Il ricordo della prima apertura di caccia a cui si partecipa da ragazzi è indelebile nella memoria. Il racconto della prima caccia in Sardegna.
Ricorderò il fascino dell’apertura della mia prima caccia finché vivrò. Avevo poco meno di diciotto anni, ma già da quando ne avevo quindici mi sentivo un cacciatore. Che ci volete fare, con un padre e tre zii che amano più la caccia e i boschi che qualsiasi altra cosa, non potevo appassionarmi a nient’altro che alla caccia e alla pesca. E già, perché quando non si poteva correre fra i campi, ci si avventurava per mare. All’apertura della caccia di quel settembre di molti anni fa, lo ricordo ancora, mi tremavano le gambe.
Ero tanto emozionato che non riuscii a dormire. Mio padre dopo molte mie insistenze aveva acconsentito a che lo accompagnassi, rassicurando mia madre che mi avrebbe tenuto sempre a portata d’occhio. Era ancora buio quando entrò in stanza e io schizzai fuori dal letto senza nemmeno fiatare. Non sentivo ne freddo, ne sonno, solo eccitazione allo stato puro. Ovviamente indossai gli indumenti che la notte prima mi ero preparato e seguii mio padre che le mattine di caccia non faceva mai colazione in casa. Prendeva qualcosina al bar, diceva a mia madre. Da quella mattina in poi ereditai anche quell’abitudine. Il bar Mariella vomitava cacciatori e l’aria profumava di caffè e abba ardente, per intenderci l’acquavite nostrana.
Tutto mi sembrava bellissimo, peccato che presto ci si fa l’abitudine. Non ho invece mai fatto abitudine al profumo dell’alba sarda, che profuma di mare e di salsedine, di terra umida e di selvatico. Separati dal gruppetto di cacciatori e riscaldati dal caffè corretto, ci siamo inoltrati nel campo di Zio Giovanni. Non ha mai amato la caccia, ma ha sempre permesso a mio padre di cacciare sui suoi terreni, un diritto che concedeva davvero a pochi. Papà in cambio ripuliva il perimetro che aveva occupato, e di norma gli regalava qualche lepre e qualche pernice. Era proprio per le lepri e per le pernici che eravamo lì.
Credo non esista un volatile più bello ed elegante della pernice sarda. Un tempo ce n’erano molte di più in giro. Oggi alle prime avvisaglie di apertura della caccia volano verso le riserve. Ma quel giorno di quel settembre lontano ce n’erano, ce n’erano in abbondanza e a mio padre brillavano gli occhi. Era taciturno esattamente come a casa, ma lì, in mezzo alla macchia mediterranea, sotto quell’ollastro con il suo Benelli Rafaello cal 12 in mano era un uomo felice. Felice e innamorato della natura e degli animali a cui dava la caccia. A me aveva regalato un Benelli 121 con cartucce fiocchi pallino 7 da 36 grammi. Ebbene sì, mi ricordo ancora. Dopo avermi regalato qualche istruzione lo vidi voltarsi di scatto, puntare e fare fuoco. Quel giorno portai a casa la mia prima pernice sarda, di meglio non riuscii a fare, ma mio padre mi disse che non bisognava essere ingordi, e tutto quel che la natura ci regala deve essere ben accetto. Fu tanto ben accetto che qualche giorno dopo mia madre la cucinò, insieme a quelle catturate da mio padre, come solo lei sapeva fare.
Alla conclusione di quella lunga giornata di caccia, prima di rincasare, abbiamo fatto un salto da Mariella per un bel bicchiere di vino e due chiacchiere con gli amici. Ora sì che mi sentivo parte del gruppo e mio padre, non esitò a farmelo capire. Da quel giorno, fintanto che mio padre riuscì, andammo a caccia insieme, perché non c’è niente di meglio per saldare un’amicizia, che condividere la passione per la natura e per la propria terra.