Troppi ricorsi al TAR
Anche nella corrente stagione venatoria, siamo stati costretti ad assistere al balletto dei TAR. Le associazioni ricorrenti – animaliste o ambientaliste poco cambia – si sono suddivise gli obiettivi, andando a colpire la maggioranza delle Regioni e mirando dritto al cuore dei calendari venatori. La base fissa, ineludibile, dei ricorsi è stata nuovamente il parere rilasciato da Ispra, per quanto siano stati a volte aggiunti dei motivi accessori, come ad esempio la presunta assenza della valutazione d’incidenza ambientale (Vinca), nonché la new entry della siccità, appiglio contingente derivante dall’anomalo andamento meteo dei mesi tardo-primaverili ed estivi. Si è quindi palesato ulteriormente, se mai ve ne fosse stato bisogno, come il parere “tecnico” dell’istituto sopra menzionato, venga praticamente equiparato dalla giustizia amministrativa a norma di legge e, quindi, sia inteso come pressoché vincolante anche se non lo è (sarebbe). È pur vero che le Regioni possono (potrebbero) discostarsene a condizione di motivare il discostamento, ma abbiamo ormai numerose prove, accumulatesi negli anni, di come tale discostamento sia quasi impossibile da motivare al punto da “rassicurare” i TAR sulla correttezza e legittimità delle scelte regionali.
Il problema ISPRA
Questa è la prima riflessione. La seconda riguarda il problema della dipendenza di Ispra da un solo ministero, il MITE, che vizia e condiziona politicamente le valutazioni e indicazioni contenute nei pareri. È risaputo che i dipendenti Ispra sono ottimi tecnici e ricercatori, lungi da noi volerne sminuire il lavoro: certamente, non tutti sono equidistanti rispetto alla caccia, però le competenze non scarseggiano, anzi. Peccato che, poi, la dipendenza da un solo soggetto politico, orienti inevitabilmente gli indirizzi valutativi, che sono trascritti sui documenti digitali trasmessi alle Regioni. Un tempo non lontanissimo, in cui esisteva ancora l’INFS, la legge statale lo aveva posto saggiamente sotto la vigilanza della Presidenza del Consiglio, seconda carica dello Stato, a garanzia di imparzialità e serenità di conduzione. Poi, in ottica di presunta semplificazione, nel giugno 2008 venne istituito l’Ispra, fondendo insieme in tale super-istituto tre enti prima indipendenti tra loro (APAT, ICRAM e INFS) e ponendolo in diretta dipendenza e vigilanza del Ministero dell’Ambiente (oggi MITE).
Sentenze paradossali
All’epoca – governava il Berlusconi IV, giusto per memoria – non venne colta la perniciosità di tale scelta per la caccia, che invece si è abbondantemente dimostrata negli anni successivi. La terza riflessione, attiene alla mutevolezza delle valutazioni e delle decisioni assunte da TAR di regioni anche confinanti tra loro, oppure di regioni pur distanti ma in merito a specie che condividono spazi ben più vasti della piccola Italia, come i migratori, che andrebbero approcciati su scala addirittura continentale. Abbiamo perciò assistito a pronunce che, come nel caso di Lombardia ed Emilia-Romagna, hanno sortito risultati paradossali: su sponda sinistra Po, quindi lombarda, caccia agli acquatici chiusa fino al 30 settembre, su sponda destra Po, quindi emiliana, caccia agli acquatici aperta dal 18 settembre. Col risultato, inspiegabile e quasi comico agli occhi di qualunque cittadino-cacciatore, che i medesimi germani o alzavole sarebbero stati cacciati o meno, semplicemente rispetto a quale sponda avessero scelto di costeggiare in volo! La quarta riflessione discende direttamente dalla precedente: le regole di funzionamento della giustizia amministrativa andrebbero riconsiderate e riscritte, perlomeno in parte. I decreti monocratici di sospensiva adottati inaudita altera parte – traducendo, i decreti adottati dal solo presidente del TAR senza riunire la camera di consiglio e senza sentire la difesa della parte il cui provvedimento viene impugnato, nel nostro caso le Regioni – il giorno prima dell’apertura della stagione venatoria o pochi giorni dopo che si è avviata, costituiscono un atto gravemente lesivo degli interessi dei cittadini che praticano la caccia: i quali hanno fatto tutto e pagato tutto nell’ottica di esercitare la loro passione in un periodo prefissato, che invece viene pesantemente intaccato e decurtato.
Una vera e propria beffa
L’ulteriore beffa, frequentemente verificatasi, è poi costituita dal fatto che il calendario, in tutto o in parte, in prima istanza viene sospeso e che poi la decisione definitiva sul fatto che la sospensione fosse giustificata o meno (nel merito, come si dice), venga adottata dalla camera di consiglio (cioè dall’intero collegio di giudici facenti parte del TAR) quando le disposizioni regionali sospese avrebbero comunque terminato di essere efficaci. Si veda quanto deciso dal TAR Veneto sul calendario venatorio corrente: tra le disposizioni regionali sospese, ci sono le due giornate settimanali integrative di caccia alla migratoria da appostamento, che, come noto, possono essere previste solo nel periodo 1 ottobre/30 novembre. Il TAR ha sospeso l’efficacia di tali giornate, quindi chi caccia da appostamento potrà esercitare al massimo per tre giornate settimanali, come per chi esercita la caccia vagante. La beffa sta nel fatto che l’udienza di merito, cioè quella in cui il TAR deciderà definitivamente se sia stata buona decisione sospendere le due giornate integrative, è stata fissata per il 30 novembre, quindi proprio allo scadere del periodo in cui i migratoristi da capanno avrebbero potuto fruire dei cinque giorni settimanali di caccia. La facile profezia che azzardiamo oggi, è che il TAR si pronuncerà dichiarando il venir meno dell’interesse della disposizione regionale, che sarebbe comunque scaduta il 30 novembre e quindi, in sostanza, non decidendo alcunché nel merito, cioè non pronunciandosi sul fatto di aver fatto “bene o male” a sospendere. Salvo poi riproporsi una situazione analoga nel 2023/24.
Cacciatori in difficoltà
È una pronuncia che rammenta tanto il famoso detto “cornuti e mazziati”, naturalmente rivolto ai cacciatori. Questi meccanismi devono essere rivisti, soprattutto in ottica di evidente, annoso malfunzionamento della giustizia italiana, quella amministrativa inclusa. La quinta e ultima riflessione, è un’amara constatazione: la riduzione della durata della stagione venatoria e dell’elenco delle specie cacciabili, finora mai ottenuta per via legislativa, è in via di conseguimento nelle aule dei tribunali. La 157 è sostanzialmente ferma al 1992 e lo stesso mondo venatorio, spesso, ha dichiarato l’inopportunità di metterci mano, visto il rischio di un pesante peggioramento della già non rosea situazione. Probabilmente, anche gli avversari della caccia sono giunti alle medesime conclusioni sulla difficoltà di una modifica della norma statale, anche nel senso che piacerebbe a loro, cioè peggiorativo per i cacciatori. Però, invece di star fermi, si sono astutamente incamminati su altra strada, cioè quella che abbiamo appena passato velocemente in rassegna. Testa d’ariete l’Ispra (su mandato MITE), con beneplacito (e non sempre tacito) assenso degli uffici della commissione UE, con il pilatesco “lavarsene le mani” giudiziario dei TAR, la stagione di caccia nostrana ordinaria (cioè esclusi selezione e ungulati), si sta pericolosamente attestando sul periodo 1 ottobre/20 gennaio, che rischia di trasformarsi in pochi anni in 1 ottobre/31 dicembre e con un elenco di specie cacciabili pesantemente ridotto, soprattutto nel settore dei migratori acquatici, condito con il taglio di specie terrestri come allodola e tortora selvatica. E potrebbero non bastare a invertire la tendenza le pur importanti ordinanze/sentenze di rigetto dei ricorsi che anche quest’anno ci sono state, come in Emilia-Romagna, Marche e Umbria. Vedremo – perché scriviamo prima – se l’esito del voto del 25 settembre metterà sulla caccia italiana l’ultima pietra tombale, oppure ridarà flebili speranze agli appassionati praticanti. In bocca al lupo! (fonte: ANUU).