreti e negativi per i cacciatori.
Ecco perché l’Arci Caccia ha sempre sostenuto la centralità del compromesso del 31 gennaio stabilito dall’attuale normativa nazionale. Rispetto a questa condotta, cosa ha fatto Federcaccia Toscana per dissuadere la propria Associazione nazionale? Quali sono stati gli atti concreti per sconfiggere questa politica? L’Arci Caccia, è bene lo si sappia, non vive questa stridente contraddizione tra un’Associazione nazionale che pensa e fa cose in contrasto con quella regionale; altri vivono questo scarto, e tentare l’equiparazione tra le difficoltà di Federcaccia Toscana con il proprio nazionale con quelle, dello stesso tipo, che vivremmo noi da Firenze nei confronti dei nostri dirigenti romani, è un’operazione destinata ad infrangersi miseramente poiché, per quanto ci riguarda, il fatto non sussiste.
2) A fronte di una sconfitta senza precedenti, la nostra Associazione, congiuntamente alle categorie più responsabili e ad una politica attenta al tema della caccia come attività compatibile e popolare (non slogan) ha contribuito ad istituire il Tavolo della Conferenza Stato-Regioni affinché questo strumento istituzionale riparasse agli errori di una politica (quella richiamata al punto primo) che altro non aveva prodotto se non l’esplosione dei contenziosi e la riapertura di una prospettiva privatistica della caccia italiana. Com’è possibile insinuare, come fa il Presidente di Federcaccia Toscana, che la nostra Associazione si sarebbe spesa per una riduzione dei tempi di caccia? Questi rilievi critici sono del tutto infondati, fortemente strumentali e privi di qualsiasi logica; è come se uno studente svogliato e superficiale che viene respinto alla fine dell’anno scolastico entrasse oltretutto in polemica con il corpo docente che ha organizzato per l’estate il corso di recupero per superare gli esami di riparazione.
3) L’Arci Caccia Toscana ha promosso l’incontro dell’Hotel Baglioni di Firenze in un momento nel quale era indispensabile cercare di arginare una serie di eventi, Legge Comunitaria in testa, che avrebbero rischiato, come nel caso richiamato è avvenuto puntualmente, di avere ripercussioni negative per il mondo venatorio. In quell’occasione ci parve di parlare lo stesso linguaggio: le preoccupazioni sulla situazione generale erano le medesime e l’appello accorato a fermarsi e ripartire dal confronto tra le parti (tutte le parti) per affrontare i problemi veri della caccia, della conservazione della fauna e della gestione del territorio ne erano la prova. La riforma della 157 non era per noi allora un tabù, e non lo è oggi, anzi, semmai è una necessità. Ma su che basi politiche e culturali affrontiamo il tema della modifica legislativa? Vogliamo una caccia compresa ed integrata nella società, che sappia ripartire dalla gestione e che sia una opportunità per tutti, oppure si preferiscono le aree convenzionate (a pagamento) per la felicità di pochi facoltosi? Fatti dirimenti che meritano una risposta chiara ed inequivocabile. Anche perché solo un lavoro di concertazione e di confronto, partendo noi mondo venatorio da una base culturale avanzata, potrà consegnarci dei risultati in grado di dare futuro alla nostra passione. E parlando di riforme legislative intendiamo anche l’applicazione delle Direttive Comunitarie, comprese le deroghe che, in assenza del un quadro concertativo prima ricordato, sono sempre di più oggetto di ricorsi, sospensive e contenzioni giuridici di cui, la caccia, secondo il nostro sommesso parere, non ha certo bisogno. Il prius dunque era fermarsi, cancellare le proposte di legge depositate in Senato a cominciare da quella del sen. Orsi (che ricordiamo essere un iscritto e un dirigente di Federcaccia la cui penna è stata “armata” dalla medesima Associazione), verificare sulla base della relazione sullo stato di applicazione della legge 157 limiti e positività dell’applicazione della normativa e far ripartire il confronto su basi diverse con tutti i portatori di interesse. Condivisione e concertazione, dunque.
4) La discussione sul Piano Faunistico Venatorio Regionale non può ridursi ad una semplice elencazione di punti, magari anche importanti, ma che, privati del sostegno di una impostazione culturale che indichi gli obiettivi alti da raggiungere, rischiano di rimanere numeri sulla carta. Anche il Piano Faunistico, pur essendo uno strumento tecnico, necessita di un substrato culturale su cui svilupparsi. Se non si indica con precisione la strada da seguire è del tutto inutile dire che in qualche posto, nel deserto, c’è un’oasi!
La recente riforma della Legge Regionale ne è l’esempio lampante: i soli contenuti tecnici non hanno prodotto, automaticamente, una diversa cultura e un approccio più avanzato. La priorità di questa fase è esattamente questa; se avessimo partecipato agli incontri con le altre AA.VV per la definizione del Piano Faunistico Regionale avremmo negato questa esigenza, che riteniamo viceversa fondamentale.
5) La Regione, dal canto suo, deve interpretare con intelligenza questa necessità e farsi capofila di un rinnovato fermento culturale su cui, negli anni passati, avevamo costruito il modello “Toscana”. Una volta individuato con precisione il modello culturale e politico di riferimento gli si da corpo con i vari provvedimenti. La Politica ha il compito nobile, non tanto e non solo di governare il contingente, bensì di prevenire ed indirizzare il futuro. Alla Regione, crediamo, spetti il compito di farsi capofila di un “intellettuale collettivo” che dia vita ad un substrato di roccia su cui costruire la nostra casa e non edificarla sulla sabbia in balia delle tempeste e dei cataclismi. Del resto, il deserto che è stato prodotto in questi ultimi anni richiede uno slancio aggiuntivo senza il quale è probabile che il mondo venatorio sia definitivamente risucchiato dalle sabbie mobili della demagogia e della pavidità.
Ci anima una grande passione ed abbiamo un grande desiderio, un desiderio che, parlando con i cacciatori comuni, indipendentemente dalla loro appartenenza, ci sembra condiviso. Da quanti operano nelle strutture faunistiche pubbliche, ai distretti di gestione degli ungulati, agli appostamenti per la migratoria, le istanze che ci giungono ci danno coraggio. Il seme della cultura venatoria fatta di gestione, collaborazione, dialogo con la società che fu seminato ormai molti anni fa è sempre pronto a germogliare nuovamente.
Eccoci quindi ancora una volta pronti a ripartire, a riprendere il dialogo, in modo chiaro e schietto, con tutti quanti desiderino confrontarsi con noi sui principi sopra ricordati. Certo, diventa difficile lavorare per l’interesse comune quando si ha a che fare contestualmente con gli atteggiamenti di lesa maestà, le rivendicazioni di numeri che di per sé non significano nulla se non in termini di corporazione (è nella società che occorre essere maggioranza), con l’astio e i pregiudizi sulle persone e con il ventilato richiamo alla scesa in campo degli avvocati.
Siamo comunque abituati a non scoraggiarci e continuiamo ad aspettare fiduciosi…
23 novembre 2011
Fonte: Arci Caccia