Il congresso di Foligno
Dall’importante III Congresso nazionale sulla filiera delle carni di selvaggina selvatica, svoltosi di recente presso Palazzo Trinci a Foligno, su iniziativa della Società Italiana di ecopatologia della fauna, dell’Associazione Italiana veterinari igienisti e degli Istituti Zooprofilattici sperimentali, è scaturito un chiarissimo messaggio: la filiera deve essere incentivata, perché ha tutte le caratteristiche di qualità necessarie per esser valorizzata e perché il mercato potenziale per la carne di provenienza naturale è molto vasto e garantirebbe la sostenibilità economica dell’attività per tutti gli attori, dai cacciatori/operatori, agli intermediari e ai consumatori e ristoratori. La selvaggina è già presente nei menu di buona parte della ristorazione nostrana, ma sconta alcuni punti deboli da sanare, tra i quali la difficoltà di reperimento, derivante dalla scarsa consapevolezza del proprio ruolo dimostrata dal cacciatore medio italiano: nel senso dell’inconsapevolezza che diventare produttore primario di carne, tramite la formazione disposta dai regolamenti comunitari del settore, costituirebbe una valorizzazione indiscutibile del proprio profilo agli occhi della collettività, oltre a innescare un circolo virtuoso per l’economia delle filiere corte che oggi tanto vanno di moda. Nel caso in questione, però, si va ben oltre le mode.
Piccola selvaggina stanziale
Le carni degli animali selvatici sono le più genuine, sane, digeribili, ricche in proteine e povere di grassi che circolino sul pianeta. Si parla sempre degli ungulati, ma non si dimentichino la piccola selvaggina stanziale e l’avifauna, per la quale vanno comunque tenute a mente le limitazioni alle specie commercializzabili come disposte dalla Direttiva 2009/147/CE. Non si tratta di ostacoli insormontabili, ma certamente il rispetto delle norme, in ogni caso importante ai fini della conservazione della risorsa rinnovabile costituita dalla fauna selvatica, è ancor più prevalente allorché ci sono di mezzo di mezzo l’igiene e la salubrità degli alimenti destinati al consumo umano. Contesto che esige l’emersione del mercato nero di queste carni, la cui esistenza non può essere negata né sottaciuta, affinché non si leggano poi notizie di intossicazioni di massa o peggio (come è già avvenuto). Oggi, nonostante la riconosciuta rilevanza di questa filiera, il cui sviluppo offrirebbe un mercato anche alla carne proveniente dalle attività di controllo faunistico (seppur ciò richieda degli adeguamenti alle norme vigenti), occorrerebbero però nuove figure, finora assenti sia dalla legge 157/92 che dalla legge 394/91, che ad esempio il Commissario straordinario alla PSA Vincenzo Caputo, individuerebbe nei “bioregolatori”: operatori faunistici, non solo e non necessariamente cacciatori, che si dedichino professionalmente al prelievo delle specie selvatiche richiedenti un controllo demografico o territoriale, a tutela della salute pubblica, delle colture e delle stesse biocenosi.
Emergenza peste suina
Il pensiero, oggi, va subito al cinghiale, vista l’emergenza PSA che si sta faticando a contrastare, ma ciò non esclude affatto altre specie di Ungulati e non soltanto quelli. Frattanto, le amministrazioni (Stato e Regioni innanzitutto) dovranno impegnarsi maggiormente in direzione di un coordinamento intersettoriale, perché non è ragionevole né sensato procedere a compartimenti stagni, allorché una buona gestione della fauna selvatica esige la cooperazione tra i diversi livelli e le differenti competenze necessarie. Insomma, le nuove sfide per un’alimentazione più sana e sostenibile, potranno transitare anche attraverso la caccia e la selvaggina, a patto che tutti i soggetti interessati, cacciatori in primis ma non solo loro, accettino la sfida con quel pizzico di entusiasmo e apertura mentale indispensabili nell’affrontare ogni nuova avventura. (Palumbus) (fonte: ANUUMigratoristi).